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SpaceX da record: 98 lanci nel 2023

La compagnia di Elon Musk ha messo a segno quasi due decolli a settimana, e nonostante si tratti soprattutto di Starlink, il suo portafoglio ordini da terzi fa impallidire la concorrenza. Punto di forza: l’affidabilità e il prezzo. E con Starship il divario rischia di diventare un abisso

DI EMILIO COZZI

Il conteggio si è fermato a meno due dalla tripla cifra: 98. C’è da credere che ad Hawthorne, California, sede di SpaceX, non peserà di aver mancato la soglia psicologica. Il 2023 è stato comunque un anno record per quanto riguarda i lanci spaziali e se le cose andranno di questo passo, il primo di una lunga serie.

L’anno si è chiuso con 96 lanci avvenuti con successo e due considerati, almeno per la statistica, un failure: i primi test orbitali di Starship. Sarebbe più corretto considerarli spettacolari diversivi – si tratta pur sempre di un sistema di lancio nuovo, basato sul più potente razzo mai costruito e su un’astronave pensata per raggiungere la Luna, prima, e Marte, un giorno – che hanno spezzato qualcosa che da straordinario è ormai ordinaria amministrazione: il lancio perfetto seguito dal recupero del primo stadio (di Falcon 9 e Falcon Heavy).

Il 2022 si era chiuso con 61 lanci, in media più di uno ogni sei giorni. In quello appena trascorso sono stati quasi due alla settimana. Con un grand finale andato in scena proprio gli ultimi giorni di dicembre: il 29, un Falcon Heavy è decollato per lanciare in orbita lo spazioplano X-37B della US Space Force poco dopo le 8 di sera, ora locale, dalla rampa 39A del Kennedy Space Center, in Florida. Alle 11 un’altra fiammata, a una manciata di chilometri di distanza, ha acceso i motori l’ultimo Falcon 9 del 2023, che ha portato in orbita 23 satelliti della costellazione Starlink. Due lanci in meno di tre ore. Quasi superfluo aggiungere che ogni carico è stato consegnato alla sua orbita senza intoppi.

Starlink e il mercato

Doveroso evidenziare che, su 98 decolli, ben 63 erano di “missioni in house”: SpaceX ha lanciato per 63 volte un carico di satelliti della propria costellazione Starlink. Non è raro che i detrattori usino questo dato per sminuire la rilevanza, ormai anche geopolitica, dell’azienda di Musk. La quale, però, proprio grazie all’intensa attività in rampa e alla produzione in serie, ha fatto il vuoto, anche in termini di costi. E, de facto, ha inaugurato un’epoca di traffico extra-atmosferico sempre più intenso.

Pure troppo.

C’è preoccupazione, infatti, per il numero di satelliti posizionati in orbita bassa, tra i 400 e i 700 chilometri in particolare. Oggi sono quasi 5mila quelli della rete per la connettività internet a banda larga di Elon Musk. Nel corso del 2023, la sola SpaceX ha portato nello spazio 1.200 tonnellate di carichi. Tre volte la massa della Stazione spaziale internazionale. Significa dover pensare a una cornice regolamentare appropriata, perché a dispetto dei rischi (anche economici) e della precisione necessaria per operare nello spazio, un quadro adatto a uno spazio nuovo ancora non esiste. Ed è significativo sia SpaceX ad aver trainato le statistiche capaci di fare del 2023 l’anno con più lanci spaziali in assoluto: il 50% in più del 2022, che era stato un primato a sua volta.

I conti cominciano a tornare

Sebbene la spinta a lanciare arrivi perlopiù dal business della connessione, il portafoglio ordini non soffre: SpaceX ha contratti con la Difesa statunitense, per la quale mette in orbita satelliti militari (Space Development Agency, Us Space force). Tre Crew Dragon hanno portato altrettanti equipaggi a bordo della Stazione spaziale internazionale e tre missioni con la capsula cargo hanno traghettato rifornimenti agli astronauti in orbita: sono contratti miliardari con la Nasa, per la quale SpaceX ha anche lanciato, per la prima volta, una missione interplanetaria, con un Falcon Heavy. E quand’anche si togliessero dal computo annuale gli Starlink e le missioni istituzionali per gli Stati Uniti, la differenza con gli altri competitor resterebbe abissale.

A maggio, la missione privata di Axiom Space è decollata con un Falcon 9 diretta alla Iss; a luglio un lanciatore SpaceX ha spinto oltre il cielo il telescopio spaziale Euclid, la principale missione scientifica nel 2023 dell’Agenzia spaziale europea, costretta a ricorrere agli americani a causa dell’indisponibilità (si spera, ancora per poco) di razzi made in Europe. La scelta ricadrà sul competitor oltreoceano anche nel 2024 per quattro satelliti Galileo – del programma flagship per il Posizionamento, la Navigazione e il timing (Pnt) dell’Unione Europea -, per la missione Hera di difesa planetaria e per il satellite EarthCare, a maggio.

SpaceX ha spedito in orbita diverse missioni in rideshare con dozzine di micro e nanosatelliti di decine di compagnie diverse; ha trasportato apparati di comunicazione e osservazione della Terra per aziende e governi, come quello tedesco e arabo; ha addirittura portato a termine tre missioni per una costellazione satellitare “concorrente”: OneWeb. E lavora per colossi come Inmarsat, Intelsat, Viasat. Solo per citarne alcuni.

Nel primo trimestre del 2023, SpaceX ha registrato il primo utile, solo 55 milioni, dopo due anni di rosso. Lo scoop, ad agosto, è stato del Wall Street Journal – ne avevamo scritto qui – perché i bilanci dell’azienda, non quotata in Borsa, sono riservati. Secondo i dati resi pubblici, le entrate sono raddoppiate dal 2021 al 2022 dopo l’entrata in servizio di Starlink, confermando l’idea che, a lungo termine, via dalla manifattura spaziale SpaceX punti a diventare un provider di servizi e applicazioni. Tutto questo mentre procede lo sviluppo di Starship, il sistema di lancio che promette un’altra rivoluzione nei sistemi di trasporto spaziale.

Il veterano e l’astronave

Difficile non aver notato i video che hanno inondato i social, lo scorso 20 aprile, con la navetta destinata a riportare l’umanità sulla Luna che esplode a quattro minuti dal decollo e dopo una danza sbilenca. Poi uno stop di mesi, dovuto alle indagini dell’Agenzia federale per il volo sui danni prodotti da quel primo, vulcanico, decollo. Quindi, lo scorso novembre, un’altra ascesa e, questa volta, l’anelata separazione dei due stadi. Un’impresa, anche nel secondo test, conclusa da un’esplosione prima dell’inserimento sulla traiettoria suborbitale, che avrebbe proiettato Starship fino al tuffo nel mare delle Hawaii.

A Boca Chica, la base di lancio privata di SpaceX dove si conducono i test di Starship, sono già pronte nuove versioni. Nelle settimane entranti si assisterà ad altri decolli e, non è da escludere, ad altri colpi di scena secondo lo schema “lancia, fallisci, impara, torna a lanciare”. I tempi sono stretti, occorre consegnare alla Nasa il veicolo per scendere sulla Luna e al mercato un nuovo, mostruoso, corriere spaziale per trasportare carichi prima impensabili. Che sarà anche una nave da crociera per fare tour attorno alla Luna e oltre.

Starship a parte, se proprio si volesse scovare un neo nella clamorosa annata di SpaceX, si dovrebbe citare il “compianto” booster B1058. Partito il 23 dicembre con un carico dei soliti Starlink, è rientrato, preciso come un cecchino, sulla chiatta automatica “Just Read the Instructions”, che lo attendeva nelle acque dell’Atlantico. Poi il mare grosso e i venti ne hanno causato il ribaltamento e la distruzione.

Per paradosso, ciò che ha segnato il destino di quel booster era stato il simbolo del suo successo. Non aveva infatti zampe “aggiornate”, capaci di tenere in equilibrio il razzo in qualsiasi condizione. Il B1058 era un veterano, un mezzo che ha scritto la storia. Si era acceso per la prima volta due anni e sette mesi prima, il 20 maggio del 2020, per portare sulla Stazione spaziale internazionale il primo equipaggio trasportato da SpaceX. Quel giorno, gli Stati Uniti riacquisirono la capacità autonoma di portare propri astronauti in orbita dopo la fine del programma Space Shuttle, nove anni prima. Da allora, il B1058 aveva volato 19 volte. Solo l’ultimo dei record del 2023.



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