Elon Musk, Starlink e l’Europa
- January 21, 2025
- Posted by: admin
- Category: Emilio Cozzi
Mentre il governo valuta l’affidamento alla megacostellazione delle comunicazioni critiche e strategiche della Difesa, emerge più che mai come il Vecchio continente non abbia visto il futuro.
DI EMILIO COZZI & MATTEO MARINI
Oggi più che mai è evidente quanto l’Europa dello spazio sia in ritardo. Non certo a sorpresa, la cruda cronaca geopolitica arriva però come uno schiaffo a certificare come il modello fin qui seguito non sia riuscito a mettere il Vecchio continente non già in testa a un fronte di innovazione, ma nemmeno in una posizione garantita, lontana dal rischio di una dipendenza tecnologica che va palesandosi giorno dopo giorno.
Non molti anni fa, tra i manager delle più importanti industrie e istituzioni europee, il commento sulla crescente supremazia di SpaceX e sulle tecnologie di riutilizzabilità dei razzi che iniziavano a sbalordire il mondo era duplice: da una parte si obiettava che, per risultare sostenibile, un booster del Falcon 9 avrebbe dovuto essere riusato almeno una decina di volte. Al 2025 sono molti i primi stadi decollati in più di una dozzina e in alcuni casi oltre una ventina di occasioni. È Elon Musk ad aver vinto la gara.
La seconda obiezione, questa sì, solida, verteva sul fatto che, a differenza delle compagnie europee, SpaceX godesse di corpose commesse governative, sia per la Nasa che per la Difesa. Il punto per l’Europa era la scarsità di satelliti e missioni, in generale di clienti, da lanciare. Nel 2024, i razzi di SpaceX sono stati protagonisti di 134 lanci. Quelli europei di tre. È l’Europa ad aver perso la gara.
Non sfugge, certo, che la maggior parte dei lanci effettuati da SpaceX serva a mettere in orbita satelliti propri, quelli della costellazione Starlink. Ma è anche in questo senso che il tycoon da Pretoria ha saputo vincere questa e molte altre sfide “futuristiche”: ha immaginato qualcosa che non c’era, l’ha costruita e fatta funzionare. Ha perseguito i suoi obiettivi: in ultima analisi, portare l’umanità su Marte.
Nel mentre ha iniziato a occupare le orbite basse e, approfittando della mancanza di una regolamentazione rigida e chiara sul presidio di quelle quote, ha costruito una rete senza precedenti oltre il cielo: oggi sono poco meno di 7mila i satelliti Starlink in orbita e il loro numero è in crescita costante. Poi ha iniziato a vendere i propri servizi di connessione in tutto il mondo. Che, di suo, ha cominciato ad acquistarli perché, sebbene non all’altezza di una fibra terrestre, quei servizi promettono di arrivare ovunque.
Per questo, nel momento storico in cui la connessione satellitare è un’esigenza strategica, anche i governi si devono adattare o, nel caso di quelli europei, posizionare e attrezzare.
Il passo del governo verso Starlink
Il dibattito che ha infiammato la politica nei giorni recenti arriva da qui: il governo sta esplorando l’ipotesi di acquisire il servizio Starlink per connettere le sedi diplomatiche, gli uffici e i contingenti italiani nel mondo. E per fare in modo sia di supporto in caso di emergenze o scenari bellici.
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di inizio anno ha messo in chiaro si tratti di una “fase istruttoria”, di “normali interlocuzioni con le aziende” che propongono servizi al governo. Ha poi ammesso di non avere ancora “le idee chiare”. Perché si tratterebbe di affidare all’azienda di un privato cittadino, appartenente a uno stato estero e non comunitario, la gestione del traffico di informazioni sensibili per la sicurezza del nostro Paese. L’ipotesi è di affidarsi all’uomo più ricco del mondo, capace di influenzare tanto l’amministrazione statunitense quanto gli scenari bellici (in Ucraina ha rifiutato la connessione in una circostanza: per un’operazione che Kyev stava per mettere in atto contro una nave Russa). E nondimeno pronto a sponsorizzare partiti politici di ultra destra e a sbeffeggiare pubblicamente capi di stato.
Circa la tutela delle comunicazioni sensibili, si è recentemente espresso l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani: non c’è rischio per la segretezza dei dati che sfrutterebbero la rete Starlink, ha detto, perché in Italia abbiamo un solido know-how per la crittografia.
Il problema, semmai, si porrà se Musk, con una decisione contingente, dovesse decidere di impedire all’Italia l’accesso al servizio. Un’eventualità presa in seria considerazione da molti detrattori e del tutto esclusa da altri. In Ucraina, laddove andrebbe però ricordato quanto i presupposti dell’utilizzo di Starlink fossero diversi, è già successo che Musk abbia fatto di testa sua. Per questo, Pietro Batacchi, direttore di “Rivista italiana Difesa”, in un’intervista a Fondazione Leonardo ha suggerito che l’interlocuzione, laddove si tratti di servizi per il governo e le istituzioni italiane, andrebbe fatta direttamente col Pentagono. Servono garanzie, insomma.
Tecnologia senza eguali
Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha sottolineato in Parlamento come le attuali tecnologie utilizzate dai contingenti italiani, in particolare i satelliti Sicral, abbiano prestazioni inferiori a Starlink, sia per banda che per latenza. I Sicral sono posizionati in orbita geostazionaria, cioè restano sulla verticale dello stesso punto sulla superficie terrestre. Sono lontani, a più di 36mila chilometri dalla Terra, con il vantaggio di coprire un orizzonte molto vasto (quasi un intero emisfero) ma fisso. E con un segnale che, dovendo “rimbalzare” per una distanza così ampia, significa una latenza sensibile (circa 600 millisecondi), che i satelliti Starlink non hanno. Avere comunicazioni militari più veloci ed efficienti, soprattutto in uno scenario operativo, può essere cruciale.
Ma perché se ne parla solo adesso?
Perché Musk, con Starlink, ha creato un’esigenza. La sua megacostellazione si è dimostrata robusta, resiliente, efficiente. E, oggi, rappresenta un vantaggio strategico. Visto il quadro geopolitico, dotarsi di una infrastruttura in linea con lo stato dell’arte è una necessità vitale.
La miopia dell’Europa
La presidente Meloni ha fatto notare un’altra cosa, che permette qui di chiudere il cerchio: al momento la costellazione di Elon Musk non ha concorrenti. Non ne ha di pubblici, ma nemmeno di privati, nonostante ci siano costellazioni in costruzione (Kuiper di Amazon) o già schierate (OneWeb). Tuttavia proprio OneWeb, che è la più grossa, conta “solo” 650 satelliti, meno di un decimo del colosso statunitense, con tutte le conseguenze del caso.
E mentre la Cina sta già costruendo la propria rete, anzi due, per la connessione satellitare a banda larga in orbita bassa, l’Europa ha da poco firmato i contratti per costruire Iris2, infrastruttura spaziale pubblica a uso di governi, enti pubblici e aziende, che sarà formata da 292 apparati in orbite basse e medie. Iris2 rappresenterà un’alternativa a Starlink solo per l’uso istituzionale, perché in quanto a massa critica non potrà concorrere. Soprattutto, però, verrà lanciata a partire dal 2029 e diventerà operativa negli anni 30. A quel punto, le orbite saranno affollate da decine di migliaia di satelliti Starlink, dai satelliti Kuiper, da quelli cinesi e forse da quelli indiani. Ci sarà abbastanza “spazio nello spazio” a quel punto? Al ritmo con cui progredisce ogni business di Musk, Starlink avrà probabilmente anche una solida rete direct to cell e una tecnologia senza eguali, in anticipo di almeno una decina di anni sul resto del mondo.
A fine dicembre, due settimane prima che esplodesse la polemica infiammata dalla rivelazione Bloomberg (poi smentita), è stato reso noto che su mandato del Comint, l’Agenzia spaziale italiana (l’Asi) effettuerà uno studio preliminare di fattibilità per una costellazione nazionale. Ma mentre sulla necessità di dotarsi di una infrastruttura “sovrana”, europea o italiana, non ci sono dubbi, su come colmare questo gap, in un’Europa via via più divisa, nessuno ha per ora avanzato un progetto “futuristico” e con idee su come realizzarlo.