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Space jobs: trovare lavoro ai tempi della (new) space economy (parte I)

Si cercano (ingegneri, soprattutto, il core è cambiato poco) e si cercheranno nel futuro esperti di IA, cyber, ma anche architetti e psicologi in ottica Luna e Marte. Le strade sono diventate quasi infinite, come le possibilità. E la “caccia” ai profili migliori è aperta. Da quattro tra le aziende spaziali leader in Italia, – due “big” come Thales Alenia Space e Ohb Italia, e due pmi in grande ascesa, D-orbit e Argotec – una riflessione in due puntate sui lavori “spaziali”

DI EMILIO COZZI e MATTEO MARINI

AAA ingegneri cercansi, ancora. E sempre di più, a onor di precisione. Se si confrontassero gli annunci di lavoro di un’azienda che opera nello spazio, trent’anni fa e adesso, le differenze non sarebbero così evidenti. Per lavorare nel settore si passa da ingegneria, principalmente. Quello che fa ben sperare è che il lavoro, nella new space economy, sembra in aumento. In Italia, complice il Pnrr, fondi e investimenti sono schizzati, è il caso di dirlo, alle stelle. E senza temere la bolla, si assume, perché le stime, anche a livello globale, prevedono comunque una ripida e rapida ascesa di tutto il comparto: le strade sono diventate quasi infinite (si pensi agli “avvocati spaziali”, profilo di cui poco si parla ma già ben necessario), come le possibilità. La “caccia” ai profili migliori è aperta.

Così, accanto a system engineers, IT, elettronici e meccanici, oggi i profili richiesti riguardano anche la propulsione, l’ottica, l’IA per satelliti piccoli e intelligenti. Il cloud imporrà competenze cyber, mentre l’esplorazione lunare e la “spazializzazione” di aziende dei settori più disparati vedranno ibridarsi un po’ tutto. Space architects e “umanisti” sulla Luna, giusto per lanciare una bella suggestione. Ne abbiamo parlato con esponenti di quattro tra le aziende leader del settore. Due “big”, Thales Alenia Space e Ohb Italia (parte del colosso Ohb SE), e due Pmi in vigorosa crescita: Argotec e D-Orbit.

Anche quando si tratti dell’economia di un nuovo modo di approcciarsi al settore, dunque, gli space jobs a cui “applicare”, ci si conceda un inglesismo pertinente, sono perlopiù per le stesse professionalità di un tempo. “Che cosa significa new space economy?” si chiede a tal proposito Massimo Comparini, amministratore delegato di Thales Alenia Space Italia. “Se parliamo dell’economia generata dalle infrastrutture in campo spaziale, le competenze per costruire un satellite sono quelle che si apprendono in ingegneria elettronica, informatica e meccanica. Non ci sono figure nuove rispetto a vent’anni fa; certo, sono aggiornate ai tempi e alle esigenze correnti, per esempio sui nuovi materiali o sulla contaminazione con le tecnologie digitali. C’è un’evoluzione delle competenze di base che servono a costruire infrastrutture spaziali. Non vedo, però, una cesura tra old e new space economy”.

Un’analisi che trova corrispondenza anche in un’altra realtà gigantesca della space economy nostrana, Ohb Italia, parte del gruppo con sede a Brema e che assomma oltre tremila dipendenti. L’azienda italiana ne conta 270, di cui 40 assunti nel 2022 e 62 nel 2023, e con un reclutamento di altri 50 nel corso del 2024: “Figure senior a livello di ingegneria di sistema sono tra le più ricercate al momento – spiega Raffaele Staffiere, Hr manager di Ohb Italia – dal responsabile del Centro di controllo e del ground segment al manager che si occupa di verifica, calibrazione e validazione del satellite”. Parliamo di attività in qualche modo core dell’industria spaziale, o che lo sono diventate nel corso di questi anni di boom. Staffiere fa alcuni esempi relativi alla società per cui lavora: “Satellites & missions, Earth observation, Space situational awareness e Space surveillance & tracking (monitoraggio e gestione dei rischi in orbita), Equipment, Scientific & planetary instruments: di conseguenza le nostre ricerche di personale si concentrano attorno a hard skills in queste attività”. Un caso particolare è quello, per esempio, di uno strumento nuovo: “Ohb Italia ha sviluppato un importante telescopio di terra, il Flyeye (occhio di mosca). Siamo particolarmente attivi nella ricerca delle professionalità che riguardano le ottiche: ingegneri, optomeccanici e Ait engineer”.

Anche dalle parti di Torino si cercano esperti di ottica e telescopi: in Argotec, dove sono nati la sonda Liciacube e la piattaforma su cui è basata, Hawk. Realizzata da un’allora piccola realtà con poche decine di dipendenti, Hawk ha volato due volte con la Nasa – per Liciacube e Argomoon – e Argotec, forte di un successo e di un’affidabilità ormai conclamati, ha nel frattempo consolidato la propria posizione nel settore dei satelliti autonomi. “Abbiamo impiegato un anno e mezzo per trovare un esperto di ottica, telescopi che operano nello spazio, perché c’era la necessità di espandere le competenze in questo settore. Ho visto due curricula in un anno e sei mesi” racconta Giulia Peretto, Human Capital Specialist della società torinese, di recente estesasi anche negli Stati Uniti con una sede aggiuntiva.

Sono due realtà aziendali molto diverse, Ohb e Argotec, ma entrambe capaci di attrarre talenti e competenze di alto profilo. In Italia ci sono 415 società attive nel settore core e non-core spazio, lo conferma un rapporto su “Space Economy, Space Industry e Space Law”, presentato di recente al ministero del Made in Italy e redatto da Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine, Space Economy Evolution Lab di Sda Bocconi School of Management e dall’Università la Sapienza di Roma. Il 62% si colloca nel segmento upstream, il 28% nel midstream e il 50% nel segmento downstream. Dal punto di vista dimensionale, il 7% delle imprese rientra nella classificazione di “grande”, il 66% è costituito da piccole e medie aziende, mentre il restante 27% dalle startup.

Lungi dall’essere una di queste ultime, Argotec delinea una realtà in cui il satellite è una concezione e una produzione totalmente in house. Fasi cui presto andrà ad aggiungersi una parte di manufacturing. Anche qui tutto ruota intorno agli ingegneri: “aerospaziali, meccanici elettronici, delle telecomunicazioni e software – prosegue Peretto – lato manufacturing cerchiamo operatori per l’assemblaggio e per tutta la parte del collaudo meccanico ed elettronico. I nostri ingegneri partono da progettazione e design, disegno meccanico e tecnico, coprono dalla prototipazione fino alla produzione, il testing, l’invio in orbita e il monitoraggio”.

Poi ci sono le figure coinvolte nella comunicazione e nel marketing, che si possono considerare trasversali: la necessità di fare branding e il business development sono una fase di grande fermento. Come la stessa Argotec, d’altronde, che nei quindici mesi recenti ha più che raddoppiato il suo staff, “da 60 a 150 persone, con l’intenzione di arrivare a 250 nel 2025” sottolinea Peretto: “Abbiamo fatto selezioni di ogni tipo e creato team di lavoro completamente nuovi, come quello dell’IT, delle infrastrutture, tutta la gestione del processo di sviluppo, business, marketing, lato risorse umane e finance”.

In situazioni più piccole la gestione di un prodotto concepito e sviluppato in house implica la gestione multidisciplinare in tutte le fasi. “Non ci sono compartimenti stagni. Dal punto di vista manageriale – il project management – servono competenze nella gestione del budget e della tempistica, ma è implicito anche un consistente know how tecnico. I pm in ambito spaziale vantano competenze ingegneristiche, aspetto che li rende fra i più richiesti in assoluto” nota Peretto.

Discorso non dissimile da quello di un’altra Pmi, che tra poco non sarà più tale: D-Orbit. Partendo proprio dal manageriale: “C’è bisogno di chi faccia le cose, di qualcuno che anche senza esperienza in un grande team abbia le ‘mani in pasta’ nel quotidiano” suggerisce Andrea Di Nunzio, chief people officer dell’azienda di Fino Mornasco. Il prodotto di punta, per D-Orbit, oggi è Ion, sorta di rivoluzione per la logistica spaziale: è un satellite che fa da taxi, carrier, per altri micro e nanosat, e che è anche in grado di diventare un laboratorio orbitante per testare materiali e tecnologie, comprese quelle digitali.

La ricerca di profili professionali riguarda, in primis, gli “ingegneri di sistema: due componenti molto forti sono la propulsione e la parte termica. Sono molto difficili da trovare sul mercato e, prevedibilmente, attraggono anche l’attenzione dei nostri competitor – ammette Di Nunzio – sempre in ambito technology, hardware e prototyping.  Sulla parte operation, quella che garantisce l’esecuzione della missione, le figure sono invece più ‘standard’. I nostri tecnici si occupano di assemblaggio e di flight operation, le persone che garantiscono le manovre in orbita”.

Si parla di ingegneria aerospaziale ma non solo, precisa Di Nunzio, perché “la parte propulsiva, per esempio, è affine a quella di altri mercati, come quello delle compagnie aeree. Tutta la parte di gestione dell’aerodinamica e di studio dei materiali, invece, la cerchiamo in ambito strettamente spaziale, perché il comportamento dei materiali è diverso da ciò che avviene all’interno dell’atmosfera e implica una competenza più di dettaglio”.

Il rapporto offerto al ministro Adolfo Urso cita, tra i tanti punti di forza della filiera nazionale, anche un “ecosistema virtuoso tra industria, università e centri di ricerca”. È vero soprattutto per le grandi realtà, molto attrattive: “i poli universitari italiani con cui collaboriamo e che formano ingegneri, come quelli di Milano, Torino, Trento, Roma e Napoli, hanno ottimi livelli di preparazione tecnica – aggiunge Staffiere di Ohb – sta poi all’azienda e alla funzione Hr valorizzare le proprie risorse, orientarle verso il futuro e alla capacità di rinnovarsi. È vero anche che, a volte, emergono necessità di profili particolari sulla base di nuove missioni spaziali che l’azienda è riuscita ad aggiudicarsi. In questi casi lo screening dei candidati è profilato sugli obiettivi di missione, quindi molto accurato”.

Con alcune criticità, che però non sfuggono a chi ha un osservatorio privilegiato: “le nostre università formano ingegneri e tecnici di primo livello, ma sono pochi, rispetto a India e Cina – riflette Comparini – da noi si laureano un migliaio di ingegneri elettronici, ma il 30 percento è costituito da stranieri, e sono poche centinaia gli italiani che restano qui. Quindi sì, i nostri centri di formazione sono importanti, ma per restare fra i Paesi di punta dobbiamo ambire a una crescita, dobbiamo sostenerla, soprattutto in questo momento di declino demografico”. Thales Alenia Space, nel biennio recente, è cresciuta di circa 650 unità, “da 2.200 a 2.850 – conferma Comparini – la maggior parte è costituita da ingegneri con cinque anni di specializzazione e da fisici. Abbiamo attivato un processo di recruitment importante in collaborazione continua con i centri di ricerca e le università. Abbiamo anche costituito il Gran Sasso Science Institute, per mettere insieme ricerca scientifica e applicata in campo spaziale”.

Tra gli aspetti da migliorare si cita anche una “crescente difficoltà a reperire e trattenere risorse con competenze qualificate necessarie a sostenere lo sviluppo in specifici ambiti tecnologici di punta come Ai, cyber, crittografia ed elaborazione quantistica”. Una difficoltà più evidente in un’azienda come D-Orbit, di dimensioni più contenute rispetto ai colossi. “La parte più complessa, per noi, è la propulsione, perché le università non stanno contribuendo a soddisfare la domanda. Medesimo discorso per gli ingegneri di sistema, deputati alla gestione del software per controllare il satellite: è una competenza che fatichiamo a trovare, per questo ci rivolgiamo all’estero, creando hub di recruitment nel Regno Unito e in Portogallo, dove ci sono profili in linea con le nostre esigenze. Facciamo hunting, attività di branding e assunzioni” fa presente Di Nunzio. Il quale evidenzia almeno altri due aspetti interessanti: “C’è poca propensione al cambiamento ed è diventato più complicato far rientrare i cervelli dall’estero, perché con le nuove norme adesso conviene meno. E poi c’è una forte competizione sul prezzo, data anche dalle risorse ingenti iniettate con il Pnrr, un bene che però potrebbe mettere a rischio, in un mercato gonfiato, la sostenibilità delle aziende in futuro”. Difficoltà che non hanno impedito a D-Orbit di triplicare il numero di dipendenti in due anni (ora sono 283) e di rilanciare, nel 2024, con un piano di assunzioni che ne prevede 100.



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