Rocket Lab: sulle orme di SpaceX
- September 11, 2025
- Posted by: admin
- Category: Emilio Cozzi

La società statunitense è celebre per l’affidabilità dei razzi Electron, ma la sua attività end-to-end si è estesa alla costruzione di satelliti. E attende il debutto del vettore riutilizzabile Neutron
DI EMILIO COZZI
C’è un dato che sintetizza meglio di qualsiasi altro il ruolo di Rocket Lab nello spazio privato: dal 2018, il suo vettore Electron ha volato oltre cinquanta volte, con un tasso di successo superiore al 90 percento. Nessun altro operatore commerciale, se si esclude SpaceX, può vantare una continuità simile.
A parte i lanciatori cinesi, espressione diretta del settore statale, Peter Beck e la sua azienda mirano a diventare punto di riferimento per chi non voglia dipendere da Elon Musk. In poco più di un decennio, l’americana Rocket Lab è passata dal costruire razzi sperimentali in Nuova Zelanda ad affermarsi come secondo player globale. Con ambizioni che seguono proprio le orme della compagnia dello space billionaire di origini sudafricane.
“Payload Space”, autorevole testata che analizza le dinamiche e i protagonisti della space economy, ha stilato un report di un’azienda ormai non più emergente che, con in portafoglio dai microcomponenti ai satelliti completi, ha costruito una reputazione di affidabilità capace di garantirle la fiducia di Nasa, Difesa e operatori privati. Ma che resta una società non profittevole, appesa al successo di un nuovo vettore ancora orfano di debutto.
Non solo razzi
Finora Electron è stato il biglietto da visita, ma Rocket Lab è molto altro; ha scelto di non restare confinata al ruolo di launch provider. Negli anni ha costruito un’infrastruttura industriale integrata, diventando una “end-to-end space company”. Dal 2020, con l’acquisizione di Sinclair Interplanetary, ha esteso il proprio campo d’azione a piattaforme satellitari e componentistica ad alta affidabilità, fino all’acquisto di SolAero, fornitore di celle solari spaziali alla US Space Force, per i satelliti OneWeb, per le capsule Cygnus di rifornimento alla Stazione spaziale internazionale, e anche per il James Webb Telescope.
Oggi i suoi 2mila dipendenti lavorano non solo su razzi e propulsori, ma anche su avionica, software di missione, sistemi di separazione e interi satelliti. Più di 1.700 oggetti in orbita portano tecnologie Rocket Lab, e tra i clienti ci sono Nasa, la Difesa, Space Development Agency e grandi operatori commerciali. Non è un dettaglio marginale: significa che l’azienda non dipende in tutto e per tutto dalla frequenza dei lanci, ma ha costruito un portafoglio diversificato, capace di generare ricavi anche attraverso contratti a lungo termine per hardware e missioni complesse.
Electron e Falcon 9 a confronto
Capace di portare circa 300 chilogrammi in orbita bassa, il vettore Electron ha trovato il suo mercato offrendo ciò che i Falcon 9 di SpaceX non potevano garantire: un volo dedicato e flessibile, a fronte di un prezzo unitario più alto. Oggi un lancio Electron costa intorno agli 8,4 milioni di dollari, circa 28mila dollari al chilo, cioè cinque volte il costo di una missione rideshare con SpaceX, che però costringe le aziende ad adattarsi a tempi e volumi in condivisione con decine di altre missioni. Per agenzie e startup che necessitino di tempi certi e orbite precise, l’affidabilità del servizio di Rocket Lab compensa ampiamente la differenza.
La traiettoria di crescita: tre voli nel 2018, quattordici nel 2024, più due missioni Haste per test suborbitali ipersonici. Nello stesso periodo, la concorrenza occidentale è rimasta indietro: sia le startup – Firefly, Abl, Relativity e Astra hanno accumulato ritardi, fallimenti e contratti mancati – sia aziende consolidate come ArianeGroup e Avio. È anche per questo che Rocket Lab è diventata l’alternativa occidentale a SpaceX, consolidando un primato nel segmento light-lift.
Oltre l’Electron. Neutron sarà riutilizzabile
Eppure Electron non basta a garantire la sostenibilità di lungo periodo. Per fare il salto di scala occorre un vettore in grado di contendere a Falcon 9 i contratti istituzionali e le costellazioni di nuova generazione. Neutron, alto 43 metri, con una capacità di consegnare carichi fino a 13 tonnellate in orbita bassa in configurazione riutilizzabile, è pensato per volare più volte (fino a 20), atterrare su chiatte oceaniche e abbattere i costi marginali.
È costruito in fibra di carbonio e la sua ogiva, “Hungry Hippo”, è una peculiarità: invece di essere espulsa, si apre e si richiude lasciando uscire il secondo stadio con il carico, quindi torna a terra insieme con il primo, ed evitando la necessità di recuperi separati. I nove motori Archimedes, alimentati a metano e ossigeno liquido, sono già in fase di test. Il prezzo di lancio annunciato oscilla tra 50 e 55 milioni di dollari, pari a circa 4mila dollari per chilogrammo, in linea con il Falcon 9 riutilizzabile e sensibilmente inferiore ai 70 milioni della versione expendable.
Rocket Lab punta a inaugurare il Neutron entro il 2025, per farlo volare tre volte l’anno successivo e cinque nel 2027. È una road map ambiziosa e soggetta a slittamenti, come accade per ogni nuovo sistema, ma il potenziale è enorme. Neutron aprirebbe all’azienda il mercato della Difesa, grazie alla recente inclusione nel programma Vadr della Nasa (commesse per lanciare carichi scientifici) e alla possibilità di competere per i contratti del National Security Space Launch.
Razzi e costellazioni
Grazie a lui, Rocket Lab potrebbe replicare il modello SpaceX, integrando lanci e infrastrutture orbitali. Infatti, un Neutron operativo garantirebbe non solo contratti esterni, ma anche la possibilità di dispiegare una costellazione proprietaria, progettata e costruita in-house, generando ricavi ricorrenti con margini ben superiori a quelli dei lanci. In particolare, suggerisce l’analisi, se concentrata nei settori delle comunicazioni.
Il report finanziario prodotto da Payload Space chiarisce bene questa dinamica: Rocket Lab ha chiuso il 2024 con circa 100 milioni di dollari di ricavi trimestrali, in crescita dai 40-70 milioni del biennio precedente. Il 73 percento del fatturato arriva dal settore Space Systems, segno che la strategia di diversificazione funziona.
È la redditività a rimanere ancora lontana: nei due anni recenti l’azienda ha registrato perdite ricorrenti tra i 40 e i 50 milioni di dollari a trimestre, “bruciando” 200 milioni all’anno nel 2022 e nel 2023. La chiave, ancora una volta, si chiama Neutron: il vettore è indicato come catalizzatore per il raggiungimento del cash flow break-even entro il primo anno di operazioni commerciali.
Sul fronte industriale, Rocket Lab ha dimostrato una efficienza sorprendente. Electron è arrivato in orbita con un investimento di circa 100 milioni di dollari, in linea con il Falcon 1 di SpaceX, e Neutron dovrebbe richiedere appena 300 milioni di sviluppo in configurazione expendable. È una cifra irrisoria se confrontata ai cinque-sette miliardi spesi da United Launch Alliance per il Vulcan, oppure ai costi (e ai tempi) di Ariane 6.
La parsimonia deriva dall’approccio hardware-rich e dalla rapidità di iterazione, un metodo mutuato da SpaceX ma adattato con rigore a un’azienda quotata in Borsa, che per ogni spesa superiore ai 30mila dollari impone l’approvazione del Ceo o del Cfo. La disciplina ha evitato derive speculative, ma senza eliminare il rischio intrinseco: fino a quando Neutron non avrà dato prova di affidabilità, a cominciare dal primo volo atteso entro la fine del 2025, Rocket Lab resterà un’impresa in perdita.
La capitalizzazione di mercato a fine 2024 si aggirava sui 13,6 miliardi di dollari. Il divario rispetto a SpaceX è ovviamente abissale, ma rappresenta anche un’opportunità. In un settore dove molti operatori, da Astra a Virgin Orbit, hanno faticato a sopravvivere, Rocket Lab è riuscita a posizionarsi come alternativa credibile, con una pipeline di contratti stimata in oltre 720 milioni di dollari e una reputazione consolidata. Se Neutron rispetterà la tabella di marcia e se la società riuscirà a dispiegare una costellazione proprietaria, la compagnia potrebbe puntare davvero in alto.