SpaceX in Borsa, i data center in orbita e l’umanità su Marte
- December 19, 2025
- Posted by: admin
- Category: Emilio Cozzi
DI EMILIO COZZI E MATTEO MARINI
La quotazione voluta da Elon Musk potrebbe concretizzarsi nel 2026 o nel 2027. Una mossa per finanziare centri di calcolo in orbita usando il solare spaziale. Un nuovo “continente tecnologico” da dominare per dare corpo all’utopia marziana
Quanto vale SpaceX?
Quando si tratta di Elon Musk, spesso gli annunci sono gargantueschi e promettono nuovi record.
Sarà così anche il giorno in cui l’uomo più ricco del mondo deciderà di quotare in Borsa SpaceX, la sua compagnia spaziale. Quando avverrà, si tratterà, probabilmente, dell’offerta pubblica iniziale più ricca di sempre.
Secondo fonti compulsate da Bloomberg e Reuters, la stima varia tra i 25 e i 30 miliardi di dollari o più, cifre che potrebbero portare il valore complessivo dell’azienda oltre i 1.500 miliardi.
L’operazione è data per certa fra la seconda metà del 2026 e tutto il 2027; venissero allora confermate le previsioni, SpaceX arriverebbe vicino al valore di mercato stabilito da Saudi Aramco durante quella che è, a oggi, la quotazione record: la major petrolifera raccolse 29 miliardi di dollari nel 2019.
Nella testa di Musk, l’operazione avrebbe a che fare con il denaro nella sola fase iniziale; l’obiettivo a lungo termine sarà la conquista di un nuovo “continente tecnologico” con, all’orizzonte, l’utopia marziana.
Il business di SpaceX in ascesa
Il 2024 è l’anno in cui, secondo le analisi, gli incassi della costellazione Starlink hanno superato gli altri business di SpaceX, in particolare il servizio di trasporto spaziale fornito alla Nasa, alla Difesa e ad altri enti americani, ai privati e ai Paesi esteri (tra cui l’Italia, che entro la fine dell’anno attende il lancio del terzo satellite Cosmo-SkyMed di seconda generazione). Le revenue, in ascesa, hanno superato di gran lunga i 10 miliardi di dollari. La forchetta si allarga a seconda delle stime perché, appunto, i conti di SpaceX non sono ancora pubblici.
Quando l’azienda approderà al New York Stock Exchange e verrà quotata, i libri contabili dovranno essere trasparenti. E il prezzo delle azioni, così come già succede da anni con Tesla, saranno in balia del mercato. Nel frattempo nessuno dubita che gli affari per Musk siano prosperi. Anzi, la loro progressione sembra inarrestabile: come annunciato dalla stessa SpaceX a inizio novembre, sono oltre otto milioni gli abbonati a Starlink, in 150 Paesi. Nel mentre la compagnia prosegue l’evoluzione del servizio direct-to-device, cioè la possibilità di connettersi a internet con dispositivi portatili senza la necessità di un’antenna.
SpaceX ha anche attuato il periodico riacquisto di proprie azioni (buyback), per “fornire liquidità ai dipendenti e agli investitori”, secondo la sintesi che ha fornito Musk su X. La cifra di acquisto ha proiettato il valore virtuale dell’azienda a 800 miliardi di dollari. Sebbene impressionante, Musk ha definito il numero “inaccurato”. Per poi specificare che “gli incrementi di valutazione dipendono dai progressi compiuti con Starship e Starlink e dall’acquisizione dello spettro globale direct-to-cell, che amplia notevolmente il nostro mercato potenziale”. “E – aggiunge – da un’altra cosa che forse è di gran lunga la più significativa”.
Data center dove c’è energia
Musk si riferisce ai data center in orbita, cioè a un tipo di infrastruttura satellitare che, invece di fornire servizi di comunicazione, connessione, osservazione della Terra o broadcast, ospita centri di calcolo.
Beninteso, trasferire potenza computazionale nello spazio non è un’idea esclusiva. I progetti in corso sono diversi e sparsi per il mondo: in Italia, per esempio, l’acquisizione di Planetek da parte di D-Orbit, lo scorso aprile, ha avuto la precipua finalità di inserirsi in un mercato ancora tutto da esplorare.
Il problema dei data center è ben noto da anni, ma è da quando ChatGpt ha debuttato in rete, il 30 novembre del 2022, che all’orizzonte ha cominciato a delinearsi una possibile crisi. Una crisi energetica.
Nel 2024, per far fronte a miliardi di richieste di ricerche, testi, calcoli, e ancor di più immagini e video, i centri di elaborazione nel mondo hanno consumato 415 terawattora, pari a circa l’1,5% del consumo globale di elettricità in quell’anno. Secondo un’analisi della International Energy Agency, il fabbisogno è cresciuto del 12% all’anno dal 2020.
Peraltro non si tratta, solo, di consumi energetici deputati a sostenere una crescente potenza di calcolo; i data center terrestri sono stricto sensu assetati, perché il loro raffreddamento necessita di enormi quantità di acqua.
Per questo, così come la raccolta e il trasferimento di energia solare dallo spazio – il cosiddetto Space based solar power – potrebbe rappresentare il futuro della produzione energetica tout court, spostare centri di calcolo e supercomputer in orbita potrebbe, se non azzerare, almeno alleviare il fardello di un’umanità energivora. Certo, non in maniera illimitata, come lascia intendere l’espansione di Starlink.
I data center possono però funzionare pure da semplici archivi e quindi venire posizionati anche più lontano dalla Terra (l’americana Lonestar Data Holdings ne progetta uno sulla Luna), ma centri di calcolo per un uso sistematico e strategico necessitano di bassa latenza, cioè di orbite più prossime al Pianeta, dove peraltro il traffico sta aumentando a un ritmo preoccupante.
Un nuovo mercato da dominare
Musk ha detto con chiarezza che i satelliti Starlink, grazie alla connessione laser, cioè a un altissimo bitrate per le comunicazioni sia inter-satellite che con la Terra, costituiranno la base per riuscirci. I progetti (avanzati) di data center spaziali, nel mondo, si contano ancora sulle dita di due mani: in Italia, Thales Alenia Space ha prodotto uno studio di fattibilità di Ascend, per conto la Commissione europea; la texana Axiom sta sviluppando una stazione spaziale privata in orbita; Starcloud, startup americana, lavora con Nvidia; Google pensa a Suncatcher, nome che evoca una delle questioni cruciali, cioè avere il Sole sempre “a portata di pannello”; un’altra azienda statunitense, Aetherflux, vuole usare lo Space based solar power per centri di calcolo AI in orbita. All’elenco non può mancare la Cina, che ha già lanciato 12 satelliti della Three-body Computing Constellation (nome, non a caso, preso da uno dei best seller della fantascienza cinese).
Anche le difficoltà tecniche abbondano, perché i data center spaziali saranno imponenti e da costruire direttamente nello spazio. Significherà dover lanciare carichi molto pesanti. Una prospettiva che, in questo momento, Musk può fronteggiare meglio di chiunque altro al mondo. I 30 miliardi da raccogliere sul mercato serviranno proprio a finanziare quello che promette di diventare l’ennesimo settore dominato dal multi-miliardario ossessionato da Marte.
Come sempre, lui ha affidato le sue riflessioni a X: “I satelliti con elaborazione AI localizzata, in cui solo i risultati vengono ritrasmessi a bassa latenza da un’orbita sincrona con il Sole, saranno il modo più economico per generare flussi di bit AI in meno di 3 anni. E di gran lunga il modo più veloce per scalare entro 4 anni, perché fonti di energia elettrica facilmente accessibili sono già difficili da trovare sulla Terra. 1 milione/anno di satelliti con 100 kW per apparato produce 100 GW di IA aggiuntiva all’anno senza costi operativi o di manutenzione, collegandosi tramite laser ad alta larghezza di banda alla costellazione Starlink.
Il livello successivo consiste nella costruzione di fabbriche di satelliti sulla Luna e nell’utilizzo di un propulsore di massa (cannone elettromagnetico) per accelerare i satelliti AI alla velocità di fuga lunare senza bisogno di razzi. Ciò consente di scalare a >100TW/anno di AI e permette un progresso non trascurabile verso il raggiungimento di una civiltà Kardashev II” (cioè di una società, che secondo la classificazione dell’astronomo russo Nikolaj Kardashev, è in grado di raccogliere tutta l’energia della stella del proprio sistema planetario).
Conquistare Marte con l’AI
Come ha notato Eric Berger su Arstechnica, infatti, anche questo fa parte di una strategia a lungo termine. Strategia che è cambiata nel tempo.
Finora Musk si è rifiutato di portare la sua creatura, SpaceX, nella pubblica piazza del mercato azionario. La decisione di procedere diversamente deriva dalle possibilità di raccolta fondi per accelerare quello che il 54enne profeta del “lungotermismo” avverte come un bisogno impellente, che lui punta a realizzare durante la propria vita, in particolare mentre si addensano le nubi di nuovi conflitti, financo nucleari: salvare l’umanità portandola su Marte.
Un obiettivo per coronare il quale, Musk ritiene necessario l’apporto del supercalcolo e, per conseguenza, di potenza per l’Intelligenza artificiale.
Sarebbe interessante ricordare che il terzo livello della scala Kardashev evocata da Musk è quello di una civiltà capace di utilizzare tutta l’energia della propria galassia. A oggi non siamo nemmeno arrivati a classificarci nel primo tipo, quello di una civiltà in grado di sfruttare tutta l’energia disponibile sul suo pianeta d’origine.
Il problema è proprio quello dell’energia. Ed Elon Musk, finora, l’ha saputa usare meglio degli altri.