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L’Africa che punta alle stelle

La space economy cresce, ma in un contesto ancora troppo frammentato. Gli investimenti dei Paesi più ricchi contribuiscono al suo sviluppo, senza scongiurarne lo sfruttamento predatorio. E il primo spazioporto continentale sarà cinese

DI EMILIO COZZI

L’Africa, nello spazio, può e per certi versi deve trovare la sua strada verso il futuro. Depurando la riflessione da ogni retorica, e consapevoli di quanto sia forzato ricondurre l’identità e le strategie di 54 stati a una unità capace di rappresentarle tutte, la riduzione dei costi di accesso all’orbita e delle componenti, così come i processi di digitalizzazione e miniaturizzazione degli anni recenti, sono lo strumento per assottigliare il ritardo di sviluppo economico e sociale che sconta la popolazione più povera del Pianeta.

Impossibile, almeno per ora, che i Paesi africani possano riuscirci in autonomia, ma lo sforzo è evidente, con la nascita di numerose agenzie spaziali e con gli investimenti nel settore in sensibile ascesa. Il treno su cui salire è ancora guidato dai colossi del mondo industrializzato (Stati Uniti, Cina, Russia, Europa e Giappone), chiamati a fare da traino allo sviluppo di quel pezzo di umanità (oltre 1,4 miliardi di persone) che abita la terra più ricca e più sfruttata proprio per i materiali indispensabili al progresso tecnologico (terre rare in primis).

 

Il decollo dell’Africa spaziale

Dei 52 satelliti africani lanciati finora, secondo il registro dell’Unoosa, solo due hanno preso il volo prima dell’inizio del Millennio. Il primo, egiziano, arrivò in orbita nel 1998, seguito l’anno successivo dall’esordio extra-atmosferico del Sudafrica. Oggi sono quindici Paesi in tutto, Algeria, Angola, Egitto, Etiopia, Ghana, Kenya, Marocco, Mauritius, Nigeria, Rwanda, Sud Africa, Sudan, Tunisia, Uganda e Zimbabwe, ad avere satelliti in orbita (spesso acquistati sul mercato internazionale), la maggior parte dei quali lanciata nel decennio più recente.

Il Continente annovera 21 agenzie o amministrazioni spaziali, metà delle quali istituita nel 2010 o dopo.

I dati dei rapporti sull’economia spaziale continentale ricalcano questa impennata: nel 2023, gli investimenti nazionali si sommano fino a un totale di circa mezzo miliardo di dollari, in decremento rispetto ai due anni precedenti. Secondo Space in Africa, però, le proiezioni dell’economia spaziale complessiva, che comprendono investimenti privati e generazione di valore, proiettano il continente oltre i 22 miliardi nel 2026. Ancora briciole, rispetto al contesto globale, ma in grado di raccontare un’ambizione e una rilevanza crescenti.

 

Connessione e remote sensing

Connettere città e metropoli, ma soprattutto gli spazi sterminati dal Mediterraneo a Capo di buona speranza, dal Corno a Capo Verde, è stata la priorità. I primi satelliti, i Nilesat egiziani, servivano alle trasmissioni radio-televisive. Nel 1992, 45 nazioni si sono accordate nell’Organizzazione regionale africana per le comunicazioni satellitari (Rascom), che finora ha lanciato due apparati (costruiti da Thales Alenia Space). Adesso, però, si assiste a una esplosione di interesse e investimenti e con un’attenzione particolare da parte delle nazioni ricche che, gioco forza, devono insegnare a quelle emergenti come camminare sulle loro gambe.

Nel 2023 il Sudafrica, che è il secondo stato africano per Pil dietro alla Nigeria, ha lanciato il satellite AgriSAT-1, il primo al mondo dedicato esclusivamente all’agricoltura. Non una scelta banale. L’economia africana è principalmente agricola e l’osservazione della Terra da satellite sta generando, con i dati geospaziali, grande valore aggiunto proprio in questo settore. Lo sta facendo nei Paesi sviluppati, dove il controllo remoto delle colture, dello stato della vegetazione, dell’acqua e dei nutrienti, permette il precision farming e il suo correlato di risparmio delle risorse e incremento del business. A costruire AgriSAT-1 è stata però una compagnia privata, Dragonfly Aerospace, altro aspetto non trascurabile. Già arrivato alle centinaia, il numero di aziende spaziali e startup registra un incremento costante, soprattutto in Nigeria e Sudafrica.

 

Giganti e folletti

Secondo Space in Africa, 15 nazioni africane hanno investito, in tutto, 4,71 miliardi di dollari in 58 progetti satellitari. E sono 105 quelli di cui è previsto il lancio entro il 2026.

La mappa, però, è a macchia di leopardo: troppo differenti gli sforzi economici delle single nazioni, troppo diversi i contesti per poter parlare di uno spazio “africano”.

Il Kenya ha lanciato quest’anno il suo primo satellite per l’Osservazione della Terra, il Taifa-1, portato in orbita da SpaceX. È un cubesat (minuscolo), come molti altri satelliti lanciati da altri Paesi africani; il debutto di Uganda e Zimbabwe è avvenuto con due microsatelliti costruiti con il Giappone, e lanciati dalla Stazione spaziale internazionale nel 2022. La testimonianza di una primavera. Di ben altra stazza è Angosat-2, dell’Angola: due tonnellate in orbita geostazionaria per portare connettività internet in tutto il territorio continentale. E un successo in partnership con la Russia, capace di proiettare Luanda in avanti nel settore.

Lo stesso Sudafrica, nel 2021, ha stretto accordi all’interno dei Brics (con Brasile, Russia, Cina e India), per lo scambio di dati di osservazione satellitare. È tra i Paesi più avanzati nel suo programma spaziale, insieme con Egitto e Nigeria. A novembre, il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, ha incontrato il ministro keniota della Difesa con delega al settore spaziale, Aden Duale per un’alleanza industriale e commerciale col Paese nel quale l’Italia stabilì il suo primo spazioporto negli anni Sessanta.

 

La (fragile) Africa felix

L’Africa non possiede un sito da cui lanciare razzi per portare propri asset in orbita. Eppure è attraversata dall’Equatore, una latitudine particolarmente vantaggiosa per i lanci extra-atmosferici. Non è un caso le basi spaziali più utilizzate degli Stati Uniti siano a Sud (Florida e California) o che l’Europa sfrutti il sito di Kourou, nella Guyana Francese, pochi gradi a nord della latitudine 0. Non fu un caso nemmeno sessant’anni fa, quando l’Italia realizzò il Centro spaziale Luigi Broglio in Kenya, utilizzando una piattaforma offshore, la San Marco al largo di Malindi, per il lancio del suo secondo satellite, nel 1967. La base italiana vide in tutto nove razzi decollare dal ‘67 al 1988.

Adesso l’Africa è pronta per avere la sua prima base spaziale. È stata annunciata nel febbraio del 2023 e sarà costruita, entro cinque anni,in Gibuti. Lo prevede il memorandum siglato all’inizio dell’anno dal governo locale e da Hong Kong Aerospace Technology Group, compagnia cinese specializzata nella produzione di satelliti e attività di tracciamento, disposta a investire più di un miliardo di dollari per la base e diverse infrastrutture annesse. Non vincolante, il memorandum implica la concessione di un’area di dieci chilometri quadrati per almeno 35 anni e la realizzazione di sette rampe di lancio e tre per i test nella regione di Obock, nel Corno d’Africa. Si prevede che lo spazioporto commerciale internazionale inaugurerà già nel 2027, in una collocazione strategica, vicino allo stretto di Hormuz. Altrettanto rilevante è che a finanziare tutto sia la Cina, che da anni va estendendo nel continente africano la propria influenza e i propri interessi geopolitici.

Così divisa, l’Africa rischia di rimanere oggetto di attenzioni predatorie, anche perché i rapporti che intesse sono più spesso accordi bilaterali stretti da singoli Paesi, in cui non è escluso che povertà e corruzione politica si specchino l’una nell’altra.

Molto promettente, l’Africa rischia di restare fragile.



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