fbpx

SpaceX: il futuro fra grandi finanziatori e promesse

Su cosa e perché scommettono i finanziatori di alto profilo della compagnia spaziale di Elon Musk (fra i quali è entrata anche Intesa Sanpaolo)

DI EMILIO COZZI

SpaceX: specchietto per le allodole o cassaforte a tempo?
Sempre si escluda l’allucinazione collettiva, numero e qualità dei finanziatori della compagnia di Elon Musk fanno via via propendere per la seconda ipotesi, quella dell’investimento sicuro e a lungo termine. Il più recente è arrivato da Intesa Sanpaolo ed è stato ufficializzato il 9 ottobre.
Non è da escludere l’entusiasmo cresca perché i risultati delle attività più in vista – i lanci spaziali e i servizi di trasporto per la Nasa, verso e dalla Stazione spaziale internazionale – oltre a costituire un successo ormai quasi ordinario, sono un’operazione di branding clamorosa.
Poi ci sono i conti, che non sono pubblici – non essendo SpaceX quotata in Borsa -, ma ai quali il Wall Street Journal qualche settimana fa è riuscito a dare una sbirciata. Cifre alla mano, la situazione di SpaceX sembrerebbe meno rosea, ma a patto di limitarsi a una mera valutazione numerica, la cui parzialità proveremo a spiegare nelle prossime righe.

La corsa dei fondi
Nonostante i conti, i finanziamenti su SpaceX l’hanno resa la compagnia aerospaziale non quotata più grande d’America e del mondo occidentale.
Circa l’entità dell’investimento da parte di Intesa Sanpaolo non ci sono indicazioni ufficiali, il che lo pone sotto la soglia di comunicazione delle partecipazioni rilevanti. Ciò non toglie Intesa Sanpaolo sia entrata tra i finanziatori di alto profilo dell’azienda spaziale.
Per il più grande gruppo bancario italiano si ipotizza un impegno inferiore al centinaio di milioni di euro, cifra considerevole ma marginale rispetto ai round di investimento soliti di SpaceX.

Si veda il caso del Public Investment Fund, cioè il fondo di investimento sovrano saudita, che, insieme con una compagnia di Abu Dhabi, secondo Reuters ha messo nelle casse di SpaceX più di un miliardo di dollari. Più indietro, nell’anno, ci sono anche i 750 milioni arrivati da Andreessen Horowitz, Sequoia Capital, Founders Fund e Gigafund. Nel 2022, ha dichiarato la stessa SpaceX, gli investimenti hanno superato i due miliardi. A proposito di colossi, anche i gruppi statunitensi Fidelity Investments e Alphabet – la holding cui fa capo Google – hanno investito nelle attività spaziali di Musk. In fondo, è stata la Nasa a scommetterci (e a vincere) per prima.

Pochi utili, grandi investimenti…
Come anticipato, i numeri, i pochissimi che si conoscano dei suoi bilanci, li ha svelati il Wall Street journal ad agosto. Con due scoop: uno ha rivelato che nel trimestre di apertura del 2023 SpaceX ha registrato il primo utile, appena 55 milioni (su un fatturato di 1,5 miliardi), dopo due anni di «perdite significative». Quasi un miliardo (968 milioni) nel 2021 e 559 milioni nel 2022. Un margine non esaltante, si direbbe, in particolare perché spinto da successi indiscutibili: nel 2020 l’inizio del trasporto commerciale di astronauti verso la Iss. Quindi la partenza del servizio Starlink. Le entrate, sempre secondo il Wsj, sono raddoppiate dal 2021 al 2022. Dall’emissione di azioni sono arrivati due miliardi.

Le cifre svelate dal Wall Street Journal potrebbero insomma sembrare esigue, ma bisognerebbe chiedersi come un’azienda che investe così tanto sia in attivo. Sempre secondo la testata statunitense, infatti, nel 2021 e nel 2022 SpaceX ha investito 5,4 miliardi di dollari (cioè più del doppio dell’intero fatturato 2021) per l’acquisizione di infrastrutture, di attrezzature e in ricerca e sviluppo.
Per questo lo scoop sorprende solo in parte. Perché mentre è vero che la valutazione di SpaceX è di circa 150 miliardi di dollari (come Intel o Disney) e che Musk ha annunciato per il 2023 un ricavo di otto miliardi, lo sviluppo di Starship e della costellazione Starlink richiedono investimenti a nove zeri.

Per questo, fra i grandi investitori, c’è fiducia. Nei record e nell’affidabilità della tecnologia. Non è un caso che il comunicato stampa di Intesa citi i molti obiettivi raggiunti: lo sviluppo di un lanciatore in grado di rientrare a terra ed essere riutilizzato, e quello della navetta Dragon, sfruttata dalla Nasa (e da Axiom, compagnia privata) per il rifornimento da e verso la Iss e per il trasporto degli equipaggi.
Non manca la menzione dei prossimi obiettivi, come Starship, il cui test dello scorso 20 aprile, finito letteralmente in fumo, non ha affatto minato la fiducia di Musk nella sua impresa, né quella del mondo pronto a scommetterci sopra. “Veicoli spaziali di lancio completamente riutilizzabili, i più potenti mai realizzati, capaci di trasportare persone su Marte e verso altre destinazioni del sistema solare” conferma la press release di Intesa Sanpaolo.

È anche questo a essere rilevante, il modo di percepire SpaceX. La realtà è che Musk ha sempre pensato (e fatto pensare) di essere molto più grande di quanto non fosse. Salvo poi diventarlo davvero.
È stato così quando ha iniziato a far decollare i Falcon, e quindi ha cominciato a riportarli a terra per riutilizzarli, talvolta, anche poche ore dopo.
È stato così per gli Starlink, la mega costellazione per un internet satellitare ubiquo e a banda larga: secondo l’altro scoop del Wsj, nel 2015 non aveva ancora un nome, ma veniva già presentata a potenziali investitori con stime che ne proiettavano il business a 12 miliardi di entrate (e sette di profitti) grazie ai 20 milioni di abbonati che si sarebbero serviti entro la fine del 2022. Nel 2023, gli abbonati sono circa due milioni, ma anche in questo caso il ritardo sembra non allarmare chicchessia.

… e molte promesse

Ancora una volta, perché?

Anzitutto perché oggi SpaceX domina, de facto, il mercato globale dei lanci: quest’anno punta a realizzarne cento migliorando il record del 2022, quando arrivò a 61, cioè quanto l’intero comparto spaziale cinese.
Poi perché, ai propri vettori, SpaceX aggiunge appunto Starlink, un sistema dimostratosi utile nella recente emergenza in Emilia Romagna, e addirittura determinante nella guerra in Ucraina, dove se ne è evidenziata la straordinaria valenza strategica (anche inquietante per un asset privato). È significativo SpaceX stia già assemblandone una versione militare per il Dipartimento della Difesa statunitense, chiamata Starshield.
Scenari bellici a parte, è comunque sicuro che i clienti privati della costellazione sottoscrivono un abbonamento mensile per un centinaio di dollari, mentre le cifre per i clienti istituzionali, per le telco, le compagnie aeree o le navi da crociera sono molto più alte. È verosimile la sorgente dei guadagni sia, e sarà, da rintracciare in questo segmento, testimone dell’approccio a lungo termine di SpaceX, orientato a fare dell’azienda un service provider, più che un fornitore di hardware spaziale.

Tutto bene dunque?
A onor di precisione, no, perché sebbene prometta un nuovo e profittevole futuro per i servizi spaziali, il successo di Starlink rimane ancora di là da venire. Così come Starship: è previsto razzo e astronave riportino l’umanità sulla Luna, consegnino centinaia di satelliti con un singolo lancio, accompagnino turisti a spasso per il Sistema Solare, e pionieri a colonizzare altri pianeti. Anche in questo caso si tratta di programmi, o, se si preferisce, promesse non ancora mantenute.
Servirà tempo; per arrivare in orbita, per far atterrare e riutilizzare razzi decine di volte, per portare internet veloce nel deserto e in mare aperto. E anche per andare su Marte.
Un tempo che gli investitori sono decisi a considerare in cassaforte. Per ora.



This website uses cookies and asks your personal data to enhance your browsing experience.