Con Bezos e il New Glenn, la Luna e Musk sembrano meno lontani

Dopo il lancio e recupero del primo stadio del razzo orbitale di Blue Origin, le quotazioni “spaziali” del patron di Amazon si impennano. A cominciare dalla proposta per un’alternativa a Starship già per Artemis 3

DI EMILIO COZZI

È difficile rendersi conto dell’impresa guardandola solo attraverso uno schermo. 

Perché quando un vettore orbitale rientra nell’atmosfera terrestre e si posa su una piattaforma in alto mare, ha poco o nulla attorno che, per comparazione, aiuti a intuirne le dimensioni. 

Da una decina d’anni succede per il primo stadio dei Falcon 9 di SpaceX: ammirarli atterrare con straordinaria regolarità ormai è un’abitudine, tanto da farli sembrare quasi un razzo giocattolo. In realtà, sono cilindri di metallo larghi quasi quattro metri (la lunghezza di un Suv) e alti quanto un palazzo di dieci piani

Solo quando vengono diffuse le immagini con persone al lavoro attorno alle loro zampe, ci si rende conto di quanta potenza, precisione e ingegneria siano necessarie per riportare a terra con quella grazia un colosso pesante centinaia di tonnellate. Quello che ha fatto Elon Musk era e rimane incredibile. Ora, però, è arrivato anche Jeff Bezos. E ha cominciato subito a scrivere record.

Ritorna il New Glenn

Dopo il debutto di gennaio, al suo secondo lancio il New Glenn, il secondo vettore più potente sul mercato (dopo il Falcon Heavy, Starship non è ancora pronta), ha spinto verso Marte la doppia missione della Nasa Escapade (oltre a un dimostratore tecnologico di Viasat, deputato a testare nuove tecnologie di comunicazione nello spazio profondo). E mentre le due sonde procedevano verso il Pianeta rosso, il booster del New Glenn è rientrato verso l’Oceano Atlantico, ha rallentato fino a poche decine di metri dal pelo dell’acqua, ha aggiustato la propria direzione con una manovra chirurgica, e si è posato sulla chiatta automatica Jacklyn. Anche nel caso del New Glenn, le immagini non rendono giustizia all’ingegnosità umana. È solo osservando la foto postata pochi giorni dopo da Bezos, con i tecnici al lavoro, che ci si rende conto di quanto il booster sia imponente.

Blue Origin si è così ricavata una nicchia nella storia. Quasi dieci anni dopo il primo rientro a terra di un vettore spaziale di SpaceX, riuscito il 21 dicembre del 2015, il primo stadio del New Glenn è atterrato intatto su una piattaforma oceanica. 

Al momento è il razzo più grosso ad aver centrato questo obiettivo: il solo primo stadio ha un diametro di sette metri ed è alto come un palazzo di 18 piani. Inevitabile l’onore concesso da Musk al concorrente, con un post di congratulazioni su X. 

L’attualità vede due multi miliardari in corsa per dominare lo spazio, e il gap, ancora enorme, tra il primo – Musk, quello che ha rivoluzionato il settore – e il secondo, Bezos, si sta assottigliando. Beninteso, Bezos sa bene di avere molto da recuperare. Ma è anche consapevole che tutto potrebbe cambiare “a seconda della Luna”.

“Heaven and Earth”

Il New Glenn è un lanciatore pesante: può trasportare 45 tonnellate in orbita bassa (il Falcon 9, 22) e inserirne sette in orbita lunare. SpaceX, però, possiede il Falcon Heavy, oggi il primo vettore commerciale per potenza, con il quale la compagnia di Starbase (Texas, il primo headquarter era ad Hawthorne, California) riesce a recuperare due booster dallo stesso lancio. Resterà negli annali la scena del ritorno simultaneo di due stadi dopo il decollo del maiden flight, quello che rilasciò nello spazio una Tesla Roadster convertibile e Starman, il manichino al volante. Lo Space Launch System è destinato alle sole missioni Artemis, mentre Starship, sebbene prometta l’ennesima rivoluzione del settore, non è ancora pronta. Ed è qui che, per Musk, potrebbero iniziare i problemi.

Quando a ottobre l’attuale amministratore ad interim della Nasa, Sean Duffy, ha lanciato l’allarme per la corsa alla Luna, Blue Origin è tornata prepotentemente in corsa, come un attore capace di fornire un’alternativa a Starship. Lo sviluppo del sistema di lancio di SpaceX, selezionato per costituire il lander lunare, è infatti in ritardo: dopo 11 voli di test non ha ancora completato una missione orbitale. E i tempi (il 2028, nuova data per Artemis 3) per riportare l’umanità a calcare il suolo lunare, si fanno pressanti, facendo via via più verosimile la prospettiva di essere anticipati dalla Cina. “Se la Nasa volesse accelerare i tempi, smuoveremmo mari e monti [in inglese “Heaven and Earth” ndr], nel vero senso della parola, per cercare di arrivare sulla Luna prima. E penso che abbiamo qualche buona idea” dichiarò in quell’occasione l’amministratore delegato di Blue Origin, Dave Limp, in un’intervista ad Arstechnica.

Due alternative per Isaacman

Blue Origin è stata selezionata dalla Nasa per fornire il veicolo di allunaggio a partire da Artemis 5. Ora si fa strada l’ipotesi di adattare i mezzi sviluppati per il trasporto cargo a un equipaggio umano.

La compagnia ha fatto passi da gigante e il New Glenn, dopo soli due lanci, ha dimostrato di poter essere un vettore affidabile. In tandem con lo Space Launch System della Nasa (l’Sls lancia gli astronauti a bordo della capsula Orion, i quali poi devono trasferirsi sul mezzo commerciale, SpaceX o Blue Origin, per scendere sulla Luna) la prospettiva sembra realistica.

Alle critiche, Musk ha replicato che Artemis 3 sarà invece una missione condotta in toto da SpaceX, senza il contributo dell’Sls. Pochi giorni fa, la reporter Audrey Decker ha riportato su Politico che SpaceX starebbe lavorando a un allunaggio uncrewed programmato a giugno del 2027, con l’obiettivo di riportare l’umanità sul suolo selenico nel settembre del 2028. Per ora, però, sono intenzioni. Serviranno i fatti.

Non è dato sapere, ancora, cosa ne pensi Jared Isaacman, nominato nuovamente da Trump come prossimo amministratore della Nasa dopo il ripensamento di maggio. È un altro miliardario ai vertici dello spazio che conta, fortemente sostenuto dall’amico Musk. Eppure anche Isaacman sarà costretto a soppesare con scrupolo i fatti per coronare l’obiettivo di tornare sulla Luna prima di chiunque altro, in particolare se l’ipotesi Starship dovesse rivelarsi effettivamente non praticabile. 

È (anche) questione di prestigio e l’amministrazione Trump non intende farsi umiliare. 

Bezos e Blue Origin non hanno in cantiere un veicolo rivoluzionario come quello di SpaceX, ma il completamento di due missioni orbitali, una delle quali verso Marte – ambizione suprema di Musk – costituiscono una premessa solida. L’azienda sta sviluppando lander lunari più “tradizionali”; sta mettendo in orbita la propria mega costellazione satellitare (la precedentemente nota Kuiper, oggi Amazon Leo); e Bezos è l’unico space billionaire con un patrimonio paragonabile a quello del concorrente.

Vero, Elon Musk svetta più alto in ogni classifica. Per questo un suo tonfo dalle stelle potrebbe scavare un cratere enorme.



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