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C’era una volta l’Atv. O di come l’Esa (ri)pensi a una capsula cargo e al trasporto astronauti

Una competizione tra compagnie private per sviluppare un veicolo di rifornimento alla Iss, riutilizzabile e che potrebbe evolvere nella prima navetta europea per astronauti. Dallo Space summit di Siviglia, una storia già sentita.

DI EMILIO COZZI

L’Agenzia spaziale europea svilupperà veicoli per il trasporto di rifornimenti verso la Stazione spaziale internazionale (e ritorno). È stato deciso così allo Space summit di Siviglia, dove i ministri dei Paesi membri dell’Esa hanno stabilito di lanciare una competizione continentale per la fornitura del servizio cargo da iniziare entro il 2028. Il veicolo potrebbe evolvere in una navetta per il trasporto degli equipaggi, che l’Europa non ha mai avuto. Sembra una storia già sentita. E lo è.

Anno 2008. Il 9 marzo, il razzo Ariane 5 si stacca dalla rampa di lancio di Kourou, nella Guyana Francese. Trasporta la capsula Atv 001 Jules Verne. L’Esa celebra così un momento storico: “Per la prima volta in quarant’anni di storia di attività spaziali sta avvenendo una rivoluzione al sito di lancio europeo di Kourou”. Jules Verne è “il primo veicolo human rated”, a essere lanciato dallo spazioporto europeo. A bordo custodiva solo scorte di carburante, ossigeno, acqua, ma vale la pena di ricordarlo: l’Europa aveva sviluppato un mezzo in grado di trasportare persone oltre l’atmosfera. Nostro malgrado, oggi sappiamo bene non sarebbe mai accaduto.

C’era una volta l’Atv, verrebbe da dire. Difficile, per chi sia esterno al settore o semplicemente poco appassionato ricordare anche solo il senso dell’acronimo: l’Atv, o Automated Transfer Vehicle era la capsula cargo grazie alla quale, per un periodo, l’Agenzia spaziale europea ha fornito un servizio di trasporto merci alla Stazione spaziale internazionale. Tre volte più capiente della “collega” russa Progress, poteva trasportare fino a sette tonnellate e mezzo di materiali, esperimenti, cibo, acqua e rifornimenti assortiti al laboratorio orbitante. Un gioiello il cui spazio pressurizzato era, peraltro, costruito in Italia, negli stabilimenti di Thales Alenia Space. Doveroso, nelle righe precedenti, l’uso dei verbi al passato: prima del pensionamento, sono state cinque le missioni dell’Atv, ognuna battezzata col nome di un gigante della conoscenza: Jules Verne, Johannes Kepler, Edoardo Amaldi, Albert Einstein, Georges Lemaître. Dettaglio non di poco conto: sebbene fosse stata pensata anche per un uso manned, l’Atv era in realtà “usa e getta”. Esaurito il suo compito, caricata di spazzatura, veniva fatta deorbitare per bruciare in atmosfera e non era previsto sopravvivesse al rientro.

Mancava, all’Atv, una qualità in particolare: se con i dovuti arredi e sistemi interni avrebbe potuto portare astronauti, non sarebbe stata in grado di riaccompagnarli a terra, perché nessuno l’aveva dotata di uno scudo termico per sopportare il rientro in atmosfera. Nel 2009 fu firmato il contratto con Astrium per lo sviluppo dell’Advanced Reentry Vehicle (o Arv), quando a capo del Volo umano dell’Agenzia c’era l’italiana Simonetta Di Pippo, che intendeva mettere a frutto l’esperienza accumulata con l’Atv e che si diceva possibilista nel vederlo volare nel 2018.

Tutto questo non è mai avvenuto.

Dopo la quinta missione (nel 2014), il programma Atv è stato messo in bacheca tra i successi di cui andare fieri. Non senza malumori (tra i corridoi dei centri Esa non è raro sentire ancora sospiri di rammarico per questa storia). Mentre l’Arv non è nemmeno mai nato. Con il senno di poi, è fin troppo facile additarla come un’occasione persa dall’Europa, auto condannatasi al ruolo di comprimaria, senza l’ambizione di rendersi indipendente per l’accesso all’orbita dei propri astronauti.

Vale la pena sottolinearlo: era il 2014, tre anni dopo la dismissione del programma Space Shuttle. L’unico modo per l’occidente di arrivare in orbita sarebbe stato l’acquisto di passaggi, in gergo seat, ai Russi per un viaggio orbitale di andata e ritorno sulla Soyuz. Sarebbe stato così per altri sei anni, fino a quando, nel maggio del 2020, SpaceX avrebbe restituito all’America e ai suoi partner, Europa e Italia comprese, l’accesso autonomo allo spazio grazie alle sue Crew Dragon. Cioè la diretta evoluzione della Dragon con cui la compagnia di Elon Musk era diventata la prima società privata a effettuare il servizio di trasporto cargo per la Iss (e rientro). Un’assonanza ancora più dolorosa con l’“occasione persa” dall’Europa.

Tant’è, nel 2023 l’Esa si trova a ripartire da zero. L’obbiettivo dichiarato, per ora, è il servizio di trasporto delle merci “che potrebbe evolvere in un veicolo per equipaggio e servire altre destinazioni – altre stazioni spaziali? Il Gateway in orbita lunare?, ndr -, se gli Stati membri lo vorranno”. Intanto ci sono i 75 milioni di euro già stanziati per la prima fase, con finanziamenti privati “da ricercare durante la competizione”. Il destino di questo nuovo programma sarà poi affidato alla prossima Ministeriale, che si terrà alla fine del 2025. Lì si deciderà come tagliare il traguardo del 2028, e quindi proseguire in partnership con i privati, è chiaro. Ma anche se finanziare gli ulteriori sviluppi della futura navetta. Piace pensare che alla fine del (lungo) processo, si potrà assistere ai primi europei che decollano verso le stelle dallo spazioporto di Kourou.

Giusto un anno fa, la francese Arianegroup presentava il progetto di una nuova capsula di trasporto. Susie (Smart Upper Stage for Innovative Exploration), questo il suo nome, è progettata per volare in testa al nuovo razzo Ariane 64, come una sua estensione, al posto dell’ogiva per il carico. Ed è già pensata sia come modulo cargo che come navicella per trasportare equipaggi umani. Concepita riutilizzabile, Susie rientrerà a terra verticalmente con retrorazzi e con una capacità significativa: 40 metri cubi di spazio e sette tonnellate di capacità di carico (come l’Atv), molto di più di quanto concesso da Dragon e Orion.

La competizione per dare forma alla prima navetta europea di trasporto astronauti potrebbe essere già iniziata. O, si volesse essere cinici, già finita.



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