- March 14, 2025
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- Category: Emilio Cozzi

Il Vecchio Continente dovrà fare del suo meglio per raggiungere lo spazio in modo autonomo, frequente e differenziando l’offerta. Pena: la marginalità.
DI EMILIO COZZI
Non si è mai fuori tempo massimo quando si tratta di innovazione.
Le cose, però, si fanno più ostiche quando la tecnologia in rapido sviluppo è un fattore geopolitico cruciale.
Si è più volte scritto su queste pagine quanto sia importante avere accesso allo spazio. Ma anche quanto, oggi, “solo” la capacità di accedere all’extra-atmosfera non basti più.
Nello scenario attuale, due fattori vanno tenuti in considerazione: la frequenza con la quale uno Stato è in grado di lanciare i propri dispositivi spaziali (satelliti in orbita, principalmente) e la velocità con la quale un vettore è disponibile.
Sebbene in questo campo (di gara) abbia perso i primi posti della classifica, l’Europa punta in alto grazie a un vivaio di startup pronte alla competizione. E, forse, con nuovi investimenti: negli 800 miliardi di euro annunciati dalla presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen per la Difesa non può non esserci un capitolo “Spazio”.
“L’instabilità geopolitica è una costante che alimenta in larga misura gli investimenti dei Paesi nella Difesa“, ha dichiarato ai giornalisti il Ceo di Thales, Patrice Caine, all’indomani dell’annuncio di Von Der Leyen. Era poche ore dopo l’impennata in Borsa della compagnia di cui è alla guida (+15%), insieme con altri titoli legati alla Difesa: Leonardo (+15% in Borsa a Milano) ha toccato i 45,5 euro per azione; la britannica Bae Systems ha realizzato un incremento del 17%; la tedesca Rheinmetall +14,4%; Dassault Aviation +16,7%.
All’ultima European Space Conference di Bruxelles, evento che ha riunito le istituzioni (Unione e Commissione europea, Esa, Euspa, Agenzia europea per la Difesa) e le più importanti sigle del settore, hanno presentato i propri progetti le principali aziende europee che stanno sviluppando lanciatori “leggeri”: Isar Aerospace, Rocket Factory Augsburg, HyImpulse, Pld Space, Maiaspace e Latitude. L’intento è quello di arrivare a disporre di “servizi di lancio europei innovativi” per “fornire opzioni competitive e affidabili ai clienti istituzionali e commerciali“. Nell’ordine: tre tedesche, una spagnola, due francesi. Ci si aggiunga la britannica Orbex. Manca l’Italia, che era presente, certo, con Avio, lanciatore medio-leggero, ma senza esprimere nuove prospettive in concorrenza con quelle degli altri Paesi europei.
Alla Conferenza si è parlato di leadership europea con i programmi di punta che sono le Sentinelle di Copernicus, per l’osservazione della Terra, e di Galileo, il servizio di posizionamento. E di Iris2. Ma con tanti miliardi di investimenti sulla soglia, l’ambizione non può limitarsi a questo.
L’esempio forse più lampante è Euclid, decollato da Cape Canaveral nel luglio del 2023. “Abbiamo firmato il contratto [per lanciare il telescopio spaziale Esa con un Falcon 9 di SpaceX, ndr] il 31 gennaio 2023, cinque mesi prima del lancio”, ricordava Mike Healy, capo dei progetti scientifici dell’Agenzia spaziale europea, “il primo contatto informale con l’azienda risaliva a maggio del 2022. Abbiamo concluso in poco più di un anno; in Europa ne sarebbero serviti due o tre”.
Si era ancora nel “cono d’ombra” di quella che è nota, nel settore, come la crisi dei lanciatori europei: Vega C era a terra dopo il fallimento del secondo lancio, Ariane 6 non aveva ancora esordito. Così l’Esa si rivolse a SpaceX per lanciare uno dei telescopi più ambiziosi, che ora indaga la “forma” del cosmo per raccogliere dati su energia e materia oscure.
Problema risolto, adesso che Ariane 6 e Vega C sono operativi? Non del tutto. E forse nessuno ha mai pensato fosse così. I due razzi Made in Europe sono parte di un’evoluzione, che ha portato anche a ridurre sensibilmente, per ora in teoria, i tempi fisiologici tra un lancio e l’altro. Sia come disponibilità dell’hardware (motori, serbatoi, stadi) che come prontezza dell’infrastruttura, cioè lo spazioporto europeo di Kourou, nella Guyana francese, sottoposto a corposi aggiornamenti proprio per minimizzare i tempi tra un decollo e un altro. Ancora una volta, non è detto basti.
Così come all’Europa non può essere sufficiente uno spazioporto situato sì, in una posizione vantaggiosa (è il più vicino all’Equatore, per sfruttare tutta l’energia della rotazione terrestre), ma pur sempre dall’altra parte dell’Atlantico. E i razzi è nell’Europa continentale che vengono costruiti, per poi essere spediti via nave a Kourou.
Per questo vale la pena notare che sul territorio continentale stanno per “aprire” diversi nuovi spazioporti. A latitudini elevate, dalle quali è conveniente lanciare verso orbite polari (piuttosto che a media inclinazione e geostazionarie, per le quali conviene decollare da posti più vicini all’Equatore), che sono le più “frequentate” per l’osservazione della Terra e per le comunicazioni. In particolare Andøya (Norvegia), Kiruna (Svezia) e il Sutherland (Scozia), per citare le rampe a decollo verticale.
C’è un altro tassello di questo puzzle: ciò che si è chiamati a costruire in orbita. È ormai evidente che per tenere testa alla corsa di Stati Uniti e Cina, soprattutto nella competizione per tessere la propria tela di telecomunicazioni e osservazione della Terra, occorra fare presto. Iris2, la costellazione europea che connetterà governi, ambasciate, forze armate e istituzioni pubbliche, sarà pronta (forse) nel 2030. Gli Stati Uniti già posseggono la costellazione più grande e performante, Starlink, la Cina sta costruendo le proprie. OneWeb è l’unica soluzione, al momento, e infatti, tornando ai mercati, Eutelsat ha addirittura raddoppiato il proprio valore in Borsa dopo l’annuncio dei prossimi investimenti europei per la Difesa. OneWeb, però, conta meno di un decimo dei satelliti di Elon Musk e a una distanza dalla Terra maggiore.
È probabile che nell’immediato futuro servirà costruire e lanciare una costellazione di piccoli satelliti, micro o nano, per colmare questo gap. Per farlo, serviranno, pronti all’uso, molti lanciatori, perché Ariane 6, secondo le stime fornite dall’Esa, a regime potrà decollare fra le 9 e le 11 volte l’anno. Vega C dovrebbe raggiungere lo spazio ogni due mesi. Sono meno di venti missioni all’anno. SpaceX, da sola, li ha totalizzati in un mese e mezzo, da inizio gennaio al 10 febbraio di quest’anno.
Eppure, che si costruisca o no una vera alternativa europea a SpaceX, il futuro è in mano a chi potrà permettersi più di 18 lanci spaziali in 12 mesi e, insieme, a chi avrà molto da lanciare.In questo settore, l’Italia, con il know-how di grandi imprese come Thales Alenia Space, Ohb Italia e Sitael, e di realtà più piccole quali Picosats, Astradyne e Apogeo Space, può dire la sua.