Ministeriale Esa e Difesa comune: via ai (ri)lanci
- December 11, 2025
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- Category: Emilio Cozzi
Lo stanziamento triennale per l’Esa è da record. Prima voce: i lanciatori, infrastruttura storicamente sviluppata solo all’interno dell’Agenzia spaziale, che vede nuovi pretendenti e un ruolo di primo piano della Germania
DI EMILIO COZZI E MATTEO MARINI
Lo scorso 27 novembre, a Brema, al Consiglio Ministeriale dell’Agenzia spaziale europea (Esa), cioè il summit in cui i Paesi membri decidono programmi e finanziamenti del triennio successivo, si è raggiunto un nuovo record: 22,3 miliardi di euro, oltre il 30 per cento in più dell’ultimo vertice, nel 2022, un incremento del 17% al netto dell’inflazione. Lo sforzo, di cui il direttore generale Josef Aschbacher si è detto pienamente soddisfatto, riflette la necessità di avanzare anche, se non soprattutto, nelle tecnologie duali, che possano fornire servizi militari e civili. Lo impongono, si è detto, il periodo storico, le minacce della Russia alle porte dell’Europa e la consapevolezza che gli Stati Uniti non siano più il partner affidabile di un tempo.
Su tutti è stato ribadito un elemento: se ora, per governare la Terra, occorre imporsi nello spazio, il primo asset a cui puntare sono i lanciatori, che in particolare negli anni recenti hanno palesato non poche criticità. Beninteso, un asset alimentato da tecnologie fortemente legate a tre Paesi (Francia, Italia e Germania), ma da sviluppare nell’ecosistema Esa, come parte di uno sforzo collettivo.
Ariane 6 e Vega C in testa
I vettori spaziali rappresentano, storicamente, la voce più imponente nel bilancio dell’Esa e nelle allocazioni decise durante la Ministeriale. In quella appena conclusa, il dominio “Space transportation” vale 4,68 miliardi, il 21 percento della sottoscrizione complessiva. La maggior parte andrà ad alimentare i programmi già in essere per i vettori e le compagnie che finora hanno rappresentato le sole opzioni Made in Europe per arrivare oltre l’atmosfera: ArianeGroup, con il razzo Ariane 6, e Avio, con Vega C. Gli stanziamenti serviranno per sviluppare anche le loro evoluzioni verso tecnologie più performanti e riutilizzabili.
Come prevedibile, i primi tre contribuenti dell’Agenzia – Germania, Francia e Italia – hanno speso di più, il governo tedesco su tutti: ha un piano spaziale da 35 miliardi di euro in cinque anni, cioè quanto il bilancio dell’intera Esa. Ariane 6 è un vettore i cui elementi sono costruiti principalmente tra gli stabilimenti francesi e quelli tedeschi, mentre i suoi booster (i P120C, che presto diventeranno i più potenti P160C e che costituiscono anche il primo stadio del Vega C) sono prodotti da Avio a Colleferro, alle porte di Roma. Parigi e Berlino hanno puntato più sul primo, l’Italia sul secondo.
Nuovi lanciatori: la gara europea
La buona notizia, confermata anche dai decolli più recenti in Guyana Francese, arriva dall’affidabilità di entrambi i vettori.
Sembra tuttavia evidente come i Paesi membri dell’Esa oggi considerino strategico creare un ecosistema capace di premiare la concorrenza. Per questo, tra i capitoli, si trovano i fondi (900 milioni, più del doppio di quanto proposto dal direttore generale) per la European Launcher Challenge, il concorso indetto dall’Esa due anni fa per sviluppare nuove iniziative imprenditoriali e ampliare le opportunità europee di trasporto spaziale. Anche in questo caso la Germania ha messo sul piatto cifre che surclassano chiunque altro: 363 milioni, il 40 percento dell’intero programma e più del doppio della Francia (179 milioni), della Spagna (169) e del Regno Unito (144).
Non è un caso siano, questi, i quattro principali finanziatori: delle cinque startup giunte in fondo alla competizione, quelle cui saranno destinati i fondi per testare e mettere sul mercato i razzi del futuro, due sono tedesche (Isar Aerospace e Rocket factory Augsburg), una francese (Maiaspace), una spagnola (Pld Space) e una britannica (Orbex). Ciascun governo ha scommesso sulla propria “compagnia di bandiera”. Delle cinque, Isar ha già acceso i motori per un primo volo di test, conclusosi tuttavia con uno spettacolare tuffo in mare.
Nella tabella spicca, più per statistica, l’assenza dell’Italia: invero, gli zero euro messi sul tavolo confermano l’obiettivo di procedere con Avio, alla quale erano già stati affidati fondi del Pnrr per la ricerca tecnologica su nuovi propulsori. E su una tecnologia ormai nota, Space Rider, lo spazioplano riutilizzabile sviluppato anch’esso dalla compagnia di Colleferro: è un veicolo autonomo orbitale (una sorta di mini shuttle), capace di ospitare payload ed esperimenti scientifici. Progetto a forte guida italiana, concepito nel 2016 per volare in testa a un Vega C, Space Rider è ancora in fase di test. Dovrebbe debuttare nel 2026.
Nuovi motori e razzi riutilizzabili
C’è un altro capitolo corposo: è il Future Launchers Preparatory Programme (o Flpp), finanziato con oltre mezzo miliardo, del quale più della metà è coperta dalla Germania (290 milioni).
È dedicato a diversi progetti tecnologici per i vettori di prossima generazione, “a basso Trl” (Technology Readiness Level, una scala che da 1 a 9 indica dai primi step di concepimento fino all’utilizzo operativo). Nel suo alveo, da anni, si progettano motori a basso costo come Prometheus, alimentato a metano e ossigeno liquidi, da realizzare in gran parte con stampa 3D, riaccendibile e utile per stadi superiori (quelli che nell’ultima parte del volo rilasciano i satelliti sull’orbita assegnata). Potrebbe essere una soluzione anche per Ariane 6, ma soprattutto per razzi riutilizzabili, come i prototipi Maia, di Maiaspace, e Themis.
È significativo che proprio Themis sia nato in questo “incubatore” Esa: il dimostratore tecnologico costruito a Les Mureaux, e progettato per tornare a terra dopo aver inserito un carico in orbita, dovrebbe effettuare presto i primi “salti”. A giugno 2025 è arrivato all’Esrange Space Center di Kiruna, in Svezia, equipaggiato proprio con un motore Prometheus. Nel 2026, in ritardo sulla tabella di marcia, è atteso il suo primo hop test, decollo verticale e discesa con atterraggio.
Dentro al Flpp ci sono anche concept per motori meno potenti destinati ad accendersi in orbita, così come materiali di nuova generazione per i vettori del futuro. Berlino ha scommesso molto su questo settore; è tra i capitoli più dispendiosi e strategici nel quale, però, sono la Francia e l’Italia ad avere l’esclusiva (europea) nella capacità di raggiungere lo spazio. Con i suoi investimenti, adesso la Germania punta a diventare il prossimo Paese europeo capace di accedere all’orbita, seguito dalla Spagna e dal Regno Unito.
Resilienza per la Difesa
Sul versante delle tecnologie duali, in Esa sono confluiti fondi per le tecnologie di navigazione, posizionamento e timing (Galileo e le future tecnologie di navigazione e segnale sicuro come Navisp e FutureNav), quasi tre volte superiori a quelli stanziati nella Ministeriale precedente (969 milioni contro i 351 di tre anni prima). Poco più due miliardi saranno destinati alle comunicazioni satellitari, pilastro della nuova sovranità globale, con diversi progetti all’orizzonte. Il più grande, la costellazione multi-orbita per la connettività Iris², non è tuttavia menzionato. Essendo un’iniziativa della Commissione europea, l’Esa sarà partner strategico per le tecnologie satellitari.
L’iniziativa European Resilience from Space (Ers), messa in campo da Aschbacher per supportare la Difesa europea con infrastrutture spaziali, ha raccolto un totale di 450 milioni, in particolare nel campo dell’osservazione della Terra. Dalla sola Spagna sono arrivati 325 milioni per i satelliti di osservazione della Terra Esca+. Nuove sottoscrizioni sono attese, ha specificato Aschbacher, già all’inizio del prossimo anno.
La Ers è un capitolo trasversale, che dovrebbe abbracciare sia il ben dettagliato monitoraggio del Pianeta, sia la navigazione e le comunicazioni. In questi ultimi due ambiti, i finanziamenti si fanno meno netti, negli scopi e nei programmi.
L’Esa si è messa a disposizione per fornire futuri chiarimenti, ma non è nel suo alveo – civile, per statuto – che si può trovare la chiave dell’assetto difensivo dell’Europa.