Space economy: vale 613 miliardi e vola verso i mille

La Space Foundation riporta una crescita a doppia cifra per molti comparti. A trainare ci sono servizi e applicazioni, ma pesa l’incertezza legata ai dazi imposti dagli Usa.

DI EMILIO COZZI

Nel 2024, l’economia spaziale globale ha scritto un nuovo record: 613 miliardi di dollari. A dirlo è il più recente Space Report pubblicato dalla Space Foundation, che fotografa un settore in espansione accelerata, forte di una crescita del 7,8% anno su anno.

Il traino è costituito, in particolare, dal settore commerciale, che rappresenta il 78% del valore complessivo. Il resto arriva dai programmi governativi, con gli Stati Uniti in testa: Washington ha investito circa 77 miliardi di dollari nel 2024, tra Difesa, Nasa e altre agenzie civili. Ciò che più colpisce, però, è la velocità con cui nuovi segmenti, fino a poco tempo fa marginali, emergono come protagonisti.

Servizi e dati che piovono dal cielo

Il 2025 si preannuncia come un anno ancora più decisivo. Solo nel primo semestre si sono registrati 149 lanci orbitali, più di uno ogni 28 ore. A metà agosto siamo attorno ai 170. Molto più della metà di questi (oltre il centinaio) è opera di SpaceX, che continua a dominare il settore con la sua piattaforma Starlink e con un ritmo produttivo senza precedenti.

In orbita bassa terrestre (Leo) stanno proliferando migliaia di piccoli satelliti. È l’ambito di una silenziosa competizione commerciale, il cui obiettivo è la fornitura di connettività a banda larga anche nelle zone remote della Terra. Secondo un rapporto di Gartner, pubblicato a fine luglio, il mercato globale dei servizi di comunicazione satellitare in Leo raggiungerà i 14,8 miliardi di dollari nel 2026, con un incremento annuo del 24,5%.

A crescere insieme con i numeri è anche la diversificazione della domanda: utenti residenziali in regioni rurali (+36,4%), aziende (+40,2%), servizi marittimi e aeronautici (+13,8%), applicazioni IoT globali (+32%). E mentre l’accesso internet in aree isolate resta una delle applicazioni più tangibili, emergono nuovi modelli di business legati alla resilienza delle reti, alla navigazione, al monitoraggio ambientale. Crescite a doppia cifra indicano un boom per applicazioni il cui mercato è ancora una prateria da conquistare.

Sempre più aziende e istituzioni puntano sulle capacità e le opportunità offerte dalle costellazioni in orbita bassa, per garantire continuità di servizio in scenari critici: dalle emergenze umanitarie alla gestione dei disastri naturali, fino alla raccolta dati in tempo reale per l’agricoltura di precisione. La crescente miniaturizzazione dei satelliti e la riduzione dei costi di lancio hanno permesso a start-up e Pmi di accedere a un mercato prima dominato dai giganti, secondo il ben sbandierato effetto “democratizzante” della space economy.

Costruire e lavorare in orbita, nuovi mercati

Le analisi della Space Foundation indicano che i comparti con la crescita più esplosiva sono quelli legati al volo spaziale umano commerciale (+611% su base annua) e alle attività Isam (In-Space Servicing, Assembly and Manufacturing), cresciute del 168%. Sono numeri che, isolati dal contesto, potrebbero suggerire una rivoluzione economica alle porte. In realtà è l’effetto della distorsione legata a un mercato ancora così di nicchia da vedere il proprio valore moltiplicato da qualsiasi iniziativa nuova.

Anche l’economia lunare, nonostante gli ampi investimenti previsti da parte della Nasa, dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e dagli altri Paesi coinvolti nel programma Artemis, nonché dal “blocco orientale” guidato dalla Cina, è un seme in attesa di germinazione. La vera rivoluzione l’hanno fatta gli smallsat, satelliti la cui massa va da pochi chilogrammi a qualche quintale, adatti alla produzione in serie e a essere lanciati in costellazioni.

Con il moltiplicarsi dei lanci e dei payload, si sta altresì rafforzando una infrastruttura orbitale propriamente intesa. L’idea che lo spazio possa essere un ambiente dove produrre, riparare, riciclare e assemblare ha smesso di essere fantascienza. Start-up e aziende affermate guardano con interesse questo scenario: una supply chain extraterrestre, in cui la logistica è garantita da satelliti-autisti, moduli di manutenzione automatica e fabbriche in microgravità.

Anche il settore assicurativo, finanziario e manifatturiero inizia ad adeguare le proprie strategie a questa nuova dimensione: si delineano inediti strumenti di copertura del rischio spaziale, nuovi benchmark per la valutazione delle risorse extraterrestri e la nascita di fondi d’investimento interamente dedicati all’orbita.

Saranno mille miliardi

Molti osservatori iniziano a chiedersi se non si stia andando verso una space economy da 1 trillion (secondo il significato inglese: mille miliardi) di dollari.

La proiezione dello Space Report indica che se il tasso di crescita del 7,8% dovesse mantenersi costante, il traguardo potrebbe essere superato già nel 2032. Alcuni analisti, considerando il boom degli smallsat e la domanda crescente di dati e servizi dallo spazio, ritengono che potrebbe accadere persino prima. Secondo un rapporto stilato l’anno scorso da McKinsey per il World Economic Forum, la proiezione al 2035 raggiungerebbe i 1.800 miliardi di dollari.

La competizione si sta facendo più che mai globale. All’egemonia statunitense si contrappongono le ambizioni cinesi, l’ascesa di India e Medio Oriente e i tentativi dell’Europa di ritagliarsi un ruolo strategico con iniziative come Iris² e la Space Industrial Strategy.

Certo, non mancano anche le incognite geopolitiche.

Nuvole terrestri sulle attività orbitali

Il cielo non è del tutto sereno: le politiche commerciali dell’amministrazione Trump, tornata alla guida della Casa Bianca nel 2025, stanno generando incertezza.

I nuovi dazi su componenti tecnologiche e materiali strategici, molti dei quali impiegati nella manifattura aerospaziale, potrebbero rallentare la filiera globale.

L’introduzione di barriere tariffarie su specifici semiconduttori, materiali avanzati e sistemi ottici — elementi chiave per l’elettronica spaziale — rischia di dilatare i tempi di sviluppo e aumentare i costi. Il risultato potrebbe essere una contrazione degli investimenti, in particolare per le start-up che operano con margini ridotti e capitali di rischio. Non è peraltro escluso possa chiudersi il mercato statunitense, importante per le aziende, in particolare europee.

È ancora presto per valutare l’impatto concreto di queste misure, ma l’interdipendenza internazionale della space economy — dai chip ai pannelli solari, dai metalli rari alla componentistica di precisione — la rende vulnerabile a ogni ostacolo alla libera circolazione.

I dazi potrebbero rendere meno conveniente esportare oltreoceano. Con due soluzioni possibili: “delocalizzare”, aprendo sedi sull’altra sponda dell’Atlantico, come alcune aziende italiane di punta hanno già fatto (su tutte D-Orbit, Argotec, Impulso Space e Officina Stellare); oppure estendere il proprio business a nuovi mercati, per esempio quelli di Paesi in rapida ascesa nell’Olimpo spaziale: Cina e India.



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