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Sovranità e nuova governance. La visione del governo sullo spazio

Nelle linee guida dell’esecutivo, le priorità e le prospettive per la space economy, che si intreccia con la difesa e la sicurezza nazionale. Un documento che ha il merito di fare il punto sulla priorità nel settore (e individuarne nelle Pmi la spina dorsale).

DI EMILIO COZZI

Alla fine dell’anno scorso, il Governo italiano ha pubblicato gli indirizzi in materia spaziale e aerospaziale, un documento che traccia le linee guida per il futuro imminente dell’Italia in un settore cruciale. Spicca il richiamo a una necessità: riformarne la governance e la regolamentazione, perché l’innovazione tecnologica e la crescita economica sono due punti fondamentali, di cui occorre riconoscere con urgenza crescente il ruolo di “pilastro fondamentale per la sicurezza”.

Il piano è sviluppato dal Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale (Comint), sebbene non sfugga un ruolo importante assegnato all’Agenzia spaziale italiana, che avrà il compito di “mettere a terra” le proposte operative del disegno fino a qui abbozzato. L’obiettivo è rafforzare la sovranità italiana e valorizzare l’eccellenza, nonché mantenere la leadership nazionale nelle competenze che ne hanno fatto, nel corso dei decenni, un attore di livello internazionale.

Lo spazio militare driver di sviluppo

Tra i primi capitoli, è ben evidenziato il ruolo che infrastrutture, dati e accesso allo spazio ricoprono per la sicurezza e nell’ottica di uno scenario di conflitto, o comunque militare. È fatto riferimento alla Nato, che ha riconosciuto lo spazio come quinto dominio operativo. Per conseguenza, se da un lato infrastrutture strategiche posizionate nello spazio hanno lo scopo di fornire una posizione privilegiata in termini di sorveglianza e difesa, proteggerle da azioni ostili diventa prioritario. Detto altrimenti, si parla sempre più spesso, e a ragione, di militarizzazione dello spazio.

Non sfugge la competizione globale, un agone nel quale sono entrati Paesi un tempo esclusi, ma non più marginali. L’India, certo, e su tutti la Cina, saldamente considerabile la vera seconda potenza spaziale dopo gli Stati Uniti. 

La sicurezza nazionale è, insomma, driver di sviluppo. Non certo una novità: è dalle tecnologie militari che derivano molte delle innovazioni sulle quali si appoggia larga parte delle nostre attività e del benessere civile. L’approccio in questo caso è incentrato sugli interessi nazionali e dell’ecosistema tricolore. Questo sì, vale la pena ricordarlo: senza la cooperazione tra Stati che sanno mettere a sistema le proprie tecnologie, nello spazio, se si eccettuano Stati Uniti e Cina, per ora si va poco lontano.

Spazio sovrano

Va tuttavia molto più in una direzione “sovranistica” l’approccio dell’esecutivo, perché pone in grande rilievo il “primato” nazionale rispetto alla cooperazione. A cominciare dal quadro legislativo. Si legge: “Riformare in maniera efficiente la governance nazionale del settore Spazio adeguandola al mutato contesto internazionale, geopolitico e industriale. In tal senso è benvenuta I’iniziativa di sviluppare una legge spaziale nazionale”. Una normativa che, oltre all’accesso alla space economy, affronti temi quali “i rapporti fra Governo ed operatori spaziali; l’attribuzione di chiare competenze certificative ed autorizzative degli operatori industriali; il quadro giuridico legato all’accesso allo spazio; lo sfruttamento economico delle risorse spaziali; misure speciali in materia di appalti per promuovere la partecipazione più ampia e aperta possibile degli operatori economici, in particolare delle start-up, dei nuovi operatori e delle PMI; la tutela della sicurezza nazionale”. In questo senso va il Ddl spazio, presentato lo scorso anno e ora all’esame del Parlamento. Una proposta rispetto alla quale, però, non andrebbero ignorate diverse criticità. Non manca chi, come l’Ente nazionale aviazione civile (l’Enac), ravvisa nella proposta di legge un’eccessiva burocratizzazione, da sommarsi a uno svuotamento delle competenze normative in particolare relative ai voli sub orbitali e alla configurazione, in quest’ambito, di un conflitto di interesse per l’Asi, che d’improvviso si troverebbe nel duplice ruolo di ente controllore e controllato, di ente finanziatore e finanziato. Punti, questi, su cui si promette di tornare con un articolo nelle prossime settimane.

Frattanto si rimanga al concetto di sovranizzazione del settore: in 16 pagine, se si sommano le ricorrenze dei termini “autonomia”, “sovrano” e “sovranità nazionale”, le occorrenze sono oltre 70 (“nazionale” compare più di 60 volte). In sintesi, il Governo dimostra piena consapevolezza del valore aggiunto che la tecnologia e i dati spaziali possono dare alla conoscenza e all’economia, in termini di contrasto ai cambiamenti climatici, di controllo del territorio e di opportunità di business emergenti (grazie all’ingegno di start-up e Pmi). Si parla, in questo senso, della necessità di definire un “requisito nazionale di accesso allo spazio, tenendo conto delle opportunità offerte dalla base di Malindi anche in relazione al piano Mattei per l’Africa”. 

Non manca il tema centrale nel dibattito pubblico delle settimane recenti, le costellazioni di connessione satellitare come Starlink: ancora una volta la sua declinazione riguarda la sicurezza, la resilienza e la sovranità nazionali. E sebbene non si specifichi se sia necessario costruire una costellazione italiana, contestuale alla pubblicazione delle linee di indirizzo è stato l’affidamento all’Asi di uno studio preliminare di fattibilità di un’infrastruttura simile. 

Italia leader internazionale

C’è tutto, e tutto è ovviamente tanto. Si parla di nuove applicazioni e occasioni di business, come i servizi in orbita (in orbit servicing), la sorveglianza sul traffico satellitare e sui detriti (la space situation awareness) con un dovuto richiamo alla sostenibilità dello spazio e delle orbite. Si menzionano l’esplorazione umana e quella robotica. Si fa riferimento più volte, senza però delinearne meglio i contorni, alla necessità di accesso allo spazio. Un tema cruciale, perché l’Italia possiede la tecnologia dei vettori (Vega C) e ora Avio ha pieno agio per commercializzarli.

Non manca neanche il richiamo a intensificare la “cooperazione internazionale sia su base multilaterale, con organizzazioni come l’Ue, l’Esa e l’Onu, sia in ambito bilaterale con i principali attori globali e europei” – punto, le collaborazioni bilaterali, che chi scrive considera di particolare importanza. L’ambizione è quella di una leadership in Europa, nei programmi Esa e comunitari, da concretizzare stimolando sinergie tra l’Unione e l’Agenzia spaziale europea, sempre per sostenere la competitività dell’industria nazionale. Si fa leva sulla necessità di mantenere una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, in particolare nel portare avanti le attività nel quadro degli accordi Artemis sull’esplorazione della Luna. Rafforzare la space diplomacy verso i Paesi emergenti, come India, Paesi del Golfo e America latina, e in Africa, dove con il Piano Mattei si tenterà di gettare le basi per costruire un ecosistema strutturato e che permetta ai Paesi partner di elevarsi oltre l’atmosfera.

Nell’ambito della diplomazia spaziale, si evocano “Paesi prioritari definiti in sede Comint”, espressione che per ora rimane sibillina. Ci sono e ci saranno sempre interlocutori esteri privilegiati, ma la situazione attuale – in cui il partner più affidabile dell’Europa (e dell’Italia), gli Stati Uniti, compie una virata sovranista – potrebbe imporre di rafforzare sinergie e alleanze soprattutto continentali. 

Ricerca e formazione per la Space economy

Ci sono due punti di particolare rilievo: il primo è l’attenzione dedicata al sostegno alle piccole e medie imprese attraverso strumenti di private equity, un focus che se concretizzato potrebbe consolidare la vera spina dorsale dell’ecosistema industriale. Il secondo è il richiamo al rafforzamento delle competenze necessarie alla space economy: la ricerca, dunque, sia di base, sia applicata (università, centri di ricerca), purché attuata; i tagli alla ricerca rappresentano una triste abitudine portata avanti da diversi governi. Un passo fra i più interessanti prevede un “piano di alta formazione innovativa, omnicomprensiva sulle discipline riguardanti lo spazio, al fine di formare la classe di talenti destinati a coprire ruoli chiave nelle istituzioni (nazionali e internazionali) nell’accademia e nell’industria”. 

Sforzi che forniranno know-how anche nell’ottica della lotta al cambiamento climatico e alla mitigazione delle sue conseguenze: anche questa è space economy, per gli effetti a cui mira, cioè investire dieci, oggi, per non spendere mille, domani. È questo un tema che dovrà essere centrale ma soprattutto condiviso tra i Paesi che, gioco forza, dovranno disallinearsi dalle scelte della nuova presidenza americana, determinata a concentrare su altre priorità gli sforzi per la riduzione delle emissioni e lo studio del clima anche da satellite.

In quest’ambito l’Europa possiede già una leadership indiscussa, grazie al programma Copernicus e alle partnership con altre costellazioni, pubbliche e private, di osservazione della Terra. Anche in questo senso, mentre Washington procede a singhiozzo, com’è accaduto con le ultime due presidenze, sarebbe il caso di accelerare.



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