fbpx

Turismo spaziale. Per chi ci crede

Miti, leggende e prospettive reali di uno degli sviluppi più discussi e fraintesi del nuovo approccio allo spazio.

DI EMILIO COZZI

Si fa presto a dire “turismo spaziale”.
La verità è che la definizione è fuorviante, meglio sarebbe parlare di sfruttamento commerciale dello spazio. Per di più non gode di buona fama, né tra gli addetti ai lavori, né tra chi ha avuto la fortuna e i mezzi per avventurarsi in orbita per qualche giorno o per pochi minuti sopra una certa quota. Come hanno fatto, per esempio, il miliardario americano Jared Isaacman e il suo equipaggio di neofiti, volati in orbita nel settembre del 2021 a bordo della missione Inspiration4, fortunati vincitori di una lotteria dello spazio.
Si preferisce, in questi casi, chiamare i pellegrini extra-atmosferici “astronauti privati”, termine che conserva una certa solennità e si affranca da un presunto vezzo legato allo status economico o ai casi, quelli belli, della vita. Casi che si andranno moltiplicando nel tempo, dato che le occasioni per volare oltre il cielo e i business correlati aumenteranno a loro volta. Tutto lascia pensare a un mercato che presto varrà svariati miliardi, come di recente confermato al Sutus, il summit mondiale dedicato al turismo spaziale e sottomarino. Organizzato da Les Roches, non a caso ha radunato a Marbella personalità della Nasa, dell’Agenzia spaziale europea, fondazioni ed esponenti di aziende, da Airbus a SpaceX.

Per evitare fraintendimenti sono per questo opportuni alcuni distinguo, a partire dalla definizione di “spazio”. In sintesi, è il reame che si estende oltre l’atmosfera terrestre. Il suo confine è arbitrario: è la “linea di Kármán”, posta convenzionalmente a cento chilometri di quota. Chi la superi può fregiarsi del titolo, almeno formale, di astronauta. Vale per i professionisti, che negli ultimi vent’anni la oltrepassano per periodi prolungati, da settimane a mesi, ma anche per persone “comuni”, ospiti spaziali per permanenze più brevi. Per andare nello spazio, infatti, non serve inserirsi in orbita attorno alla Terra; una “toccata e fuga” suborbitale è più che sufficiente. È qui che le cose cominciano a complicarsi, ma anche a farsi interessanti, perché i reami si ibridano e le possibilità si moltiplicano.

Da Tito a Jared
I primi turisti spaziali erano abbienti (il primo fu Dennis Tito): al prezzo di decine di milioni di dollari acquistarono un biglietto per trascorrere qualche giorno in orbita a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss). Era un’epoca, i primi anni 2000, in cui il trasporto spaziale era appannaggio esclusivo delle agenzie nazionali di Stati Uniti (la Nasa) e Russia (Roscosmos). Volare costava e costava tantissimo. L’avvento delle compagnie commerciali, dalla seconda metà degli anni 10 di questo secolo, ha rivoluzionato le carte in tavola. L’accesso allo spazio è più economico: si è passati dagli oltre 54 mila dollari al chilo con lo Space Shuttle ai 2.500 con SpaceX. I decolli si sono moltiplicati, ma anche l’offerta si è diversificata.

SpaceX è stata la prima compagnia privata (e finora l’unica) a fornire su mezzi propri un servizio di accesso all’orbita a un equipaggio. Ha contratti con la Nasa per il trasporto degli astronauti verso la Iss e, al contempo, non essendo una no-profit, si è cercata altri clienti. Ha quindi aperto la “tratta” orbitale anche a chi sia disposto a pagare abbastanza per una breve crociera oltre la linea di Kármán. A settembre 2021, appena un anno e quattro mesi dopo il primo volo di una Crew Dragon (la navicella di SpaceX per il trasporto umano), da Cape Canaveral è decollata Inspiration4, missione di quattro astronauti privati tra cui il pilota e comandante Jared Isaacman, imprenditore miliardario pronto a pagare il biglietto a tutti i suoi compagni. Sono rimasti a bordo della Dragon per qualche giorno, girando attorno alla Terra.

Nel 2023 due missioni private, sempre con SpaceX ma organizzate dalla “agenzia viaggi” spaziale, Axiom, hanno invece portato altre sei persone (più due comandanti della stessa Axiom) per un periodo, rispettivamente, di diciassette giorni la prima e dieci la seconda, a bordo della Iss. Al prezzo di 55 milioni a testa. La prossima a volare, forse a gennaio 2024, sarà Ax-3, che con sé avrà quattro astronauti a vario titolo professionisti: a bordo ci saranno l’ex Nasa, e comandante di missione, Michael López-Alegría, oggi in forza ad Axiom, lo svedese Marcus Wandt, selezionato come riserva del corpo astronauti Esa, il turco Alper Gezeravci e l’italiano Walter Villadei, colonnello dell’Aeronautica militare italiana e con un biglietto pagato dalla Forza armata. Dal punto di vista commerciale, Ax-3 sarà un viaggio privato acquistato dai singoli stati e non dalle agenzie spaziali dei rispettivi Paesi (non c’è ufficialità circa il costo dei biglietti, ma le indiscrezioni indicano 55 milioni di dollari per posto). È un cambio di paradigma notevole. E costituisce solo un inizio.

Non voglio mica la Luna
Fra non molto si potrà assistere – nel senso che non è da escludere la vendita dei diritti di trasmissione a qualche broadcaster, proprio come successo con Netflix per Insipiration4 – ebbene, si potrà assistere al decollo della prima crociera in orbita lunare. “dearMoon” è il viaggio che il magnate giapponese Yūsaku Maezawa ha acquistato per sé e per otto artisti (si parla di 200 milioni di dollari), che decolleranno con lui per un giro attorno al nostro satellite naturale. La loro partenza dovrà attendere sia pronta Starship, l’astronave che SpaceX sta mettendo a punto per l’allunaggio (cosa comunque non prevista per dearMoon). Sebbene a poter ambire al viaggio “dalla Terra alla Luna”, ma anche solo a un salto extra-atmosferico, sia ancora una ristrettissima nicchia di facoltosi, come in tutti i mercati le soluzioni “low cost” – si conceda l’azzardo – vanno fiorendo.

Per andare nello spazio basta andare in alto, non serve prendere l’abbrivio per restarci. I voli suborbitali durano poco, arrivano nello spazio (in alcuni casi, quasi) e rientrano nel giro di pochi minuti. Parallelamente a SpaceX, Blue Origin e Virgin Galactic hanno studiato come spedire oltre il cielo clienti paganti a una frazione del costo di una missione orbitale. Lo spazioplano di Virgin Galactic decolla staccandosi da sotto l’ala di un “aereo madre” e arriva attorno agli 80 chilometri di quota, spegne i motori e, per alcuni minuti, consente ai suoi passeggeri di slacciare le cinture e provare l’inebriante sensazione dell’assenza di peso. Nel giugno 2023 ha compiuto il primo volo commerciale: i passeggeri “paganti” erano Walter Villadei e Angelo Landolfi dell’Aeronautica, più Pantaleone Carlucci del Cnr. Non esattamente turisti, volavano portando con loro diversi esperimenti da accendere in poco tempo. Il che non esclude l’obiettivo della missione possa essere anche solo lo svago. Basta pagare 450mila dollari per godere di un’esperienza di un’ora e mezzo dal decollo all’atterraggio.

Blue Origin, la compagnia spaziale dell’altro space billionaire, Jeff Bezos, usa un approccio diverso: i suoi sono salti oltre i 100 chilometri effettuati grazie a un razzo New Shepard a decollo verticale. All’apice della salita, la capsula dove alloggia l’equipaggio si separa e permette ai suoi occupanti di fluttuare per circa tre minuti, prima di doversi sedere per la planata assicurata dai paracadute. Il prezzo è, in questo caso, un’incognita: sebbene si parli di decine di milioni per il volo inaugurale, c’è chi sostiene oggi basti un milione per sconfinare oltre la linea di Kármán.

Londra-Sidney: due ore e mezzo
Le potenzialità e i fraintendimenti del turismo spaziale si rivelano estendendone la definizione oltre al semplice concetto di spazio come meta lussuosa ed esclusiva. Si pensi, per esempio, a come l’utilizzo delle tecnologie necessarie per una capatina extra-atmosferica promettano di riconfigurare i trasporti: lo spazioplano di Virgin Galactic può percorrere la distanza fra Londra e Sidney in due ore; ne occorrono più di venti a un aereo di linea. Lo stesso potrebbe fare Starship (e qualcosa di simile ha tentato proprio nel suo volo inaugurale, ma è finito tutto poche miglia al largo della costa del Texas), che tra l’altro può vantare parecchio spazio a bordo per carico ed equipaggio.

Un report di Ubs del 2021 stima una crescita vertiginosa per un mercato di trasporto persone e merci le cui rotte attraversino lo spazio. L’incremento porterebbe dai valori attuali (presumibilmente poche centinaia di milioni di dollari, sempre siano vere le dichiarazioni di Jeff Bezos e Richard Branson) fino all’ordine dei miliardi già nel 2030: dai tre ai quattro potrebbe valerne il turismo spaziale in senso stretto, lo spazio per lo spazio. È tuttavia logico le tecnologie sfruttate per superare i 100 chilometri di quota portino a proiettare una rivoluzione (piccola o grande lo dirà il mercato) nel trasporto cosiddetto “point to point” (ptp) sulla Terra. Sempre secondo Ubs, in questo caso si potrebbe arrivare a 20 miliardi di dollari, perché il ptp suborbitale competerebbe con le compagnie aeree sulle tratte più lunghe, quelle di sedici o più ore, per arrivare da una parte all’altra del globo.

È un tema affrontato anche nell’analisi della Northern Sky Research (Nsr), che tuttavia è più cauta nelle proiezioni a medio termine. Le incertezze riguardano prima di tutto i rischi di questo tipo di trasporti. Un pilota ha perso la vita durante uno dei test di Virgin e poi, in occasione del volo con Richard Branson, una anomalia nella traiettoria dello spazioplano ha innescato un’indagine della Faa e messo a terra il sistema per quasi due anni.

Un altro lancio fallito, questa volta di Blue Origin, ha forzato lo stop anche per la compagnia di Bezos. Così, secondo Nsr, i ricavi del turismo spaziale potrebbero sfondare il tetto del miliardo di dollari all’anno solo nel 2032. Siamo ancora all’inizio e le statistiche su un pugno di decolli, gli unici effettuati finora, rischiano di essere sporcate da fallimenti capaci di compromettere la fiducia nel settore. A oggi, l’unica impresa in grado di guadagnarsi una fiducia cieca rimane SpaceX. Ma, come scritto qui, per motivi diversi.

Di fatto, il Falcon 9 è il vettore che effettua più lanci in assoluto: solo nel 2022 sono stati 61 e senza fallimento alcuno. Successi, tuttavia, sempre e solo riconducibili al segmento orbitale del turismo spaziale, quindi a beneficio e portata della già menzionata ristretta cerchia di privilegiati.

Eppure il settore ci crede. Ci si stanno impegnando compagnie occidentali e orientali. Branson, che ha tutto l’interesse a tirare l’acqua al proprio mulino, giura ci sarebbe mercato per almeno venti compagnie specializzate nel turismo spaziale: “Più veicoli spaziali costruiamo, più possiamo abbassare il prezzo e più potremo soddisfare la domanda e questo accadrà nei prossimi anni”. Potrebbero essere milioni, sempre secondo Branson, i clienti potenziali.
Meno ottimisticamente ma con maggiore realismo, l’applicabilità teorica della tecnologia dei razzi per i voli terrestri sarà dimostrata entro la fine degli anni Trenta, non prima. Per applicabilità teorica si intende una certificazione di sicurezza di base, che possa almeno dimostrare se i lanci suborbitali garantiscano lo stesso livello di sicurezza dei voli commerciali (al momento no, non la garantiscono).
La fattibilità, la rendita economica del trasporto suborbitale, la logistica (i razzi non possono decollare da luoghi prossimi alle città), così come il consumo energetico, la neutralità delle emissioni di carbonio, la salute e la sicurezza dei piloti sono aspetti che ancora attendono di essere affrontati e di trovare un indirizzo.

Laboratorio e hotel orbitale: le stazioni private
Di avamposti spaziali (occidentali) ne è rimasto solo uno. Ed è ormai datato: la Iss. Ci sono però diversi progetti per costruirne di nuovi, privati. La prima stazione commerciale è proprio quella di Axiom Space, il cui primo modulo sta già prendendo forma negli stabilimenti di Thales Alenia Space a Torino. Axiom è stata la prima azienda ad aver sfruttato e aggredito il potenziale di un mercato ancora solo immaginato, quello dei viaggi nello spazio. All’inizio, gli ambienti Axiom saranno un’espansione della Iss, quindi si staccheranno per diventare un avamposto autonomo. Per ricerca, scienza e tecnologia. Ma anche per i turisti.
Altri progetti sono quelli di colossi del settore come Boeing, insieme con Blue Origin (la stazione Orbital reef), e di Nanoracks, Voyager Space, Airbus Defence and Space e Lockheed Martin (per Star Lab), gruppo cui di recente si è unita Northrop Grumman, che ha rinunciato a un’infrastruttura orbitante propria. Proprio su Star Lab, in virtù di un memorandum d’intesa firmato pochi giorni fa con Airbus e Voyager Space, l’Agenzia spaziale europea potrebbe sviluppare le proprie attività alla dismissione della Iss, oggi prevista nel 2030.
Finanziati dalla Nasa, che si concentrerà sull’esplorazione della Luna e di Marte e in una seconda fase ne acquisterà servizi e tempo a bordo, i progetti dei nuovi avamposti privati promettono che il business dell’orbita terrestre cresca. Verso il turismo spaziale e oltre.



This website uses cookies and asks your personal data to enhance your browsing experience.