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Dall’orbita alla Luna: abitare lo spazio secondo Thales Alenia Space

La storica azienda leader nella produzione di ambienti pressurizzati ha siglato un accordo con l’Agenzia spaziale italiana per sviluppare i moduli per astronauti sulla superficie del nostro satellite naturale. Una storia lunga mezzo secolo che dallo Spacelab arriva fino al Lunar Gateway e la stazione spaziale Axiom

DI EMILIO COZZI

La storia di come abbiamo imparato ad abitare lo spazio inizia con Mel Brooks.

No, non è una “balla spaziale”; non ci si sta riferendo a Melvin James Brooks, regista di spassosissime satire dell’umano in forma di pellicola, come appunto Spaceballs e Frankenstein Junior.

L’altro Mel Brooks, il Nostro, all’anagrafe Melvin F. Brooks, fu l’ingegnere della Nasa dai tempi del programma Apollo – entrò nell’agenzia nel maggio del 1962 -, “prestato” alla European Space Research Organisation (genitrice dell’attuale Agenzia spaziale europea) quando si trattò di costruire e abitare lo Spacelab, il primo laboratorio scientifico frutto della collaborazione fra Europa e Stati Uniti a metà degli anni ’70.

Un passo indietro: durante lo sviluppo dello Spacelab, Mel F. Brooks si occupava dell’addestramento degli astronauti che avrebbero usato questo nuovo ambiente, che prese forma a Torino, negli stabilimenti dell’allora Aeritalia. Esattamente quarant’anni fa, nel novembre 1983, Spacelab decollò nella pancia dello shuttle Columbia: fu il primo capitolo di una storia che continua ancora oggi, in corso Marche. A proposito di registi, ad assistere al lancio ce n’erano due piuttosto interessati al tema: tali Stephen Spielberg e George Lucas.

Avanti veloce: somigliano molto a quelle in bianco e nero dell’epoca le foto che arrivano oggi dagli stessi impianti torinesi, certo, ben ammodernati. Profili tondi da compasso di cilindri in lega d’alluminio e rame 2219, pochi millimetri ma in grado di reggere la pressione di quasi un’atmosfera e respingere l’assedio del vuoto. Sono l’involucro, lo scheletro da foderare di tecnologia, da spedire in orbita, questa volta attorno alla Luna, o a comporre la prima stazione spaziale privata. O come elemento di una colonia lunare, sulla superficie. In quarant’anni l’eredità di questa competenza è stata raccolta e coltivata da Thales Alenia Space. Negli stabilimenti di Torino, il disegno e la forgiatura dei volumi che ritagliano un pezzo di “casa”, da portare dove non c’è alcunché in grado di sostenere la vita, si sono evoluti dopo il primo Spacelab, decretando una leadership negli ambienti e negli elementi pressurizzati.

Da quella fucina è uscito, negli anni successivi, il Multi Purpose Logistic Module, cargo portato sempre dagli space shuttle verso la Stazione spaziale internazionale. Uno di questi, il Leonardo, è diventato il Permanent Multipurpose Module, un ambiente afferente al segmento americano della Iss. Da Torino arriva buona parte del volume della Stazione spaziale internazionale: sono “torinesi” il modulo Columbus, il Nodo 2 e il Nodo 3, come la spettacolare Cupola, gioiello ingegneristico capace di conciliare la sicurezza, la funzionalità – la si usa per manovrare i bracci che intercettano i rifornimenti – e la necessità di una vista panoramica. Italiani sono anche lo scafo dei cargo europei Atv e degli americani Cygnus, capsule di trasporto rifornimenti del laboratorio orbitante, e il nuovissimo Bishop Airlock, la prima camera di equilibrio privata fissata alla Iss.

Eppure, nonostante la gloria, la stessa Iss dovrà affrontare presto il suo epilogo. È ormai in orbita da 25 anni, gli equipaggi la abitano in maniera continuativa dal novembre del 2000. E il 2030 sarà probabilmente l’anno in cui, gradualmente, verrà abbandonata. Proprio lì dove si sono modellati i suoi segmenti, si guarda però oltre il monumento per costruire il futuro. Non è da escludere ne sarebbe felice anche Mel Brooks, un reduce delle missioni Apollo – e veterano della guerra di Corea – che considerava “noioso” il continuo girare attorno alla Terra senza andare da nessuna parte. “Avevamo già squadre di persone che studiavano le missioni su Marte”, dichiarò, riferendosi ai tempi dello Skylab, il laboratorio spaziale statunitense, durante un’intervista. Era il 2000, chissà se col passare degli anni si sarà ricreduto.

Ora il testimone sarà raccolto da un’azienda, la texana Axiom. Ma prima dell’abbandono, la Iss diventerà ancora più grossa. I nuovi spazi, privati, ancora una volta sono in costruzione a Torino, dove stanno già prendendo forma i primi due ambienti che, all’inizio, espanderanno l’avamposto orbitante già a partire dal 2024 (secondo la tabella di marcia fornita da Axiom). Valore del contratto per Thales Alenia Space (che è una joint venture italo-francese fra Leonardo, al 33%, e Thales al 67%): 110 milioni di euro.

La stazione Axiom poi si staccherà, per vivere di vita e business propri. Anche da questa pianificazione si capisce quanto il bivio sia definito: da una parte si continuerà a operare in orbita bassa, con un cordone ombelicale ben allacciato a Terra e sulla spinta dell’iniziativa privata.

L’esplorazione pura sarà invece alimentata (ancora) dagli investimenti pubblici, per fare da battistrada all’espansione dell’Umanità. Una lezione appresa da uno dei padri del volo spaziale, Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij, secondo cui nessuno può restare per sempre rintanato nella sua culla.

A cominciare dai primi elementi della stazione spaziale in orbita lunare, il Lunar Gateway: i moduli Esprit (elemento di servizio con ambiente pressurizzato e finestre per l’osservazione all’esterno) e I-Hab, l’International habitat, parte residenziale, che Thales Alenia Space fornisce all’Esa con un contratto da oltre 600 milioni di euro. La struttura di Halo (Habitation and Logistic Outpost) sarà uno dei primi due moduli a essere portati in orbita attorno alla Luna, è un contributo attraverso un contratto con l’americana Northrop Grumman per la Nasa.

Parallelamente, sempre in zona corso Marche a Torino, sta nascendo quella che un giorno potremmo chiamare la nostra “casa lunare”. Saranno, di nuovo, spazi, volumi, rifugi vivibili da strappare allo spazio profondo e alle condizioni inabitabili, questa volta di una superficie sterile e sterilizzata da radiazioni e assenza d’atmosfera. Thales Alenia Space ha siglato di recente, con l’Agenzia spaziale italiana, un contratto per progettare un modulo abitativo destinato alla superficie selenica, denominato Multi-Purpose Habitat (Mph), il primo avamposto abitativo permanente sul nostro satellite per il programma Artemis.

Ancora in una fase di “Element Initiation Review”, il programma implica l’istituzione di un consorzio di aziende, capitanato proprio da Thales Alenia Space, per affrontare i prossimi step e la valutazione della Nasa, la “Mission concept review”. L’Mph potrebbe infatti diventare residenza e luogo di lavoro dei prossimi pionieri durante missioni della durata di alcune settimane e non più, come accadde con il programma Apollo, di pochi giorni. Significa prevedere un rifugio da radiazioni, micrometeoriti, regolite, impianti che garantiscano la sopravvivenza e una minima autosufficienza. Fino a immaginare una colonia o una base, un porto logistico sulla strada verso Marte.

Sempre lì, in corso Marche, dove si è appena tenuta la posa della prima pietra della Città dell’Aerospazio, c’è anche un pezzo del Pianeta rosso. È nel quartier generale di Altec. Un quartiere marziano, dove i Mel Brooks – entrambi, questa volta – si sarebbero divertiti di sicuro, magari con Stephen Spielberg e George Lucas.



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