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Sulla scia di Ariane 6, l’Europa dello spazio cerca il suo rilancio

Il nuovo vettore Esa è decollato per la prima volta il 9 luglio. Con lui sono ripartite anche le speranze di fronteggiare la concorrenza internazionale, nonostante le critiche per i ritardi, i costi e l’impostazione.

DI EMILIO COZZI

Il motore Vulcain 2.1 e i due booster P120C ruggivano, ma martedì 9 luglio erano le speranze di buona parte dell’Europa a spingere Ariane 6 oltre il cielo. Sebbene il Vinci, il propulsore del secondo stadio, non abbia funzionato in modo nominale, riaccendendosi due volte sulle tre previste, tutti allo spazioporto di Kourou, in Guyana Francese, hanno esultato: l’Agenzia spaziale europea, quella francese (il Cnes), Arianespace e il lungo elenco di clienti in attesa che il nuovo vettore spaziale dimostrasse di funzionare (e che adesso diventi pienamente operativo). Perché è sempre con il cuore in gola che si guarda decollare un razzo mai staccatosi dal suolo prima.

Un anno dopo l’ultimo volo di Ariane 5, il 9 luglio del 2024 potrebbe aver segnato l’inizio un nuovo capitolo della storia spaziale: l’Europa torna ad avere un vettore che le consente l’accesso autonomo all’extra-atmosfera, uno di quelli definiti “pesanti”, capace di trasportare in orbita bassa fino a 21,6 tonnellate, e 11 tonnellate e mezzo in orbita geostazionaria. Non solo: Ariane 6 farà anche da traghettatore nel grande salto verso la Luna, per consegnare carichi ed esperimenti a supporto del programma Artemis e per un’iniziativa made in Europe, sotto la spinta di un rinnovato entusiasmo dopo gli anni recenti, in cui il panorama era – doveroso dirlo – striato con toni di grigio.

Una volta a pieno regime, dall’Esa promettono che Ariane 6 garantirà dai dieci ai venti voli ogni anno. Un numero impensabile fino a poco tempo fa: proprio per ridurre i tempi tra una missione e la successiva e per aumentare le opportunità di lancio con vettori di dimensioni ridotte, il Centre Spatial Guyanais è stato oggetto di un rinnovamento significativo, con strutture nuove che ora svettano nel mezzo della giungla pluviale. Tra loro, la grande rampa di lancio mobile, sull’orizzonte della foresta amazzonica.

Saranno i motori dell’Ariane 6, il Vulcain 2.1, il Vinci e i booster a propellente solido (made in Italy, costruiti da Avio), a consentire nuovi obbiettivi. Le orbite, certo, ma con la Luna e il trasporto umano all’orizzonte.

 

Un lungo travaglio

Sostenere che la gestazione di Ariane 6 non sia stata semplice sarebbe eufemistico; il nuovo sistema di lancio si è staccato da terra quattro anni dopo il previsto, un ritardo dovuto a problemi di natura tecnica, al redesign di alcune parti, ai rallentamenti nei test e, nelle ultime fasi, anche nei sistemi di terra. E sebbene il percorso abbia incrociato anche una pandemia, il 2020 avrebbe dovuto scrivere l’atto conclusivo, meglio, il debutto. Ci si è invece attardati ulteriormente, con un aggravio di costi che ha fatto storcere il naso a critici via via più numerosi.

Anzitutto perché il nuovo vettore prometteva proprio di essere più economico e competitivo rispetto allo strapotere dei prezzi praticato da SpaceX. Un obbiettivo tradottosi, all’Esa Council di Siviglia nel novembre 2023, in ulteriori fondi stanziati a favore dei nuovi vettori “continentali”: fino a 340 milioni di euro all’anno per Ariane 6 e 21 milioni per Vega C, altro grande assente dopo il failure del dicembre 2022, e che, si spera, tornerà a volare entro la fine dell’anno in corso. I fondi sono e saranno spesi per “coprire parte dei costi di produzione aggiuntivi, in gran parte dovuti alle significative pressioni inflazionistiche nell’Eurozona degli ultimi due anni”. Altre risorse pubbliche, dunque, per un vettore che, all’inizio, aveva l’ambizione di presidiare il mercato senza finanziamenti statali aggiuntivi e, nondimeno, di consentire prezzi (al chilo e per lancio) in un testa a testa serrato con SpaceX. Un’altra promessa che, nel decennio intercorso fra l’approvazione del progetto in sede Esa e il decollo del 9 luglio, è diventata impossibile da mantenere.

 

Il (difficile) confronto con SpaceX

Per fare due conti, l’esempio più significativo rimane il telescopio spaziale Euclid: l’Esa ha dovuto lanciarlo con un Falcon 9, spendendo 70 milioni di euro. Trasportarlo in orbita con un Ariane 62 sarebbe costato 90 milioni. Nella configurazione con quattro booster, Ariane 64 è paragonabile a un Falcon 9, ma con un prezzo che si aggira attorno ai 115/130 milioni di euro per lancio. Con un costo al chilo, dunque, vicino al doppio.

I nuovi sussidi serviranno ad abbassarne il costo per mantenere Ariane 6 concorrenziale. Per i critici, e non sono pochi, l’assist perfetto per definire il nuovo lanciatore pesante europeo un’evoluzione, ma non certo una rivoluzione, men che meno quello strappo necessario per competere in un mercato stravolto nei due lustri più recenti. Nato con l’idea di preferire la modularità alla riutilizzabilità, Ariane non ha componenti riusabili, caratteristica con cui SpaceX ha sconquassato l’intero settore; chi lo difende rimarca tuttavia che l’azienda di Elon Musk può praticare prezzi competitivi perché i sussidi li riceve sotto altra forma – come scrivemmo qui – vendendo cioè a prezzi molto più alti i servizi di lancio alla Nasa e alla Difesa.

L’unico modo per smentire i detrattori sarà che Ariane 6 mantenga l’affidabilità assicurata dal suo predecessore, il cui più glorioso exploit fu la consegna, con una precisione celebrata dalla Nasa, del prezioso James Webb Space Telescope, un osservatorio spaziale costato 10 miliardi di dollari. E tutto mentre nel medio e lungo periodo un cambio di paradigma appena inaugurato dovrebbe portare ad abbandonare il duopolio di Arianegroup e Avio e stimolare la crescita di altri attori, privati, che si confronteranno sul mercato con soluzioni innovative.

Nel frattempo, Ariane 6 gode di una fiducia già accordata da clienti importanti, che ancor prima della validazione hanno composto un backlog unico per un razzo mai volato nello spazio: 30 ordini, fra lanci istituzionali e contratti commerciali, di cui 18 per la messa in orbita della megacostellazione per la connettività internet a banda larga Kuiper, di Amazon.

 

Gli anni horribiles dell’europa spaziale

Sono due gli episodi capaci di dare conto del clima attorno al debutto di Ariane 6. Secondo un’anticipazione (non smentita) del francese Le Monde diffusa dieci giorni prima del “décollage”, uno dei 30 clienti avrebbe, de facto, scaricato Ariane 6 e Arianespace (la società europea che commercializza i voli di Ariane e, fino allo scorso 5 luglio, quelli Vega) per “saltare” su un Falcon 9. E non una società o ente qualsiasi, ma una istituzione europea: Eumetsat, l’organizzazione intergovernativa che gestisce la rete europea dei satelliti meteo.

Il ritiro è avvenuto senza nemmeno conoscere l’esito del primo volo, per quelle che il direttore generale di Eumetsat, Phil Evans, ha definito “circostanze eccezionali”, senza però specificare perché il satellite Mtg-S1, gioiello d’avanguardia, nel 2025 decollerà in testa a un razzo SpaceX e non a un Ariane 6. Come comprensibile, la notizia non è stata ben accolta dai vertici dello spazio europeo, a cominciare dal capo del Cnes, Philippe Baptiste, e dal direttore generale dell’Esa, Josef Aschbacher.

Secondo fatto. In risposta alle conclusioni dell’ultimo Consiglio Esa-Ue, lo scorso maggio, Asd Eurospace, associazione che raggruppa le principali aziende europee del settore, ha sentito il bisogno di evidenziare che le cose non stanno andando per il verso giusto. Toccando il nervo scoperto: “Il basso volume dei mercati istituzionali europei” rispetto agli omologhi dei concorrenti che “sono diverse volte più grandi di quello europeo e per lo più vincolati (cioè non accessibili a operatori non nazionali)”.

Non è da ieri che l’industria continentale chiede ai governi di aumentare la domanda di servizi spaziali, per dare ossigeno e spinta a un settore, quello dei lanciatori in particolare, che boccheggia e che, invero, è abilitante per settori diversi e anche non legati in maniera diretta alle attività extraterrestri. E invece l’Europa, momentaneamente senza capacità di accesso autonomo allo spazio, ha dovuto rivolgersi a SpaceX per lanciare satelliti importanti, anche strategici: Cosmo-SkyMed, Euclid, Galileo, EarthCare. La prossima volta sarà per Hera, fondamentale missione per la difesa planetaria. Quindi, chissà se buon ultimo, toccherà al satellite Eumetsat. Ci si augura sia l’epilogo della crisi.

Il compito di Ariane 6 sarà quello di accendere, con i suoi motori, una luce in questi anni horribiles. Per dimostrare a tutti di non essere nato già vecchio.



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