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Ax-3: o l’alba dei private astronauts

Tre Paesi, tra cui l’Italia, hanno comprato da Axiom Space una spedizione privata per i propri astronauti. È un cambio di paradigma: più opportunità di volo sulla Stazione spaziale, anche per i governi, non più legati solo alle turnazioni di Nasa e Roscosmos e ai pochi posti a disposizione dell’Esa.

DI EMILIO COZZI

Il 18 gennaio del 2024 qualcosa è cambiato.

Quando il Falcon 9 di SpaceX si è staccato dalla rampa 39A del Kennedy Space Center, a bordo della capsula Crew Dragon c’era quello che è stato presentato come “il primo equipaggio interamente europeo”. Importa poco che la notizia sia imprecisa –anche Yuri Gagarin era nato nella parte europea della Russia – e che sarebbe più corretto dire che sono le origini dell’equipaggio a essere europee.

A volare in orbita, infatti, sono stati un astronauta americano nato in Spagna, Michael López-Alegría, il turco Alper Gezeravci, lo svedese Marcus Wandt, selezionato come riserva dall’Agenzia spaziale europea (Esa), e l’italiano Walter Villadei, colonnello dell’Aeronautica militare. E se proprio si volesse attribuirle un record, quel che conta è che Ax-3 è stata la prima missione privata sulla Stazione spaziale internazionale finanziata dai rispettivi governi (escluso López-Alegría, che opera come dipendente di Axiom Space, l’“agenzia viaggi”).

Significa che per la prima volta, in questo caso davvero, l’equipaggio di una missione sulla Iss è stato composto in maniera autonoma rispetto alle turnazioni delle agenzie e degli enti spaziali.

Non è un caso, prima del lancio, la definizione stessa di astronauta sia tornata a sollevare qualche dubbio: al di là della convenzione per cui lo spazio inizia a 50 miglia negli Stati Uniti e a 100 chilometri altrove, per qualcuno l’essere “astronauti” implicherebbe necessariamente il superamento della selezione più rigida ed esclusiva al mondo, subordinato ai percorsi di addestramento delle agenzie spaziali.

È un distinguo non privo di legittimità nel caso dei partecipanti ai voli suborbitali di Virgin Galactic e di Blue Origin – un “salto” di qualche minuto ai margini del cielo – o dei passeggeri di Inspiration 4, fortunati che, stricto sensu, avevano vinto una lotteria. Non così diversi sono i casi di Axiom 1 e 2, con equipaggi perlopiù costituiti da facoltosi imprenditori con la fregola della gita extra-terrestre. Vero, nel caso di Ax-2, gli astronauti selezionati dalla Saudi Space Commission andrebbero considerati un’eccezione. Ma di là delle etichette, anche stavolta il punto non è tanto stabilire se siano o meno astronauti i protagonisti di Ax-3, quanto evidenziarne la definizione inedita: López-Alegría, Gezeravci, Wandt e Villadei sono, o almeno hanno volato come, “private astronauts”. E l’aggettivazione non è faccenda di lana caprina.

 

Un nuovo modello

A certificare la “novità” è stato lo stesso Walter Villadei, durante la conferenza stampa prima del lancio: “L’Italia sta creando un nuovo modello, un percorso parallelo a quello del corpo astronautico dell’Esa. È un approccio diverso, ma è la prova che il mondo sta cambiando. Si sta aprendo una nuova fase dello sfruttamento del volo commerciale e dell’orbita bassa”.

In quanto Paese membro dell’Agenzia spaziale europea, nel 1998 l’Italia si è impegnata a formare i propri astronauti in seno all’Esa. Su decisione dell’Aeronautica, Villadei, escluso dai candidati scelti alla selezione europea del 2009, fu inviato a Mosca per l’addestramento da cosmonauta. Quindi, appena aperta la possibilità, lo si è destinato a una missione privata.

Una scelta fatta dagli altri Stati che, sebbene in condizioni diverse rispetto all’Italia, hanno idealmente percorso la stessa strada: la Turchia, non un membro dell’Esa, ha selezionato e fatto volare il pilota militare Alper Gezeravcı, che tuttavia viaggia sotto le insegne dell’Agenzia spaziale turca. Marcus Wandt, altro pilota di caccia, è stato inviato dalla Svezia dopo la selezione, da parte dell’Esa, fra le sue riserve.

Quando si presenti un’opportunità, infatti, le riserve possono volare con le insegne dell’Esa, a patto che il costo sia sostenuto dallo stato di provenienza. “È per questo che abbiamo creato il corpo di riserva”, ha spiegato Frank De Winne, capo del Centro astronauti Esa di Colonia. Ed è per questo che sulla tuta del 43enne ingegnere svedese è cucito il logo dell’ente spaziale europeo. Villadei, infine, vola per una missione dell’Aeronautica militare.

 

Più opportunità coi privati

Tutto sembrerebbe suggerire il tramonto di un modello, pronto a riverberarsi anche nell’imminente epilogo della Stazione spaziale internazionale. Il presidio e il trasporto in orbita bassa non saranno più esclusivo affare di Stato, ma anche di privati, dai quali le agenzie spaziali e i governi acquisteranno un servizio, proprio come possono fare i “normali” cittadini (il primo fu Dennis Tito, nel 2001). Almeno all’inizio saranno permanenze di poche settimane, che non influiranno più di tanto sull’avvicendamento degli equipaggi scandito da Nasa e Roscosmos (le cui expedition durano, in media, sei mesi).

Proprio per la durata così lunga delle missioni, oggi le opportunità di volo sono scarse: l’Esa, in virtù di un contributo marginale rispetto agli Stati Uniti ai costi della Iss (8,3 percento), ha a disposizione poche occasioni per mettere un proprio astronauta sul sedile di una Dragon o di una Soyuz. “Non abbiamo molti voli, quindi non possiamo dare a ogni Stato membro un astronauta” è la riflessione di De Winne, riportata dal New York Times. Axiom è stata la prima ad aprire una nuova via.

Così Villadei, qualificatosi prima per operare una Soyuz, ha trovato l’opportunità di volo dopo l’addestramento con Axiom Space e la Nasa. L’Italia e la Svezia hanno pagato a parte per la missione, una spesa ulteriore rispetto ai finanziamenti garantiti all’Esa (l’Italia è il terzo contributore dopo Francia e Germania, ma alle ultime selezioni ha ottenuto solo due posti nelle riserve, Anthea Comellini e Andrea Patassa).

Di certo, ci sono gli oltre 33 milioni indicati nel bilancio dell’Aeronautica per il “Servizio di trasporto su Iss” del colonnello Villadei. Impossibile dire chi abbia messo la rimanenza, sebbene non sia da escludere un supporto privato (con Villadei volano in orbita Barilla, Dallara, Technogym, Gvm Assistance con PwC Italia, Spacewear e Rea Space per fare ricerca su propri prodotti, ne avevamo scritto qui). Lo stesso è accaduto per Marcus Wandt: i media svedesi parlano di 450 milioni di corone, circa 40 milioni di euro, di cui due terzi pagati dal governo e un terzo dai privati, come Saab Aerospace, che hanno assegnato a Wandt esperimenti tecnologici da svolgere a bordo della Stazione. Anche Polonia e Regno Unito hanno accordi con Axiom per far volare propri astronauti, una strada indipendente dalle selezioni Esa.

 

Tutti vogliono il top

Perché questa scelta? Anzitutto perché ora le opportunità sono aumentate, anche se per permanenze orbitali più brevi. Poi perché lo spazio e l’assenza di peso offrono condizioni non replicabili sulla Terra e garantiscono vi si possa lavorare al top per fare ricerca e innovazione di nuovi materiali, farmaci e tecnologie avanzate. Sulla Iss, oggi, è normale contare undici persone, quando prima erano al massimo nove. Legarsi ai pochi posti resi disponibili dalle turnazioni e dalle selezioni delle agenzie spaziali è limitante. E per quanto arrivare nello spazio e restarci per giorni costi decine di milioni – uno sforzo economico ancora enorme – alcune compagnie potrebbero decidere di farlo. Nel frattempo, si inviano test ed esperimenti con i private astronauts, contribuendo ai costi.

È sempre più chiaro a tutti – in primis all’Italia, che ha un accordo con Axiom già dal 2018 – che la strada per l’orbita sarà presto in mano a compagnie commerciali. Dismessa la Iss, ci saranno stazioni spaziali commerciali a fare da laboratori orbitanti, hub di ricerca, ma anche da hotel, arene per spettacoli e set cinematografici: è già stato girato il primo film, russo, sulla Iss, e si attende l’approdo di Tom Cruise proprio con una missione Axiom.

Difficile non interpretare tutto questo come un processo irreversibile: dove prima agiva solo il pubblico, capace di dispiegare il potenziale gigantesco delle attività spaziali, ora è il momento dei privati, dei quali i governi diventeranno clienti.

Per ora si rimane in una terra di mezzo, nella quale convivono due modelli, destinati a ibridarsi in modi non facili da prevedere. Le agenzie spaziali spariranno? Quasi certamente no; è ben più probabile, anzi, siano loro a (tornare a) spingere l’avanguardia dell’esplorazione umana del cosmo. Magari anche avvalendosi di squadre di professionisti addestrate su strutture e con programmi privati, in orbita, per poi essere inviate sulla Luna.

Fino a quando, tra qualche decennio, anche le lande seleniche ospiteranno basi e insediamenti e il processo, a quel punto, potrebbe ripetersi per Marte.



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