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Pubblicità, funerali e sacrilegi spaziali. Quando serve una legge

Dalle lattine e le ceneri in orbita alle croci sulla Luna, proliferano iniziative di privati per usare lo spazio per scopi “non convenzionali”. Ci sarà bisogno di leggi per normare, con più precisione del Trattato Onu del 1967, come ci si comporta fuori dall’atmosfera

DI EMILIO COZZI

È lecito pensare che l’ultima cosa che avevano in mente i fratelli Wright il 17 dicembre del 1903, durante i 12 secondi in cui Orville compì a bordo del Flyer il primo volo su una macchina a motore più pesante dell’aria, fosse usare un aeroplano per trascinare striscioni con messaggi pubblicitari o dichiarazioni d’amore.

Eppure, nei decenni successivi, anche quella divenne un’attività possibile e remunerativa. E, tirando di nuovo un po’ a indovinare, si potrebbe scommettere che anche il Progettista capo del programma spaziale sovietico, Sergei Korolev, mentre progettava lo Sputnik e il suo razzo e lo vedeva decollare per scrivere il primo capitolo di una nuova era, non pensasse che lo spazio sarebbe stato il luogo per sepolture, per inviarci fedi nuziali, foto ricordo o per operazioni di branding commerciale. Eppure.

Il lander “Peregrine” di Astrobotic, che sarebbe dovuto allunare a gennaio, era pieno zeppo di strumenti ed esperimenti, ma nella sua pancia trasportava anche la lattina di una bevanda sportiva giapponese: Pocari Sweat. L’accordo tra le due aziende, Astrobotic e Otsuka Pharmaceutical, era stato annunciato nel 2015 e presentato come la prima pubblicità sulla Luna. Bastava l’involucro con il brand; quella lattina, infatti, non conteneva la bevanda. Era più una sorta di capsula del tempo – “Lunar Dream” – e conteneva lastre di titanio con incisi messaggi inviati da persone di tutto il mondo, oltre a una porzione di Pocari Sweat in polvere, da mischiare – va da sé – con l’acqua lunare per ottenere un drink rigenerante dalle fatiche dell’astronauta. Almeno questa era l’idea pubblicitaria. Purtroppo per la Otsuka, non solo quel viaggio è stato posticipato di ben otto anni (sarebbe dovuto decollare nel 2016), la lattina sulla Luna non ci è mai arrivata: insieme con l’intero Peregrine, si è dissolta in cenere nell’atmosfera terrestre, accertata l’impossibilità di allunare per un guasto all’impianto di alimentazione dei motori.

Quello di Otsuka Pharmaceutical non era il primo investimento in advertising spaziale di un’azienda, i primi esempi risalgono agli anni 90: nel 1996 Pepsi inviò sulla Mir la replica gigante di una lattina che venne poi fatta fluttuare all’esterno della stazione russa, nel vuoto siderale. Nel 1997 una compagnia israeliana produttrice di latte girò quello che è ricordato come il primo spot video in orbita, sempre sulla Mir. Pizza Hut brandizzò un razzo Proton con il proprio logo, prima di portare una pizzetta sulla Stazione spaziale internazionale (per i curiosi: la prima pizza mangiata nello spazio era con il salame). Tralasciando i vari palloni sonda che sono partiti verso il cielo con cose tipo sedie e sandwich, l’esempio più ruggente, stricto sensu, è quello di un’automobile.

Era il 2016, e per l’esordio del Falcon Heavy, che sarebbe diventato il razzo più potente in circolazione fino al debutto dello Space Launch System, Elon Musk e SpaceX pensarono bene di piazzare come carico una Tesla Roadster, convertibile e decappottata. Quando si aprirono le due carene dell’ogiva, tutto il mondo vide seduto al volante della decappottabile un manichino, col braccio fuori come stesse correndo su Sunset Boulevard, la Terra riflessa sulla portiera lucida e dall’autoradio (parola di SpaceX), Starman di David Bowie. Sul cruscotto la scritta “Don’t Panic!” omaggio alla celeberrima Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, custodita nel vano portaoggetti.

È un uso non convenzionale dello spazio, inteso questa volta come volume lasciato libero (o acquistato) all’interno e all’esterno di un veicolo progettato per fare tutt’altro.

Andando avanti, le cose si fanno sempre più facili e, a un tempo, più complesse. Il costo al chilo per arrivare in orbita è precipitato dai tempi dello Space Shuttle, sono disponibili tecnologie per satelliti sempre più piccoli e, soprattutto, rideshare, cioè viaggi di gruppo in cui payload diversi condividono il medesimo lancio. Le occasioni si sono moltiplicate.

Se le prime ceneri arrivarono lassù con uno Space Shuttle nel 1997 (erano quelle di Gene Roddenberry, il padre di Star Trek), e sulla Luna a bordo della missione Lunar Prospector (di Eugene Merle Shoemaker), ora le ceneri di chiunque possono trovare tra le stelle una degna “sepoltura”. Ci sono aziende nate a questo scopo, una delle più longeve è Memorial Spaceflights, che propone lanci a prezzi differenti a seconda che le ceneri del caro estinto viaggino nello spazio e rientrino in atmosfera, restino in orbita, arrivino sulla Luna, oppure continuino a viaggiare, virtualmente per sempre, nello spazio intorno al Sole. Costo? Dai 3mla ai 13mila dollari. Una compagnia italiana, Upmosphere, nata qualche anno fa, garantisce ai suoi clienti un servizio simile, ma non solo per le ceneri. È possibile spedire oltre il cielo la foto di un proprio caro, fedi nuziali, o altri piccoli (e leggerissimi) oggetti. Qualche migliaio di euro per conservare una memoria spaziale e tracciarla con una app per sapere verso quale costellazione guardare quando passi sopra le nostre teste. Per tornare all’esempio della pubblicità, gli ideatori della stessa startup hanno pensato che portare nello spazio qualcosa possa essere l’occasione per lanciare un brand, legandolo all’idea dello spazio.

A bordo del lander di Astrobotic c’erano anche ceneri umane portate da due di queste aziende: Celestis ed Elysium Space. Sembrano bizzarrie in un certo senso innocue, fino a che non si pensi al rischio che iniziative del genere sfuggano di mano. Per molte tribù di nativi americani, Navajo in testa per esempio, si è già passato il segno, perché la Luna, per loro, è sacra e trasportarvi resti di corpi umani è atto blasfemo. Si può citare il caso della Humanity Star, la sfera riflettente piazzata in orbita da Rocket Lab, che aveva il solo scopo di esserci, orbitare e, ruotando, riflettere il Sole con flash di luce visibili anche dalla Terra. Gli astronomi lo considerarono un atto di vandalismo, nonostante siano moltissime le luci che rigano il firmamento (dalla Iss alle migliaia di satelliti, per tacere dei trenini Starlink), perché l’iniziativa è fine a se stessa.

Il dibattito rimane aperto. Che cosa si può inviare nello spazio e cosa no? La legge statunitense stabilisce che qualsiasi oggetto venga lanciato non “metta a repentaglio la salute e la sicurezza pubblica…” la sicurezza nazionale degli Stati Uniti … o gli obblighi internazionali degli Stati Uniti”. Mancano tuttavia norme precise per regolamentare qualcosa che, come si evince dal prezziario, sembra ormai alla portata di molti. Secondo la Reuters “gli avvocati esperti di diritto spaziale temono che l’assenza di norme possa contrapporre le aziende statunitensi ad altri Paesi che operano sulla superficie lunare, o scatenare controversie internazionali su quali iniziative private possano essere considerate appropriazione di territorio o rivendicazione di sovranità”.

Per esempio, l’amministratore delegato di Celestis, Charles Schafer, ha risposto così alle obiezioni dei Navajo: “Non prendiamo decisioni sulle missioni spaziali in base a un test religioso. Ho una foto di 20mila monaci buddisti che celebrano il nostro lancio. Quale religione comanda?”. L’imprenditore Justin Park, di Washington, vuole costruire sulla Luna una croce cristiana alta quanto un palazzo di due piani usando la regolite come cemento. Costo stimato dell’impresa: un miliardo di dollari. “Nessuno possiede la Luna – ha detto Park – non si vogliono calpestare le tradizioni, ma non si può trattenere il resto del mondo”. Secondo lui mettere un freno adesso “distruggerebbe un’industria prima che decolli”.

E sempre a dire della Reuters, inizia a montare una certa preoccupazione anche tra gli addetti ai lavori. Secondo l’Outer Space Treaty, il trattato Onu del 1967, sono i singoli stati a essere responsabili delle attività spaziali anche di attori privati. E come per i lanci, i satelliti e i detriti in orbita bassa, il proliferare di iniziative commerciali configurerà una delle grandi sfide dei prossimi anni: approvare trattati e leggi comuni su come ci si comporti fuori dall’atmosfera terrestre.



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