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Esa-Ue Space Council: economia e concorrenza, detriti spaziali e space weather, nuovi astronauti al debutto… e diverse criticità

I nodi salienti del Consiglio che si è tenuto a maggio tra l’Agenzia spaziale europea e i ministri dell’Unione evidenziano la crescente attenzione per la competitività. Le accuse di scarsa incisività, però, non mancano.

DI EMILIO COZZI

Ci sono tre o quattro cose notevoli tra i risultati del recente Space Council dell’Agenzia spaziale europea con l’Unione europea, che ha visto sedersi attorno al tavolo i ministri dei 27 Paesi Ue e degli Stati membri dell’Esa.

In occasione del ventesimo anniversario dell’accordo quadro fra le due istituzioni, a fine maggio, si è parlato e deliberato di competitività spaziale, forse il più delicato dei temi, dato che nodi non più ignorabili stanno venendo al pettine; si sono firmati contratti per nuovi servizi cargo di trasporto in orbita terrestre bassa da parte dell’industria, e l’impegno da parte di 12 Stati (Italia esclusa) per l’ecologia spaziale, lo Zero Debris Charter; c’è una nuova missione in programma per il monitoraggio dello space weather e si è annunciata la prima opportunità di volo per due astronauti della leva selezionata nel novembre 2022.

 

“Manca una strategia industriale comune”

Il primo capitolo è il più delicato: il Consiglio ha approvato una “Risoluzione sul rafforzamento della competitività dell’Europa attraverso lo spazio”. È un lungo elenco di intenti, valori condivisi e indicazioni, che ribadisce l’eccellenza della tecnologia e della scienza europee, il ruolo strategico degli asset e del know-how spaziale per la società e la crescita economica. L’uso dei dati, ha enfatizzato il Consiglio, dovrà rendere sempre più efficaci le scelte degli amministratori (in termini di governo del territorio, del miglioramento delle condizioni di vita) nella risposta alle sfide imposte dalla crisi climatica.

Soprattutto, il ruolo di pubblico e privato, insieme, dovrà favorire la competitività del settore industriale, con iniziative come il fondo Cassini e l’Esa Investor network.

Purtroppo, almeno secondo i diretti interessati, non mancherebbero diversi punti deboli.

In una dichiarazione molto critica, Asd Eurospace, associazione che raggruppa le principali aziende europee del settore, ha precisato che le cose, come sono ora, non vanno. E lo ha scritto senza mezzi termini: “l’industria accoglie con favore il fatto che i ministri europei riconoscano che lo spazio sostiene la competitività generale dell’Europa e appoggia con forza le priorità e le politiche europee – si legge nella nota diffusa al termine del Consiglio – tuttavia […] si rammarica che le attuali sfide del settore spaziale europeo non siano state valutate seriamente, né affrontate: nonostante una posizione molto forte nel mercato globale e un’esperienza acclamata a livello mondiale, l’intera catena del valore spaziale europea è perturbata e la sua sostenibilità è minacciata”.

In sintesi, e non senza qualche semplificazione, le industrie europee invocano una strategia comune perché “l’attuale ritmo di trasformazione globale richiede più di strategie industriali sovranazionali, intergovernative e nazionali disarticolate. Altre potenze spaziali come gli Stati Uniti hanno avviato programmi adeguati per sostenere l’innovazione e la sostenibilità della loro base industriale” e quindi “è necessario e urgente che l’Europa elabori e attui una strategia industriale coerente a livello europeo per lo spazio” si legge nella nota.

 

L’Europa non è abbastanza

Uno dei motivi delle perplessità espresse da Eurospace riguarda una cronicità europea, peculiare rispetto a Paesi come Stati Uniti e Cina: è “il basso volume dei mercati istituzionali europei” rispetto a quelli dei concorrenti, che “sono diverse volte più grandi […] e per lo più vincolati (cioè non accessibili a operatori non nazionali)”.

L’Europa, intesa sia come insieme degli Stati membri dell’Unione che come appartenenti all’Esa – compagini che non coincidono, basti pensare al Regno Unito post-Brexit -, non ha una difesa comune, ha un mercato frammentato e la domanda, in particolare di tipo istituzionale, è limitata.

Con questi presupposti e con un’azienda come SpaceX, capace di squassare il mercato dei lanciatori e di promettere la stessa cosa con quello dei satelliti, all’Europa serve un cambio di passo orientato (d)a una strategia che sia davvero comunitaria. Altrimenti, sostiene l’associazione di settore, non potrà rivendicare il titolo di “space power”.

 

Servizi cargo per l’orbita

Se proprio si volesse cercare un parallelo con SpaceX, ci si potrebbe concentrare sul nuovo programma cargo lanciato dall’Esa per i rifornimenti alle stazioni in orbita terrestre bassa (lo stesso servizio, svolto per la Nasa, che ha permesso all’azienda di Musk di prosperare).

Allo Space Council sono stati firmati due contratti, uno con la franco-italiana Thales Alenia Space e l’altro con la franco-tedesca Exploration Company, entrambi da 25 milioni di euro. La competizione era partita nel novembre del 2023 e a vincere sono stati i design delle due aziende, che ora proseguiranno nelle prossime fasi con l’obbiettivo di arrivare a una prima missione di test nel 2028. Thales Alenia Space, in Italia, è il primo contraente industriale, in Francia sarà coinvolta nello sviluppo del veicolo spaziale, mentre Altec, joint venture tra Thales Alenia Space Italia (63,75%) e l’Agenzia spaziale italiana (36,25%), sarà responsabile dello sviluppo del Ground segment e dell’infrastruttura di supporto per il recupero a terra.

Dopo la fine del programma Atv (acronimo di Automated Transfer Vehicle, di cui si scrisse qui), il servizio cargo che aveva assicurato all’Europa maggiori opportunità di volo e di permanenza a bordo della Stazione spaziale internazionale per i propri astronauti, ora l’Esa si affida al paradigma del servizio commerciale, sulla scia del modello adottato dalla Nasa con SpaceX e Orbital Atk (ora Northrop Grumman Innovation Systems). Il servizio dovrà essere operativo non oltre il 2030, data che, idealmente, dovrebbe coincidere con l’abbandono della Iss.

Sarà, dunque, un passo destinato a valicare l’orizzonte che conduce all’era delle stazioni spaziali commerciali, dando all’Europa un sistema di trasporto merci anche verso i nuovi avamposti privati. Non ultimo, potrebbe essere (finalmente) l’embrione dello sviluppo di una capsula per il trasporto astronauti, occasione da non perdere dopo quella mancata proprio con l‘Atv.

Tuttavia, a fronte della proprietà delle nuove stazioni orbitanti, tutte private e statunitensi, ma anche alla luce dello scarso riconoscimento al pur fondamentale contributo europeo al programma lunare Artemis – ruolo che non ha portato alla garanzia che astronauti europei cammineranno sulla Luna – rimane ancora da capire quale centralità sarà riconosciuta al Vecchio Continente.

 

La Carta detriti zero e la missione per il meteo spaziale

Sempre nell’ambito dello Space Council, dodici Paesi hanno firmato la Zero debris charter: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Germania, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia e Regno Unito si sono impegnati a non generare nuovi detriti orbitanti nell’ambito delle missioni spaziali. Obiettivo: diventare debris neutral entro il 2030.

È la prima volta, scrive l’Esa: viene sottoscritto un coinvolgimento a livello di Paesi, mentre altre 100 organizzazioni hanno promesso l’adesione. La Carta evidenzia la necessità di tenere pulite le orbite, evitando di seminare nuovi frammenti al di là del cielo e, insieme, di disfarsi di strutture (satelliti e razzi) a fine vita operativa, senza mettere a rischio cose e persone nell’eventualità che alcuni detriti arrivino al suolo.

È una scelta ecologica, che riguarda la spazzatura spaziale, gli stadi di razzi che continuano a orbitare per anni senza scopo, dopo aver consegnato i loro payload, così come satelliti non più operativi e impossibili da manovrare che continuano a muoversi a velocità altissime rischiando l’impatto con altri dispositivi o con frammenti di space debris.

In quest’ambito, l’Europa è all’avanguardia nella consapevolezza e nell’impegno a liberare le orbite. È uno sforzo importante, ma non decisivo, soprattutto in assenza di regole che impongano a tutti gli attori spaziali, a livello Onu, di fare la propria parte. Il problema è di crescente urgenza, alla luce dell’aumento del traffico in orbita e dei test di sistemi antisatellite come quello, russo, che nel 2021 generò una nuvola di detriti in grado di minacciare la sicurezza degli astronauti sulla Iss.

Sicurezza e sostenibilità sono anche al centro della missione Vigil per il meteo spaziale. Sarà una sentinella di vedetta nello spazio profondo, sistemata in un punto di osservazione privilegiato, lontano dalla Terra, che le consentirà di individuare le più violente eruzioni solari. Eventi come le grandi espulsioni di massa coronale (Cme) possono infatti friggere i circuiti dei satelliti in orbita, oppure aggredire le reti elettriche generando blackout in vaste aree e lasciando senza energia decine o centinaia di milioni di persone.

Vigil, che trasmetterà le informazioni in tempo quasi reale e potrà individuare minacce imminenti, dovrà permettere la protezione dei satelliti in orbita e l’isolamento delle reti elettriche più a rischio. L’Esa ha firmato un contratto con Airbus UK da 340 milioni di euro per la costruzione del veicolo spaziale, il cui lancio è previsto nel 2031.

 

Primo volo per AstroSophie e AstroRaphaël

Il sogno di una missione nello spazio è vicino ad avverarsi per gli astronauti dell’Esa scelti nella selezione più recente: la francese Sophie Adenot e il belga Raphaël Liégeois voleranno verso la Stazione spaziale internazionale. Entrambi hanno appena concluso l’addestramento di un anno e si imbarcheranno ciascuno come membro di un equipaggio per una missione di lunga durata prevista nel 2026. Adenot, 42 anni, ingegnera, pilota di elicotteri e colonnello della forza aerea e spaziale francese, sarà la prima a partire; Liégeois, 36 anni, ingegnere biomedico e neuroscienziato, è destinato a una missione successiva.



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