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India e Stati Uniti: insieme in orbita, sulla Luna e oltre.

Siglati nuovi accordi tra Isro e Nasa e tra gli advisor per la sicurezza dei due Paesi: astronauti indiani sulla Iss e una collaborazione per il Lunar Gateway. Per gli Stati Uniti un alleato cruciale anche in ottica anti-cinese. Mentre l’economia spaziale del Subcontinente decolla

DI EMILIO COZZI

Impossibile sostenere di non averla vista arrivare. L’India è sbarcata sulla Luna il 23 agosto del 2023, diventando la quarta nazione ad approdare sul suolo selenico. Un’impresa che fino a quel momento – poco dopo sarebbero arrivati anche il Giappone e la prima avventura privata – era riuscita solo a Russia, Stati Uniti e Cina.

È successo, non a caso, mentre al Sandton Convention Centre di Johannesburg era in corso il quindicesimo vertice Brics.

È stata un’occasione ghiotta per il primo ministro, il neo rieletto Narendra Modi, pronto a ribadire urbi et orbi quanto il suo Paese potesse essere già considerato nel novero delle nuove, grandi, realtà che saranno protagoniste nel settore dell’innovazione per eccellenza.

L’India è un colosso dal peso strategico enorme per la sua posizione e la sua influenza, per Pil e popolazione. Le ambizioni di New Dehli oltre l’atmosfera vengono tenute d’occhio con molto interesse da Washington. Già lo scorso anno, a giugno in questo caso, le due potenze avevano stretto patti significativi su molti dossier. In quell’occasione Modi aveva incontrato il presidente Joe Biden e sottoscritto, ventisettesimo a firmarli, gli Artemis Accords, una serie di principi comuni per regolare l’esplorazione e lo sfruttamento di risorse lunari negli anni a venire.

Tutto lo conferma: New Delhi ha deciso di ritagliarsi un posto tra i grandi dovunque sia possibile.

 

Patti rinnovati, spazio e tecnologia

A metà giugno, durante un nuovo incontro per portare avanti la U.S.-India initiative on Critical and Emerging Technology (iCet), il Consigliere per la sicurezza nazionale americana, Jake Sullivan, e il suo omologo indiano, Ajit Doval, hanno fatto “progressi significativi verso l’approfondimento e l’espansione della cooperazione strategica in settori tecnologici chiave come lo spazio, i semiconduttori, le telecomunicazioni avanzate, l’intelligenza artificiale, la quantistica, le biotecnologie e l’energia pulita”.

L’America cerca, e con l’India trova, una sponda anche per contrastare la concorrenza asiatica, che in alcuni casi è strapotere, come nell’ambito dei semiconduttori (Taiwan la fa da padrona, ma su Taipei incombe l’ombra di Pechino) o delle terre rare, in cui è la Cina a primeggiare con un distacco solido (percepibile anche in Europa nel mercato delle auto elettriche).

L’ampio scenario di collaborazioni prevede di destinare 90 milioni di dollari nel prossimo quinquennio al U.S.-India Global Challenges Institute, con fondi per università e centri di ricerca, ma anche aziende e start up americane e indiane.

È in questo quadro, in cui è coinvolta anche la Difesa, che si rafforza l’intesa per la cooperazione extra-atmosferica. Il già annunciato accordo prevede di “assicurare un vettore per il primo sforzo congiunto tra gli astronauti della Nasa e dell’Isro [l’agenzia spaziale indiana, ndr.] sulla Stazione spaziale internazionale” e l’addestramento di astronauti indiani al Johnson Space Center. Nonché il lancio di un satellite progettato dagli Stati Uniti e costruito dall’India, il Nisar, con radar ad apertura sintetica per l’osservazione della Terra. Non meno interessante è l’avvio di una nuova partnership tra la U.S. Space Force e le startup indiane 114ai e 3rdiTech, anche per “far progredire la space situation awareness [il controllo del traffico in orbita, ndr], le tecnologie di fusione dei dati e la produzione di semiconduttori per sensori a infrarossi”.

Alla Vandenberg Space Force Base in California, l’India ha inoltre preso parte, come osservatrice, al recente Global Sentinel Exercise, durante il quale 25 Paesi affrontano scenari diversi nel dominio spaziale, come il tracking di oggetti in orbita, nell’ambito della space situation awareness. Infine, si sono messe le basi per una collaborazione dell’Isro alla stazione spaziale in orbita lunare, il Lunar Gateway, il programma internazionale a guida statunitense cui collaborano Canada, Europa e suoi Paesi membri, Giappone ed Emirati Arabi Uniti.

Nel frattempo, il gigante asiatico ha già raggiunto traguardi pesanti: come detto, ad agosto del 2023, ha appoggiato in modo controllato il lander e il rover della missione Chandrayaan-3 nella regione del Polo sud lunare, la prima a muovere la polvere di quella zona. L’avventura indiana nello spazio profondo risale addirittura a dieci anni prima: Mangalyaan, la Mars orbiter mission, partita nel 2013, è entrata con successo in orbita marziana nel settembre dell’anno successivo. Oltre ad aver lanciato in orbita più di un centinaio di satelliti e missioni, la metà dei quali negli ultimi dieci anni.

L’Isro sta sviluppando Gaganyaan, un suo veicolo per il trasporto degli astronauti e, giusto a febbraio 2024, ha selezionato i primi quattro pellegrini extra-atmosferici del nuovo corso – informalmente indicati come vyomanauti, dal sanscrito “vyoma” che significa spazio o cielo. Quelli che, par di poter dedurre, si addestreranno alla Nasa. Il programma Gaganyaan prevede un volo di test – senza equipaggio – già entro la fine dell’anno in corso e uno nel 2025, per la prima volta con astronauti a bordo.

Nel frattempo, oltre al parco vettori già in uso (sono tre, tutti piuttosto “leggeri”, coi quali però fa concorrenza sul mercato internazionale), l’India sta sviluppando i lanciatori pesanti per grandi carichi e per il trasporto umano.

Detto altrimenti, New Delhi si sta rendendo indipendente per tutte le esigenze di accesso allo spazio e non è escluso possa disporre di un veicolo per il trasporto degli equipaggi prima dell’Europa.

 

L’apertura a stranieri e privati

Dalla fondazione dell’Isro nel 1969, diverse aziende statali come Hindustan Aeronautics Limited (Hal) o Antrix Corporation, e aziende private come Godrej Aerospace, Ananth Technologies e Larsen & Toubro hanno contribuito alla produzione di razzi, satelliti e altri componenti spaziali per l’agenzia nazionale. Tuttavia, il primo grande impulso al settore spaziale privato è arrivato nel 2020, quando è stato istituito il Centro nazionale indiano per la promozione e l’autorizzazione dello spazio (In-Sace), con il compito di promuovere, autorizzare e supervisionare varie attività spaziali di enti non governativi. Cioè i privati.

Sebbene ancora tutto dipenda dagli investimenti governativi, l’anno scorso la “India Space Policy 2023” ha fissato un nuovo paradigma: “Aumentare le capacità spaziali; abilitare, incoraggiare e sviluppare una fiorente presenza commerciale nello spazio; utilizzare lo spazio come motore dello sviluppo tecnologico e dei benefici che ne derivino negli ambiti affini; proseguire le relazioni internazionali e creare un ecosistema per un’attuazione efficace delle applicazioni spaziali fra tutte le parti interessate”. È stato l’ultimo, imperativo, via libera per nuove conquiste.

Quest’anno il Governo ha dato il via libera al 100% di investimenti stranieri diretti nelle tecnologie spaziali, una mossa che, secondo le analisi, ha fatto lievitare del 7% le azioni del settore. Gli investimenti esteri sono piovuti, così le collaborazioni, non ultima quella con gli Stati Uniti e anche con l’Italia, presente pochi giorni fa all’India Space Congress.

 

La grande India

La space economy in India vale circa 8 miliardi di dollari, circa il doppio di quella italiana. Secondo un rapporto dello studio Deloitte Consultancy, gli investimenti privati sono aumentati del 77% tra il 2021 e il 2022 e ci sono quasi 190 nuove start-up spaziali. Ciò indica il potenziale inutilizzato del settore. Secondo le stime dell’In-Sace, “l’economia spaziale indiana ha il potenziale per raggiungere 44 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni”. Cioè quasi cinque volte il valore attuale. Si prevede la crescita sarà trainata proprio da questa apertura a investitori e collaborazioni con l’estero, ma ben distinta da un mantra: la produzione manifatturiera deve essere Made in India.

Sono cifre impressionanti, ma non inverosimili. Basti ricordare l’ovvio: l’India conta oltre un miliardo e 400 milioni di cittadini, è diventata lo Stato più popoloso del mondo (i Paesi del G7 più tutta l’Europa, insieme, non ci arrivano nemmeno vicino) ed è la quinta economia mondiale. Il suo Prodotto interno lordo insidia ormai il quarto posto della Germania e, fatto non marginale, nell’area orientale il Paese è un concorrente formidabile della Cina.

Per questi motivi gli Stati Uniti la vogliono dalla loro parte. Anche oltre l’atmosfera.



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