Elon Musk, Carl Sagan e il destino dell’Umanità

I piani del tycoon per colonizzare il Pianeta rosso seguono il fine ultimo del “lungotermismo”: salvare la specie umana da sé stessa. Qualcosa di simile disse il grande scienziato e divulgatore, ma con differenze significative

DI EMILIO COZZI e MATTEO MARINI

Lo scopo, in fondo, è la salvezza dell’Umanità.

Elon Musk non lo ha mai tenuto nascosto assurgendo a profeta spaziale del “lungotermismo“, quella corrente di pensiero (o filosofia, o religione, la si chiami come si preferisce) che non traguarda il bene di un singolo individuo, né il compiacimento di una qualche divinità; anche azioni o imprese apparentemente senza un beneficio immediato devono mirare al conseguimento del bene ultimo.

Perché, secondo Musk, il genere umano è destinato ad autodistruggersi (non un assunto privo di fondamento) e per questo è necessario disporre di un piano B, nello specifico, di un “Pianeta B”: Marte.

Dalla lettura del lungo e denso libro di Walter Isaacson, Elon Musk, pubblicato un paio di anni fa, emerge come questo, durante la vita dello space billionaire, rappresenti un ritornello: Musk fa di tutto pur di dotarsi di mezzi e tecnologie capaci di portare l’Umanità a colonizzare il Pianeta rosso e stabilirvi una nuova civiltà, lasciandosi alle spalle una casa che brucia. Brucia per il cambiamento climatico (Musk non lo ha mai negato, a differenza di molti tra i repubblicani, Donald Trump compreso) e soprattutto per le conseguenze di una possibile guerra nucleare. Purtroppo, negli anni recenti, in particolare dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, uno spettro la cui ombra appare sempre più minacciosa.

In fuga dall’apocalisse nucleare

Poco più di un anno fa, in un discorso tenuto su un palco di fronte ai dipendenti di SpaceX e con le sue Starship a fare da sfondo, Musk ha declamato la sua profezia: “Se qualcosa distruggerà la Terra, per esempio una terza guerra mondiale termonucleare, sarà perché, probabilmente, lanceranno qualche testata nucleare sulla Luna. Sarà invece molto più difficile sparare su Marte un missile nucleare e, qualora succedesse, lo si vedrebbe arrivare e si avrebbe un po’ di tempo per fermarlo; la difficoltà o la distanza e il tempo richiesti per arrivare su Marte hanno, in realtà, un vantaggio isolante per la continuazione della coscienza, anche se dovesse accadere qualcosa di terribile sulla Terra“.

Il 27 maggio 2025, con un nuovo discorso tenuto a Starbase, Musk ha dettagliato gli sviluppi più recenti, in altri termini il piano aggiornato verso Marte. L’evento era intitolato “The Road to Making Life Multiplanetary” (“La strada per rendere la vita multiplanetaria”), l’altro solido refrain che il magnate ripete da quando si è messo in affari extraterrestri.

Ha detto che la prima missione marziana potrebbe partire già alla fine del 2026 per arrivare nel 2027 sul Pianeta rosso. Senza un equipaggio umano, ma, ha aggiunto, “sarebbe epico vedere Optimus che se ne va in giro sulla superficie di Marte“.

Optimus è il robot umanoide che Tesla sta sviluppando e che ha dimostrato, di recente, ottime abilità di ballerino e maggiordomo. Costituisce un esempio di come tutta l’attività di Musk sia orientata alla conquista di un altro pianeta.

Così come Starlink, che rappresenta sia il carburante economico per l’impresa, sia il modello di una futura infrastruttura “per fornire internet su Marte“; oppure la navigazione autonoma di Tesla, per interpretare ed esplorare il paesaggio; e ovviamente Starship, che sebbene sarà impiegata per consegnare satelliti in orbita terrestre e arrivare sulla Luna, è stata pensata per trasportare equipaggi umani e attrezzature sul quel “nuovo mondo”, quello che Musk sogna di colonizzare.

A questo proposito, l’imprenditore ha detto che “è un piano provvisorio in cui speriamo di ottenere un aumento della cadenza dei voli verso Marte a ogni finestra di lancio, quindi ogni due anni circa […] alla fine cercheremo di arrivare a mille o duemila navi per ogni rendez-vous […] sono solo supposizioni, ma abbiamo bisogno di portare circa un milione di tonnellate sulla superficie di Marte per rendere una civiltà autosufficiente e raggiungere quel punto critico in cui, se le navi di rifornimento dalla Terra smettono di arrivare per qualsiasi motivo, Marte può ancora crescere“. 

Milioni di tonnellate, migliaia di astronavi

Che cosa serve per stabilire il nucleo di quella che diventerà una civiltà marziana? Strutture abitative, provviste, mezzi, dispositivi per la sopravvivenza, un cordone ombelicale con il nostro Pianeta madre, che all’inizio dovrebbe dare linfa per resistere su un mondo senza un’atmosfera respirabile, senza acqua e senza un campo magnetico di protezione dalle radiazioni: “La mia ipotesi è che si tratti di circa un milione di tonnellate, ma potrebbero essere 10 milioni. Spero non siano 100 milioni, sarebbero tantissime. Il candidato principale al momento è la regione di Arcadia“. Non troppo vicina ai poli, ma prossima al ghiaccio per avere l’acqua: “la scelta si restringe a una regione più piccola, quindi Arcadia è uno dei miei nomi – anche mia figlia si chiama Arcadia – ed è una delle opzioni” ha detto il tycoon.

Musk sostiene di poter arrivare a sfornare da Starbase, in Texas, e da un altro stabilimento in costruzione di Florida, fino a tre Starship al giorno, mille astronavi ogni anno, per essere pronto a decollare con migliaia di persone e centinaia di tonnellate a bordo di 2 mila astronavi ogni qual volta si apra la finestra utile (la Terra e Marte si trovano nella posizione giusta ogni 26 mesi). 

Questo a patto che, lo ammette lui stesso, tutto fili liscio e Starship sia pronta per l’appuntamento. Ipotesi della quale, nonostante lo score impareggiabile di SpaceX, è lecito se non altro dubitare.

A quel punto, per rendere le cose più semplici e spianare la strada alla nuova civiltà, Musk non esclude di “terraformare” Marte, con bombe nucleari.

Sulle orme di Sagan. Quasi.

Poiché, a lungo termine, ogni civiltà planetaria sarà messa in pericolo dagli impatti provenienti dallo spazio, qualsiasi civiltà sopravvissuta è obbligata a diventare spaziale – non per zelo esplorativo o romantico, ma per la ragione più pratica che si possa immaginare: rimanere in vita… Se è in gioco la nostra sopravvivenza a lungo termine, abbiamo la responsabilità fondamentale verso la nostra specie di avventurarci su altri mondi“. 

Questa volta non sono parole di Elon Musk, ma di Carl Sagan. A pagina 36 del suo Pale Blue Dot, il grande scienziato e divulgatore si riferisce al possibile impatto di un oggetto massiccio, come un asteroide o una cometa, che potrebbe minacciare la vita sul nostro Pianeta. 

È accaduto in passato (ne hanno fatto le spese i dinosauri e una buona parte delle specie viventi) e risuccederà in futuro. La nostra capacità di deviare un corpo celeste in avvicinamento, però, oggi sta diventando reale e presto potremmo essere in grado di difenderci con missioni spaziali ad hoc.

Sagan, sebbene in un contesto diverso, riflette anche su un altro punto: la ricerca di una civiltà extraterrestre, portata avanti tendendo l’orecchio (in questo caso con i radiotelescopi) per ascoltare se qualcuno tenti di comunicare: “Il caso più probabile è che il messaggio provenga da una civiltà con una tecnologia molto superiore.

In questo modo, anche prima di decodificare un messaggio del genere, avremo acquisito una conoscenza inestimabile: che è possibile evitare i pericoli del periodo di adolescenza tecnologica che stiamo attraversando […] L’esistenza di un singolo messaggio dallo spazio dimostrerà che è si può sopravvivere all’adolescenza tecnologica: la civiltà che trasmette il messaggio, dopo tutto, è sopravvissuta“.

Quella “adolescenza tecnologica” non è altro, a dire di Sagan, che la fase attuale: grazie al progresso tecnologico abbiamo migliorato la nostra vita, ma insieme costruito il potenziale strumento per l’autoannientamento, dopo la scoperta dell’energia nucleare e l’invenzione della bomba atomica.

La perdita dell’Umanesimo

È da questo punto in poi che il “lungotermismo” abbandona la strada tracciata da Sagan. Da qui si perde il fascino dell’esplorazione e della scoperta, va smarrito il senso della scienza e della tecnologia in quanto strumenti di indagine per capire l’Universo e le sue dinamiche. Sempre da qui si smarrisce l’Umanesimo che da secoli nobilita lo sforzo di interrogarsi e comprendere il mondo.

Sagan contribuì a inviare sonde per lo studio del Sistema solare esterno, veicoli che trasportano placche e dischi con incisi messaggi per gli extraterrestri. Fece voltare la Voyager 1 per fotografare la Terra, solo per mostrare a tutti la visione del nostro “pallido puntino blu“, un granello di polvere sospeso nell’infinito.

Le ultime decisioni della Casa Bianca (che ha “divorziato” da Musk, ma la cui strada era stata tracciata proprio dal miliardario fondatore di Tesla e SpaceX) sembrano puntare in una direzione diversa: hanno soppresso (o rinunciato a finanziare) alcuni dei programmi di esplorazione scientifica che miravano proprio all’essenza, cioè alla spinta conoscitiva per sapere se siamo soli, o per comprendere ancora meglio il tessuto dello spaziotempo. 

Tre erano missioni deputate all’analisi e alla ricerca di possibili tracce di vita, passata e presente, su Marte: Mars sample return (diventato, è d’obbligo specificare, troppo costoso e annoso, anche secondo il giudizio della precedente amministrazione, al quale però si cercava ancora una soluzione low cost), ExoMars, con il rover Rosalind Franklin, programma europeo per cercare evidenze biologiche nel sottosuolo marziano, e Lisa, altra missione congiunta per rilevare onde gravitazionali con due satelliti nello spazio.

L’amministrazione Trump intende spegnere i satelliti che osservano e studiano Marte dall’orbita (Osyssey e Maven), chiudere le spedizioni destinate a Venere, abbandonare a sé stesse Juno, attorno a Giove, e New Horizons, ai confini del Sistema solare tra i corpi celesti della fascia di Kuiper.

Così facendo, lo sforzo residuo si trasforma in esaltazione della tecnologia come sfoggio di potenza e supremazia geopolitica, come è stato 60 anni fa per la corsa alla Luna sulla quale “bisogna tornare prima che sbarchino i cinesi“, o addirittura come strumento per la salvezza in un futuro oscuro e lontano, come un Mosè che guida il proprio popolo verso la terra promessa.

Nel contempo ci si disfa delle missioni satellitari che avrebbero contribuito a indagare il caos climatico, che è il vero problema, ignorato nel secolo scorso e impattante in questo.

Sagan non intendeva abbandonare la Terra e i suoi abitanti in balia di un inverno nucleare. Dedicò una riflessione potente al caso in cui, dopo una ricerca rigorosa, dovessimo concludere che nessuno, là fuori, sta tentando di contattarci: “Una simile scoperta sottolineerà, come forse nient’altro, le nostre responsabilità nei confronti delle generazioni future: perché la spiegazione più probabile dei risultati negativi, dopo una ricerca esaustiva e ricca di risorse, è che le società si distruggono prima di essere abbastanza avanzate da stabilire un servizio di trasmissione radio ad alta potenza“. 

È ciò che teme Musk. Per questo manifesta l’urgenza di cercare un altro mondo su cui trasferire la nostra civiltà. Sagan, però, cercava un messaggio di speranza, non contemplava un abbandono della nostra “culla”.

L’organizzazione di una ricerca di messaggi radio interstellari, al di là del risultato, può avere un’influenza coesiva e costruttiva sull’intera condizione umana“. Significa risolvere i problemi che abbiamo qui, sulla Terra, senza cercare le soluzioni altrove.



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