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La fusione spaziale di Thales e Airbus, che potrebbe avere ripercussioni su Iris2. E il ruolo di Leonardo

Ci sono l’intenzione di sfilarsi dal consorzio per una Starlink europea e il piano delle due compagnie per unire i programmi spaziali. Discussioni che Leonardo non ignora

DI EMILIO COZZI

Un fremito agita gli equilibri dello spazio europeo. È presto per dire che si sia sconvolto qualcosa, ma le notizie arrivate fra il 16 e il 17 luglio meritano attenzione, perché coinvolgono due delle più grandi aziende manufatturiere del settore e la più attesa costellazione continentale, a rischio ancora prima di nascere. 

Due scoop del francese La Tribune hanno svelato che Airbus e Thales, attraverso le partecipate Airbus Defence & Space e Thales Alenia Space, hanno intenzione di ritirarsi dal consorzio SpaceRISE, costituito con lo scopo di aggiudicarsi il mercato di Iris², la nuova costellazione di connettività satellitare dell’Unione, la risposta europea a Starlink. 

Secondo le fonti della testata francese, l’intenzione è stata espressa con una lettera inviata dalle filiali dei due colossi della manifattura spaziale agli operatori satellitari (Ses, Eutelsat e Hispasat) per proporre loro di ritirarsi da SpaceRise (acronimo di Space consortium for a resilient, interconnected and secure Europe, che si compone di Airbus Defence and Space, Eutelsat, Hispasat, SES e Thales Alenia Space). La notizia si inserisce nel più ampio quadro delle alleanze e joint venture che legano i colossi spaziali del Vecchio Continente: secondo le indiscrezioni rese pubbliche da La Tribune, infatti, Airbus e Thales avrebbero avviato colloqui esplorativi per studiare una fusione delle proprie attività spaziali e contrastare la crescente concorrenza, in primis statunitense, nel segmento satelliti.

Più grandi per affrontare la crisi

Si parta proprio da quest’ultimo punto.

Più volte, negli ultimi mesi e anni, il ceo di Airbus, Guillaume Faury, ha lamentato una crisi del comparto satelliti europeo: il 25 giugno la società ha comunicato un accantonamento di 900 milioni di euro legato ad “alcuni programmi spaziali di telecomunicazione, navigazione e osservazione” con impatto negativo sull’utile. Thales Alenia Space ha annunciato un ricollocamento di 1.300 dipendenti a causa del calo strutturale della domanda di satelliti per le telecomunicazioni. 

Diverso il discorso relativo a Thales Alenia Space Italia, che naviga in acque decisamente migliori, in particolare grazie alle commesse delle agenzie spaziali (Esa e Nasa, gli ambienti per il Lunar Gateway), ai fondi Pnrr per la nuova costellazione Iride e a committenze private come quella per la costruzione della nuova stazione commerciale di Axiom Space. L’idea alla base delle discussioni in corso sarebbe di fare “massa critica” per essere più forti sul mercato. E di fondere le attività extra-atmosferiche di Airbus e Thales. 

I bracci spaziali delle due compagnie sono la divisione Airbus Defense and Space e Thales Alenia Space, joint venture di Thales (al 67%) e Leonardo (33%). A sua volta Thales partecipa, con percentuali invertite a favore di Leonardo, a Telespazio, che si occupa della gestione dei satelliti e delle infrastrutture di terra. L’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, ha dichiarato alla Reuters di stare “lavorando molto con Thales e Airbus per nuove visioni strategiche nello spazio“. La Tribune ipotizza possa nascere un soggetto simile al consorzio dei missili Mbda, realtà partecipata dalle due compagnie e da Bae Systems. Se la cosa andasse in porto – ogni tentativo fatto finora, il più recente nel 2019, non ci è riuscito – non sono da escludere riequilibri nelle partecipazioni e nuovi assetti societari. Resterà da superare lo scoglio dell’Antitrust, l’Agenzia europea che monitora la concorrenza e impedisce la nascita di monopoli.

Sarà anche e soprattutto una partita politica, dato che le tre aziende, oltre a essere strategiche per la Difesa e la sicurezza nazionale, sono partecipate pubbliche. Airbus dai governi francese e tedesco, Leonardo da quello italiano. È in questo contesto che va inquadrata l’intenzione di abbandonare il consorzio per la più grande infrastruttura spaziale europea mai concepita: Iris².

Passo indietro

È una questione complessa, anzitutto economica, e afferente il rischio d’impresa per una infrastruttura innovativa (e dalla conformazione non ancora testata). Parte del programma europeo Govsatcom, Iris² – acronimo di Infrastructure for resilience, interconnectivity and security by satellite – è una costellazione multiorbitale, costituita cioè da decine di satelliti in orbita bassa e media, per garantire una autonomia di connessione alle istituzioni europee, ai governi e alla Difesa dei paesi membri dell’Unione. Insieme, la costellazione si compone anche di una infrastruttura commerciale, deputata a venderne i servizi ai privati.

Qualche numero: l’Unione europea ha stimato il costo di Iris² in circa 6 miliardi di euro e ne ha stanziati in totale 2,4, dal 2023 al 2027; 750 milioni sono l’impegno dell’Agenzia spaziale europea, che è partner in questa impresa. Il resto prevede una copertura dei privati che la costruiranno. È scritto nel “Regolamento che istituisce il programma dell’Unione per una connettività sicura per il periodo 2023-2027”. In sostanza chi si aggiudica gli appalti finanzierà l’infrastruttura commerciale, perché i satelliti della parte commerciale saranno diversi da quelli per uso governativo. I 2,4 miliardi stanziati dall’Ue copriranno invece l’infrastruttura governativa, di cui l’Unione rimarrà proprietaria. Il resto è rischio d’impresa.

Rischio che, pare evidente, Airbus e Thales considerano eccessivo.

I servizi tramite l’infrastruttura governativa, che richiedono alti standard di sicurezza, saranno gratuiti per le istituzioni (e per entità autorizzate). Le stesse potranno anche acquistare, a prezzi di mercato, servizi di connessione attraverso l’infrastruttura commerciale.

Sempre secondo La Tribune, Airbus Difense & Space e Thales Alenia Space non intendono comunque sfilarsi completamente dal progetto, “in cui credono”; vorrebbero restare come fornitori all’interno del Core Team, già formato da Ohb, Deutsche Telekom, Orange, Telespazio, Hisdesat e Thales, per partecipare a una sfida strategica con il loro know-how di massimo livello. Per farlo, servirà comunque una “fase contrattuale preliminare di 12 mesi per effettuare studi di ‘de-risking’ su tecnologie non ancora mature per una costellazione presente su due orbite (bassa e media) che è una prima mondiale”. Dopo i ritardi già accumulati, è molto probabile i tempi si allungheranno ancora.

Iris² nel limbo

Dopo la formazione del consorzio SpaceRise, nel maggio 2023, l’attesa per una proposta industriale da parte degli attori che lo compongono si è via via allungata. Era stata annunciata per marzo 2024; non è escluso c’entrino concause diverse, dalle elezioni europee di giugno allo slittamento alla legislatura successiva della legge europea sullo spazio (un provvedimento che avrebbe potuto, il condizionale è doveroso, modificare le regole del gioco), anch’essa attesa (invano) per la scorsa primavera. 

Si tratta, de facto, di uno degli investimenti spaziali più ingenti da parte dell’Unione europea e, a livello strategico, dell’acquisizione di una autonomia al momento mancante al Vecchio continente; in caso di eventi nemmeno troppo remoti, come una guerra o una catastrofe naturale che dovessero mettere in crisi la rete di antenne terrestri, Iris² permetterebbe una continuità di connessione in primis per gli enti che governano regioni, Stati e l’Unione stessa.

Le esigenze del pubblico, in questo caso, sembrano però non collimare con quelle industriali. Difficile trovare rassicurazioni nelle parole di Cingolani, peraltro ex ministro alla Transizione ecologica del governo Draghi: “Cerchiamo di non fare danni. La competizione è mondiale e come europei dobbiamo farci forza l’un l’altro” ha detto a margine della presentazione a Montecitorio del Piano industriale 2024-2028 di Leonardo.L’augurio, come quello del manager, è che le discussioni in corso stimolino nuove strategie spaziali e rinforzino l’Europa anche oltre l’atmosfera. Ce ne sarebbe bisogno.



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