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Il primo disegno di legge sullo spazio che regola anche le attività private in Italia

Le attività spaziali di privati saranno soggette ad autorizzazione da parte della Presidenza del Consiglio. Serviranno requisiti tecnici, economici e garanzie contro danni e incidenti. Previsto un Fondo da 295 milioni fino al 2026. La resilienza delle comunicazioni nazionali “premia” Starlink e le reti di connessione satellitare

DI EMILIO COZZI

Non è una legge. Non ancora, almeno; ma sono le prime regole che l’Italia dello spazio attendeva, le prime a insinuarsi nella lacuna legislativa europea (che non verrà colmata prima dell’anno prossimo).

Il Governo, nel Consiglio dei ministri del 20 giugno, ha approvato il disegno di legge (ddl) per normare un settore in crescita, abilitante e strategico, eppure privo di una gabbia regolamentare adatta alle necessità presenti e in divenire, in particolare per quanto afferisca all’accesso all’orbita e alle operazioni spaziali dei privati, sulla Luna e sugli asteroidi.

La carne al fuoco abbonda nei 32 articoli che affrontano alcuni punti cardine – quantomeno in termini generali – quali le autorizzazioni, il registro degli oggetti lanciati e i requisiti, tecnici ed economici, necessari per ottenere nullaosta per le stelle, così come una programmazione e un fondo dedicati alle attività extra-atmosferiche delle imprese e la prima direttiva sugli appalti pubblici per Pmi innovative e startup.

 

Accedere allo spazio

Il secondo articolo del ddl elenca una casistica che punta a comprendere tutto – il dove e il come – premettendo la definizione delle attività spaziali ai cui operatori si applicherà la legge: “Il lancio, il rilascio, la gestione in orbita e il rientro di oggetti spaziali, incluso lo smaltimento dalle orbite terrestri e la rimozione di oggetti, i servizi in orbita, l’assemblaggio e l’utilizzo di stazioni spaziali orbitanti, nonché la produzione di oggetti nello spazio extra-atmosferico e sui corpi celesti; l’esplorazione, l’estrazione e l’uso delle risorse naturali dello spazio extra-atmosferico e dei corpi celesti, in conformità agli strumenti giuridici adottati a livello internazionale; il lancio, il volo e la permanenza, di breve o di lungo periodo, di esseri viventi nello spazio extra-atmosferico e sui corpi celesti;  le attività condotte attraverso le piattaforme stratosferiche e i razzi sonda; ogni altra attività realizzata nello spazio extra-atmosferico e sui corpi celesti”. Detto altrimenti, qualsiasi attività si faccia o si voglia fare oltre la linea di Karman, il limite fra il cielo e lo spazio, convenzionalmente fissato a un’altitudine di cento chilometri.

Il ddl, che sarà collegato alla legge di Bilancio e dovrà passare attraverso l’approvazione del Parlamento, istituisce un registro di immatricolazioni per assegnare un codice univoco a ogni oggetto lanciato oltre l’atmosfera.

È come fosse un numero di targa, un identificativo legato alla compagnia titolare dell’attività spaziale. Per ottenerlo, occorrerà un’autorizzazione legata a criteri oggettivi e soggettivi.

I primi riguardano una valutazione della sicurezza dell’attività spaziale, la resilienza rispetto ai rischi informatici, fisici e di interferenza; e la sostenibilità ambientale, sia del processo produttivo che di quello operativo e di fine vita.

In sintesi, bisognerà assicurare che un satellite sia sempre sotto controllo, non hackerabile, e non rischi di danneggiare o compromettere altre attività. Nondimeno si dovrà garantirne lo smaltimento sicuro (deorbiting o parcheggio in orbita cimitero) e la capacità di non generare detriti spaziali.

I requisiti soggettivi riguardano le “capacità professionali e tecniche idonee a condurre le attività per le quali si richiede l’autorizzazione”: solidità finanziaria, una assicurazione contro danni eventualmente cagionati e un dispositivo di prevenzione delle collisioni. Lo spazio è selettivo e questo articolo, il sesto, ribadisce a scanso di equivoci quanto operarci non sia cosa per tutti. È una sottolineatura legittima a fronte dell’espansione arrembante del mercato.

Secondo l’iter indicato nel ddl, le domande per operare nello spazio dovranno essere sottoposte all’Agenzia spaziale italiana, l’autorità deputata a valutare i requisiti e a notificare entro sessanta giorni un parere. Quando positivo, la pratica passerà alla Presidenza del Consiglio che, attraverso il Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale (il Comint), sentiti il ministero della Difesa, i servizi segreti e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, deciderà entro 120 giorni.

 

La sicurezza nazionale e la clausola “politica”

I “cancelli del cielo” rimarranno inaccessibili agli operatori le cui attività spaziali possano, anche potenzialmente, mettere a rischio il benessere nazionale, gli interessi del Paese “della difesa, della sicurezza nazionale e della continuità delle relazioni internazionali o per la protezione delle infrastrutture critiche materiali e immateriali, o per la protezione cibernetica o la sicurezza informatica nazionali”.

Le attività extra-atmosferiche saranno precluse anche a operatori che abbiano legami con “Stati o territori terzi che, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell’Unione europea, non si conformano ai principi di democrazia o dello Stato di diritto, o che minacciano la pace e la sicurezza internazionali o sostengono organizzazioni criminali o terroristiche o soggetti ad esse comunque collegati”. Se il rifermento alla Russia è pressoché esplicito, rimane difficile capire quanto e come i principi di democrazia possano riflettersi in una collaborazione con la Cina. Sarà un nodo molto rilevante in senso politico ed economico.

 

Chi paga i danni

Per chi eserciti attività spaziali senza autorizzazione la pena andrà dai tre ai sei anni di reclusione e la multa da 20mila a 50mila euro. Sanzioni dai 150mila ai 500mila euro sono invece previste per chi ostacoli l’autorità di vigilanza.

Gli operatori extra-atmosferici dovranno essere assicurati con un massimale non inferiore a cento milioni di euro, che possa coprire i danni causati da eventuali incidenti. Il massimale sarà ridotto del 50% in caso di attività meno pericolose (è prevista l’individuazione di tre fasce di rischio) e a 20 milioni per startup e attività di ricerca.

Quanto ecceda a queste somme, in caso di danni provocati sulla superficie terrestre o a velivoli e ai passeggeri, sarà pagato dallo Stato, a patto che l’operatore spaziale non abbia agito con dolo o colpa grave, aggravanti da codice penale. In quest’ultima eventualità, anche l’eccedenza sarà a carico degli operatori.

Liquidare uno Stato straniero sulla base della Convenzione internazionale per i danni causati da oggetti spaziali è responsabilità dello Stato italiano, che tuttavia potrà rivalersi sull’operatore che abbia cagionato l’incidente. All’inverso, sarà l’Italia ad agire nei confronti di uno stato straniero per risarcire i propri cittadini.

 

Il fondo per lo spazio, appalti a Pmi e startup innovative

In tutto ci saranno 295 milioni di euro: la dotazione stanziata dal Governo per il Fondo per l’economia dello spazio prevede 85 milioni nel 2024, 160 nel 2025 e 50 nel 2026.

Il fondo sarà alimentato anche dal contributo di ciascuna azienda che richieda l’autorizzazione a operare oltre l’atmosfera (e dalle sanzioni previste nella stessa legge). È denaro destinato a favorire la crescita del mercato, dei prodotti e dei servizi che utilizzano tecnologie (e dati) spaziali, ma non è fresco: per trovare i finanziamenti da destinare alla commercializzazione di prodotti innovativi, alla crescita di servizi e infrastrutture e a collaborazioni internazionali, il governo ha infatti messo mano a due fondi del ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit), quello di sostegno alle piccole medie imprese e quello a supporto della crescita sostenibile. Il dicastero di Adolfo Urso stilerà un elenco ad hoc dei potenziali beneficiari.

L’orientamento governativo sarà stabilito dal Piano nazionale per l’economia dello spazio, a cura di Asi, Comint e ministero dell’Università e della ricerca, che ha un orizzonte di programmazione quinquennale e sarà aggiornato ogni due anni. Aggregherà una serie di analisi e valutazioni della space economy italiana per monitorarla e capirne la direzione, per seguirla e favorirla attraverso l’iniziativa pubblica.

Un passo, concreto, per favorire tecnologie e realtà emergenti della new space economy sarà costituito dall’obbligo, nelle gare pubbliche, di subappaltare a startup innovative e alle piccole e medie imprese almeno il 10 percento del valore contrattuale complessivo. La percentuale di affidamento potrà costituire anche uno dei criteri di valutazione dell’offerta. È inoltre previsto, nel caso ci siano startup, che chi bandisce la gara le paghi direttamente (senza passare dal capo cordata) anticipando il 40% entro 15 giorni dall’assegnazione.

 

Le frequenze nazionali e la “questione” Starlink

La legge menziona infine l’istituzione di una “riserva di capacità trasmissiva nazionale” per favorire le connessioni a livello governativo e offrire archiviazione via cloud di dati sensibili su satellite, una sorta di backup orbitale in casi critici o nell’eventualità in cui le reti di comunicazione terrestri siano indisponibili a causa di disastri, emergenze e – si potrebbe supporre – in uno scenario bellico. In altri termini, l’obbiettivo è trovare strade alternative attraverso lo spazio, con satelliti e costellazioni “in orbita geostazionaria, media e bassa, gestiti esclusivamente da soggetti appartenenti all’Unione europea o alla Nato”. L’ennesimo favore a SpaceX e Starlink, non si è mancato di suggerire. Invero, anche l’inglese Eutelsat OneWeb sarebbe della partita, dato che la costellazione è stata completata nel 2023 ed è dedicata principalmente a soluzioni business e, appunto, istituzionali. E senza dimenticare Iridium.

L’Unione europea ha peraltro avviato la progettazione della sua nuova costellazione istituzionale – la terza, dopo Galileo e Copernicus – Iris² (Infrastructure for resilience, interconnectivity and security by satellite: infrastruttura per la resilienza, l’interconnettività e la sicurezza via satellite). Afferente al programma “continentale” Govsatcom e con un costo stimato fra i 6 e i 10 miliardi di euro, già nel nome dichiara proprio lo scopo indicato nel Ddl. L’obiettivo è che Iris² diventi operativa a partire dal 2027.

Eppure, con i suoi oltre seimila satelliti già dispiegati in orbita terrestre bassa, è palese come Starlink sia (e probabilmente resterà) un passo avanti a chiunque.

L’ottica dell’interesse nazionale farebbe auspicare si punti a una integrazione dei sistemi piuttosto che a una norma ad personam, come invece suggerirebbe l’intesa tra il Governo Meloni ed Elon Musk. Esserne certi rimane comunque impossibile: il ddl prevende una norma per promuovere un “uso avanzato dello spettro” finalizzato “all’adozione di modelli tecnici di coesistenza per la riduzione degli effetti di interferenza tra sistemi spaziali e sistemi terrestri”. Non pochi hanno ravvisato una “pezza” a una situazione denunciata da Starlink e da Musk ad aprile, con un attacco pubblico a Tim, colpevole – secondo SpaceX – di non avere rispettato le norme sulla condivisione dei dati per evitare interferenze di frequenza con le sue apparecchiature. A detta della compagnia americana e del suo fondatore, un atteggiamento che avrebbe pregiudicato l’operatività dei servizi Starlink nel sud dell’Europa e nell’Africa settentrionale.



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