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Trump e Musk puntano su Luna e Marte. I tagli alla Nasa potrebbero coinvolgere lo spazio europeo.

Il documento che anticipa le proposte di spesa per il 2026 da parte dell’amministrazione americana disegna un nuovo futuro dell’esplorazione: azzerati importanti programmi con contributo Esa e italiano come la capsula Orion, la stazione lunare Gateway e il Mars Sample Return.

DI EMILIO COZZI

Non era passato un mese da quando Halo, il primo modulo della stazione spaziale lunare, costruito a Torino da Thales Alenia Space, era atterrato in Arizona per essere integrato al sistema di propulsione.

Il piano originario lo vedrebbe costituire il primo avamposto umano in orbita attorno a un altro corpo celeste: il Lunar Gateway. L’amministrazione Trump ha però confermato ciò che si temeva da settimane: il progetto dovrà essere cancellato. E, con lui, anche sei miliardi di finanziamenti destinati ad alimentare lo sforzo più audace nell’esplorazione del Sistema solare. A soccombere alla scure trumpiana sarebbero anche la scienza terrestre, del clima e dell’osservazione del nostro Pianeta.

Rimarrebbero solo due obbiettivi, quasi assurti a ossessione: battere la Cina sulla Luna e “portare un uomo su Marte“.

Due traguardi rispetto ai quali l’Europa potrebbe perdere molto e chissà se guadagnare qualcosa.

Nella sintesi delle modifiche al piano di spesa, che coinvolge tutti i settori dell’amministrazione statunitense, Donald Trump propone per la Nasa un budget di 18,8 miliardi di dollari, cioè una riduzione del 24% rispetto ai 24,8 miliardi dell’attuale esercizio finanziario. 

Beninteso, il presidente non si avvale di un ordine esecutivo, usa un documento omnicomprensivo (per quanto ancora sintetico). Per avere il lungo e dettagliato elenco definitivo si dovrà attendere la fine di maggio, quando sarà pubblicato e quindi sottoposto al Congresso per l’approvazione. Sarà in quel contesto che la politica farà il suo lavoro, in particolare per quanto inerente alla sfida (o all’affronto) di salvare operazioni esose e considerate da molti analisti poco in linea con i tempi. 

Il Senate Launch System

Per esempio lo Space Launch System, il vettore sviluppato nei decenni recenti per il programma di esplorazione lunare Artemis: in parte “riciclato” dall’epoca dello Space Shuttle, i suoi costi sono imparagonabili rispetto a quelli promessi, per esempio, da SpaceX con Starship.

Sls è un sistema di lancio non riutilizzabile. Lo realizza principalmente Boeing, un concorrente di SpaceX, caratteristica che più di un osservatore ha rilevato. Secondo un rapporto sui conti stilato dall’Inspector general nel 2023, ogni suo lancio costerebbe 2,5 miliardi di dollari (nel documento si parla di 4 miliardi), spesi i quali tutto sarebbe da rifare. 

Si stima che un lancio di Starship costerebbe dalle venti alle quaranta volte meno.

È un’ipotesi: a differenza dell’Sls, Starship non è ancora operativa. È però progettata per essere riutilizzata in toto. Per questo l’amministrazione Trump è intenzionata ad abbandonare Sls dopo tre lanci: significa che, con Artemis II e III, l’umanità tornerà prima attorno e poi sulla Luna sfruttando l’esoso sistema di lancio. Quindi Sls sarà “pensionato”, insieme con la capsula per astronauti Orion progettata per essergli integrata in testa (perlopiù da Lockheed Martin, altro concorrente di SpaceX).

Non è un dettaglio, almeno non per l’industria europea, che realizza una parte indispensabile del sistema di trasporto lunare: il Modulo di servizio, deputato a garantire propulsione ed energia a Orion e fornito dall’Agenzia spaziale europea (l’Esa). 

A onore di cronaca, da anni gli scettici avevano ribattezzato il sistema “Senate Launch System”: a loro dire era tenuto in vita per conservare migliaia di posti di lavoro. Non sorprende sia diventato un bersaglio dell’approccio “oltranzista” della nuova amministrazione americana.

Dal punto di vista politico, il suo abbandono sarà un boccone amaro per i delegati eletti nei territori coinvolti nel processo produttivo. Nell’ottica della spending review inaugurata da Trump, e con Musk a orientarne il mirino, sembra però improbabile che lo Space Launch System sopravviva.

Sotto accusa c’è il sistema dei contratti cost-plus, senza un tetto di spesa, vale a dire il vecchio modello della Nasa. Oggi si guarda al settore commerciale per snellire, velocizzare e risparmiare. Che il cambio di paradigma arricchisca un paio di presenti all’Inauguration day del rieletto presidente, Elon Musk e Jeff Bezos, sembra quasi un corollario. 

Il primo con fondi per lo sviluppo di Starship che, bene ribadirlo, oggi rappresenta la prima scelta per allunare oltre che per puntare a Marte; il secondo con il suo razzo New Glenn e l’altro lander per lo sbarco lunare.

Al capitolo “Sistemi di esplorazione umana ereditati dal passato”, per cui si propone un taglio di 879 milioni, si legge: “Il bilancio finanzia un programma per sostituire i voli Sls e Orion verso la Luna con sistemi commerciali più efficaci dal punto di vista dei costi, che supporteranno missioni lunari successive più ambiziose”. 

Niente più stazione in orbita lunare

L’amministrazione Trump propone anche di terminare il Lunar Gateway, la stazione in fase di sviluppo con partner internazionali pensata per supportare le future missioni sul suolo selenico e nello spazio profondo. 

Sarebbe un altro colpo duro per l’Europa: oltre alle ricadute industriali – in progetti già in fase avanzata -, metterebbe fine prima ancora di cominciarla a una nuova avventura, un esempio di cooperazione internazionale lontano dalla Terra, un’infrastruttura capace di permettere agli equipaggi di attraccare come a un porto e da lì scendere per condurre operazioni sulla superficie. 

L’Italia è pesantemente coinvolta nello sviluppo del Gateway: come già scritto, buona parte dei volumi abitabili viene realizzata a Torino da Thales Alenia Space. Il programma riguarda anche il Giappone, il Canada e gli Emirati Arabi Uniti (con un modulo appaltato, di nuovo, a Thales). 

Che ne sarà, dunque, dei moduli cui si è lavorato e si continua a lavorare per il Gateway? È probabile saranno utilizzati per scopi diversi, oppure, chissà, venduti a compagnie che vanno progettando le nuove stazioni private in orbita terrestre, lì dove la Stazione spaziale internazionale (Iss) sta per essere deorbitata (“entro il 2030” specifica il documento). 

Nel frattempo, al capitolo Iss si vogliono tagliare fondi per oltre mezzo miliardo di dollari: “Il bilancio riflette l’imminente transizione verso un approccio commerciale più efficiente in termini di costi per le attività umane nello spazio, riduce l’equipaggio e le attività di ricerca – si legge – i voli di equipaggi e di carichi verso la stazione saranno significativamente ridotti. Per concentrarsi su attività fondamentali per i programmi di esplorazione di Luna e Marte“. 

È possibile immaginare molti, in Italia, attendere i dettagli del prossimo e più completo prospetto di bilancio per sapere se almeno il modulo abitativo sulla superficie lunare, Made in Italy per scelta della Nasa (e anche in questo caso prodotto da Thales Alenia Space), resterà nei piani del governo.

L’obiettivo sembra diverso. È esplicitato, in poche righe, addirittura due volte: battere la Cina nella nuova corsa alla Luna e “portare un uomo su Marte.

A proposito di Marte. Che fine fa Exomars?

E dunque che ne sarà del Mars Sample Return, programma complesso, costoso e sempre in collaborazione con l’Europa? 

Già durante l’amministrazione Biden il Congresso lo aveva falcidiato a causa dei costi schizzati alle stelle, tanto da spingere la Nasa a esplorare alternative low cost

Il suo obiettivo consiste nel recuperare e portare sulla Terra i campioni di suolo marziano raccolti dal rover Perseverance, quindi nella loro analisi in laboratori terrestri. Anche questa è un’avventura intrapresa con l’Esa e con i Paesi europei. E anche questa, secondo Trump, andrebbe eliminata. 

È evidente quanto, alla nuova amministrazione americana, poco interessi la ricerca scientifica: lo spazio sembra trasformatosi esclusivamente in una questione di conquista.  Sarà eventualmente l’uomo destinato a Marte a raccogliere i campioni e a portarli sulla Terra, come fecero gli astronauti delle missioni Apollo per la Luna.

Non a caso l’unico capitolo a registrare una proposta di incremento è la Human Space Exploration: “Stanziando oltre 7 miliardi di dollari per l’esplorazione lunare e introducendo 1 miliardo di dollari di nuovi investimenti per programmi incentrati su Marte, il bilancio assicura che gli sforzi americani per l’esplorazione umana dello spazio rimangano ineguagliabili, innovativi ed efficienti“.

Fra le tante, una domanda, per l’Europa, resta ancora inevasa. 

Quale sarà il destino di Exomars? 

Dopo la fine della collaborazione con la Russia, il rover Rosalind Franklin attende strumenti e supporto logistico made in Usa per decollare e approdare su Marte. La Nasa si era impegnata a contribuire con uno strumento per l’analisi di composti organici, con il veicolo di lancio, con il sistema di produzione di energia a radioisotopi e con i motori per la discesa sul Pianeta rosso (questi ultimi importantissimi, viste le difficoltà di “ammartare” già avute dall’Esa).

Nel bilancio redatto l’anno scorso, per Rosalind Franklin erano previsti 73 milioni nel 2026 a salire fino al 2028, anno del previsto lancio.

In questo momento è difficile aggiungere altro.

Tagli a ricerca, clima, personale e manutenzione

Visti i tentativi durante il primo mandato presidenziale, non sorprende nemmeno che Trump voglia tagliare in misura consistente il finanziamento della ricerca scientifica e dei satelliti applicati all’ambiente: meno 1,1 miliardi alle scienze terrestri come “satelliti di monitoraggio climatico a bassa priorità” e il programma Landsat; le “spese per la ‘aviazione verde’ incentrate sul clima, proteggendo al tempo stesso lo sviluppo di tecnologie con applicazioni per il controllo del traffico aereo e la difesa” (meno 346 milioni); tagli mostruosi a tutto ciò che permette all’ente di funzionare: 1,134 miliardi in meno al “mission support”, una mannaia che scende sul numero di impiegati, sulla manutenzione e sulle attività di conformità ambientale. 

Laddove, fa notare il New York Times, come accertato da un rapporto della Nasa pubblicato nel 2024, lo sforzo dovrebbe essere semmai aumentato, dato che molte strutture risalgono agli anni 60.

Nessuno spazio woke

Infine, una indicazione “di metodo” che ricorre ben 12 volte in tutte le 46 pagine di cui è composto il documento – un documento, bene ribadirlo, che sintetizza le modifiche all’intero piano di spesa dell’amministrazione americana in tutti i settori, di cui la Nasa è un capitolo tutto sommato breve: il ripudio della “woke culture”, la consapevolezza e l’attività contro le ingiustizie sociali (razzismo, discriminazione di genere) additate dai conservatori come ideologie progressiste (e nelle quali si intende includere, per esempio, la lotta contro i cambiamenti climatici). 

Così si legge: “Il ruolo principale della Nasa è l’esplorazione dello spazio e, come le generazioni precedenti che sono state ispirate dagli sbarchi lunari dell’Apollo, la Nasa ispirerà la prossima generazione di esploratori attraverso entusiasmanti e ambiziose missioni spaziali, non sovvenzionando programmi e ricerche Stem Woke, che privilegiano alcuni gruppi di studenti a scapito di altri e che hanno avuto un impatto minimo sul settore aerospaziale“.

Il percorso della legge che definirà il budget per l’anno fiscale 2026 della Nasa è ancora lungo, e anche il Congresso ha il potere di modificarne significativamente l’impianto. Eppure la strada sembra segnata. 

Il futuro dell’esplorazione spaziale non sarà come lo si era immaginato fino a pochi anni fa.



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