- April 4, 2024
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- Category: Emilio Cozzi

La riduzione dei costi dei sistemi di lancio riguarda tutte le potenze spaziali. Perché il mercato, soprattutto dei piccoli satelliti, potrebbe saturarsi. Un’occasione da non perdere, sia a Oriente che a Occidente
DI EMILIO COZZI
Le regole del gioco sono queste: produrre in serie – per lanciare tanto – riutilizzare ed essere affidabili. Sono tre elementi che si reggono l’un l’altro; senza uno dei tre, crolla il castello intero. E si capisce perché la volata di SpaceX non abbia ancora rivali: è l’unica compagnia spaziale in grado di fare tutto questo con vettori propri.
È però evidente, anche per motivi strategici, SpaceX non possa essere la soluzione a tutto.
Perché la riduzione progressiva dei costi di accesso allo spazio è un poliedro dalle mille facce. Che riflettono un trend coerente.
Lanciare, lanciare, lanciare
Come si è provato a evidenziare nella seconda parte di questa panoramica, la domanda di un numero crescente di lanci è stata soddisfatta (e per certi versi stimolata) all’origine dalla compagnia di Elon Musk, con le commesse civili per la Nasa – per la quale SpaceX rimane l’unico fornitore del servizio di trasporto astronauti in orbita – e militari, per la Difesa. Sono due pilastri sui quali SpaceX ha basato la sua strategia commerciale nel mercato globale. I numeri, in questo senso, sono impietosi: nel 2023, dei 223 lanci effettuati a livello globale – un record assoluto, il terzo di fila – 98 sono stati effettuati da SpaceX. Se si escludono i due decolli test di Starship e i cinque voli (di successo) del Falcon Heavy, restano 91 lanci con un Falcon9. È il vettore più usato in assoluto, l’unico il cui primo stadio ritorna sulla Terra per poi ripartire. Fatto che dice molto sulle economie di scala concretizzate dall’azienda di Musk.
Il secondo vettore in questa speciale classifica è il Lunga marcia 2D, cinese, di media potenza. Sono quasi tutti Lunga Marcia i razzi di Pechino che hanno preso la via dello spazio (più qualche compagnia commerciale, in un panorama dai destini sempre più interessanti), il che ricorda come i vettori siano sviluppati come una famiglia, con tecnologie in comune e progettazioni modulari in grado di abbassare i costi. Come sempre, i razzi più “pesanti” hanno un costo al chilogrammo inferiore. Secondo le cifre disponibili, il Lunga Marcia 5 fa concorrenza al Falcon9 (3mila dollari al chilo). Il 2D, meno potente, ha costi che, in scala, crescono fino a circa 10mila dollari al chilo.
È una storia iniziata quasi vent’anni fa: già nel 2008, la Space Systems/Loral chiedeva al governo degli Stati Uniti di “impedire a un concorrente – Thales Alenia Space – di offrire il razzo cinese Long March nelle competizioni commerciali, perché i veicoli di lancio cinesi a basso prezzo danno all’azienda franco-italiana un vantaggio competitivo”. La concorrenza della Cina in questo settore, che non si esclude possa costituire un’ulteriore variabile nell’equazione sempre più complessa del mercato globale dei lanci, a quel punto ha dovuto fare i conti con un “veto politico” rilevante: quello degli Stati Uniti, che de facto hanno impedito, all’inizio avvalendosi dell’Itar, cioè l’International Traffic in Arms Regulations, di utilizzare componenti americane in satelliti lanciati con vettori cinesi. Sistemi di lancio che, non a caso, oggi trasportano prevalentemente payload governativi o dal mercato interno.
L’intenso utilizzo e l’integrazione delle tecnologie rappresentano un fattore preponderante nella capacità di abbattere i costi. Cui si uniscono, anche per vettori meno sfruttati, la progettazione e la costruzione, fasi che hanno determinato revisioni e mutamenti profondi allo scopo di rimanere competitivi in un contesto sempre più concorrenziale. Pochissimi anni fa, un report della Nasa redatto da Harry W. Jones, ingegnere di sistema dell’Ames Research Center, ha elencato i fattori per la riduzione del costo. In sintesi: semplificare la configurazione del veicolo; aumentare i ritmi di produzione e di lancio; utilizzare metodi di progettazione e produzione industriale (cambiamento culturale); ottimizzare il costo minimo; ridurre il numero dei pezzi; aumentare la semplicità e i margini di progettazione; ridurre la strumentazione.
Detto altrimenti: semplificare, semplificare il più possibile.
Jones citava l’esempio della United Launch Alliance (o Ula), la joint venture costituita nel dicembre del 2006 da Lockheed Martin e Boeing: il regime di sostanziale monopolio di Ula negli Stati Uniti aveva impedito la riduzione dei costi. Il motivo, secondo Jones, andava individuato in un sistema pachidermico di “centinaia di subcontractor e decine di strutture sparse in tutto il Paese, una necessità politica per un programma di lavoro finanziato dal governo”. Non è un caso, poi, Ula perse grosse fette di mercato in favore di Russia (Soyuz) ed Europa (Ariane 5), che lanciavano a prezzi competitivi anche senza essere protagonisti di uno stravolgimento come quello che sarebbe arrivato con SpaceX.
Viene in mente una frase di Musk: “Scommetto mille a uno che se comprate una Honda Civic, quella non si romperà nel primo anno di funzionamento. Si può avere un’auto economica ma affidabile, e lo stesso vale per i razzi“.
Insomma, non serve un suv blindato per andare al lavoro, non a tutti almeno. Ma se siete il presidente degli Stati Uniti (tradotto, un satellite molto importante, vitale) il discorso cambia: dipende tutto, sempre, da quanto è strategico il carico, così da scegliere il vettore più adatto e con la maggiore probabilità di successo.
Può essere un prezioso telescopio spaziale (come è accaduto all’europeo Euclid, o al James Webb Space Telescope, entrambi partiti in testa a un razzo impiegato esclusivamente per quella missione), oppure un costosissimo satellite per le telecomunicazioni da posizionare a 36mila chilometri dalla Terra, in entrambi i casi investimenti diversi dall’esperimento di studenti universitari o da un piccolo prototipo low cost, che possono salire su un “bus” in rideshare, condividendo il passaggio sullo stesso razzo con altre decine di micro o nanosatelliti.
L’ampiezza delle opzioni disponibili dà conto di un segmento di mercato la cui crescita è stimata addirittura a doppia cifra secondo alcuni report, in particolare grazie al proliferare di costellazioni più e meno grandi, composte da satelliti di massa inferiore alla tonnellata. Ma anche di società, istituzioni e governi pronti a sfruttare le nuove possibilità di volare insieme con altri, spendendo poche decine di migliaia di dollari e senza doversi sobbarcare il costo di un lancio dedicato e “taylor made” (milioni di dollari).
Costruire in serie
Una delle strategie di produzione di massa attuate da SpaceX riguarda, per esempio, i motori: il Falcon9 è spinto oltre il cielo da nove Merlin per il primo stadio e, per il secondo, da un altro Merlin adattato per la propulsione nel vuoto. Il Falcon Heavy sfrutta i tre primi stadi di un Falcon9, cioè 27 Merlin, e un altro per il vuoto al secondo stadio. Una produzione di scala, sebbene in misura ridotta, è quella che hanno messo in pratica anche ArianeGroup e Avio, con l’utilizzo congiunto dei nuovi propulsori a combustibile solido, i P120C. Uno di questi costituisce il primo stadio del nuovo Vega C e i due o quattro (a seconda della configurazione) booster ausiliari di Ariane 6, il nuovo lanciatore pesante europeo, pronto a debuttare la prossima estate.
Stando alle dichiarazioni dei manager, Vega C, perlopiù costruito in Italia, ha un costo pressoché invariato rispetto al predecessore, Vega, ma con una potenza maggiore e una riduzione del costo al chilo “del 50 percento”. Per Ariane 6, invece, ArianeGroup ha in qualche modo stravolto il sistema di produzione negli stabilimenti francesi, con una catena di montaggio orizzontale, pronta a garantire maggiore efficienza e fluidità nella realizzazione dei singoli elementi, e l’assemblaggio allo spazioporto di Kourou, in Guyana Francese.
L’investimento per lo sviluppo di oltre quattro miliardi di euro (raddoppiato rispetto alle stime iniziali) e i ritardi che si sono via via accumulati hanno fatto alzare non poche sopracciglia. Il costo per lancio si aggira attorno ai 90 milioni di euro, stando a quanto riportato da Mike Healy, capo dei progetti scientifici dell’Agenzia spaziale europea: 25 milioni per volare a bordo di un Ariane 62, cioè circa 25 milioni (di dollari) in più di un Falcon9. E almeno 115 milioni in configurazione 64, quella con quattro booster.
Fatto qualche conto grossolano si va da 8.600 a 5mila euro al chilo, contro i 2.700 dell’offerta commerciale di SpaceX, la quale, nel caso si scelga un Falcon Heavy, scenderebbe addirittura sotto i 1.500 euro al chilo. Comunque un passo in avanti significativo rispetto al pur affidabilissimo Ariane 5, che permette di rimanere sul mercato. Almeno fino quando la concorrenza non si farà davvero spietata.
Ariane 6 non sarà riutilizzabile e, in quanto ad aspettative commerciali, si prevede faccia una decina di lanci ogni anno. Un ordine di grandezza in meno rispetto al Falcon9, che nel 2024 punta a superare i 100.
Negli stabilimenti francesi, intanto, stanno prendendo forma i prototipi di lanciatori nuovi e a costo più basso. Adottato già da numerose startup, lo spirito alla base è quello, del “meno è meglio”. Meno componenti ci sono, meno se ne possono rompere. Ne è un esempio Prometheus, motore stampato per buona parte in 3D e oggi in fase di sviluppo negli stabilimenti di ArianeGroup per l’Agenzia spaziale europea, per un prototipo di razzo riutilizzabile, Themis. La manifattura additiva ha l’obiettivo di ridurre le parti che compongono il propulsore e velocizzarne la produzione a una frazione significativa del costo.
L’elefante orientale
In questo panorama si sta affacciando l’India, che di recente ha aperto il mercato spaziale a investimenti stranieri e possiede tre vettori con cui, nel 2023, ha condotto sette missioni, tutte di successo. Una di queste era Chandraayan-3, lo storico sbarco (robotico) di Nuova Delhi sulla Luna. In un’intervista, Sreedhara Panicker Somanath, il capo dell’agenzia spaziale indiana (la Isro), ha parlato di costi da abbattere portando da 20mila a 5mila dollari il prezzo al chilo per i payload in orbita, e del fatto che nel futuro si potranno sviluppare vettori riutilizzabili. Intanto, l’Isro ha varato il nuovo lanciatore leggero, Sslv, per carichi di poche centinaia di chili. E ha iniziato ad acquisire commesse importanti, come quelle per la costellazione OneWeb.
A differenza dell’Europa e come la Cina – che comunque resta un passo avanti – l’India può contare sull’appoggio di un governo centrale molto determinato a sedersi tra i grandi dello spazio.
C’è tuttavia una variabile di cui poco si parla e che invece rimane lì, come un elefante (indiano in questo caso) nella stanza: solo sulla base della propria potenza economica, l’India potrebbe sedersi al tavolo del G7 (che diventerebbe G8). Il suo Pil è il quinto al mondo, dietro a quello di Stati Uniti, Cina, Germania e Giappone; la popolazione del Paese Continente ha da poco sorpassato quella cinese, per numero, diventando lo Stato più popoloso del Pianeta; e ha un’economia in forte crescita, anche in ambito spaziale.
La domanda interna non mancherà. L’isolamento cinese, come si è visto, non ha fermato né rallentato Pechino nell’affermazione oltre l’atmosfera. Sarà impossibile, nei prossimi anni, non tenere conto della concorrenza orientale.