fbpx

La U.S. Space punta alla superiorità spaziale

Un nuovo documento della Forza armata delinea l’approccio per il dominio in orbita. E non esclude offensive.

DI  EMILIO COZZI

Finora è stata poco più di un’ipotesi: la guerra spaziale era uno scenario in parte accreditabile alla narrazione cinematografica, alle sequenze di Star Wars, Battlestar Galactica e film simili. 

Quanto espresso nel 2019 dalla Nato, l’identificazione dello spazio come nuovo “dominio operativo”, cioè verosimile teatro di conflitto, era, appunto, un concetto. 

Oggi però la United States Space Force (o Ussf), la branca delle forze armate statunitensi creata da Donald Trump sempre nel 2019, ha messo le cose in chiaro nel nuovo documento strategico intitolato “Space Warfighting: A Framework for Planners”.  È il manifesto di una svolta. Sostiene, nero su bianco, che lo spazio vada dominato. 

Lungi dall’essere una dichiarazione di guerra, somiglia però molto a una rivendicazione di sovranità: chiunque ostacoli le operazioni statunitensi (e degli alleati) in orbita, sarà colpito.

Dalla dissuasione alla dominazione: la “superiorità spaziale” come obiettivo

L’obiettivo dichiarato è la superiorità spaziale, una condizione operativa che consenta agli Stati Uniti di avere libertà di azione in orbita e di impedirla agli avversari: è “Il grado di dominio che permette agli Stati Uniti e ai loro alleati di condurre operazioni senza interferenze effettive, negando agli avversari la stessa libertà“. È una definizione, una dottrina di superiorità. Garantita ricorso alla forza.

È una variazione di passo netta, per di più accompagnata da un cambio di tono anche nella comunicazione ufficiale. Con un linguaggio da manuale militare: “warfighting”, “offensive space control”, “targeting”, “combat power”. 

Abbiamo una nuova amministrazione che ci ha spinto a concentrarci su questo tema – ha dichiarato il luogotenente generale della forza spaziale Shawn Bratton ai giornalisti – abbiamo un segretario alla Difesa molto interessato all’etica bellica e alla letalità, e naturalmente stiamo progredendo fino al punto in cui stiamo superando il concetto di ‘proteggere e difendere’ e sì, parliamo di capacità offensive nello spazio“.

Attacco e difesa

In effetti il documento distingue tra Offensive space control (Osc) e Defensive space control (Dsc). 

Il “controllo offensivo dello spazio” comprende attività volte a degradare, disturbare, negare o distruggere le capacità spaziali dell’avversario. E delinea tre tipi di operazioni: anzitutto l’attacco orbitale, cioè l’aggressione “per distruggere, interrompere o degradare le piattaforme spaziali avversarie nel dominio spaziale“. È effettuabile grazie a ‘intercettori’ sia con rendez-vous in orbita, sia basati a terra – con la tattica dell’inseguimento, centrando un satellite nemico con un proiettile (anti satellite, Asat); oppure con attacchi a distanza (standoff), che sfruttino per esempio armi laser. 

La seconda azione è l’interdizione del collegamento spaziale, deputato a tagliare il cordone ombelicale che lega i satelliti avversari ai sistemi di controllo. È uno dei sistemi “non cinetici”, da attuare con attacchi elettromagnetici, come le interferenze radio (jamming) o con un attacco cyber. 

La terza azione contemplata è l’offensiva terrestre, diretta alle stazioni e alle infrastrutture di lancio, sul suolo o in mare, alle antenne e ai centri di controllo missione. Può essere condotta da velivoli, basi terrestri, marittime o spaziali. 

Il controllo difensivo mira invece a proteggere le risorse spaziali proprie e amiche. Quelle passive sono messe in atto rafforzando la resilienza dei satelliti, distribuendo le funzioni su architetture in rete, ricorrendo a piattaforme manovrabili e capaci di evitare minacce (da detriti a sistemi Asat nemici). Quelle attive sfruttano le stesse tattiche delle azioni di offesa, con un discrimine tra prevenzione e attacco non poco labile. 

Sono la disponibilità e la prontezza a usare capacità offensive a segnare una discontinuità. Non si tratta più solo di “resistere” o “sopravvivere”, ma, se necessario, di colpire per primi.

Lo spazio centrale della guerra multi dominio

“Vincere” nello spazio è un obiettivo che, in un ambiente privo di confini, ha significati molto diversi rispetto alla terraferma. A lungo termine significa mantenere un vantaggio competitivo contro avversari capaci e determinati come Cina e Russia. 

La chiave è l’adattabilità, integrata in una strategia multidominio che collega lo spazio al cyber, alla guerra elettronica, alle forze terrestri, aeree e marittime. La Space Force si propone come nodo centrale di questa rete, fornendo informazioni, posizionamento, targeting e comunicazioni a tutte le componenti della Forza congiunta, la Joint Force. Non a caso, gli operatori dell’armata spaziale sono definiti “guardians“.

La superiorità spaziale non è solo un prerequisito necessario per il successo della Forza congiunta, ma anche qualcosa per cui dobbiamo essere pronti a combattere. Ottenuta e mantenuta, sblocca la superiorità in altri settori, alimenta la letalità della coalizione e rafforza la sopravvivenza delle truppe. È quindi la base da cui la Forza congiunta proietta il potere, scoraggia l’aggressione e protegge la patria“, scrive il capo delle operazioni spaziali, il generale Chance Saltzman, nella sua introduzione al documento.

In questa visione lo spazio costituisce il “nodo sensoriale” dell’intero apparato militare statunitense: “Ne sentiamo il peso – ha dichiarato Bratton – non si tratta solo di combattere nello spazio e vedere chi vince la battaglia. Combatteremo nello spazio per assicurarci che una nostra portaerei non venga colpita e che 5mila marinai non finiscano in fondo all’oceano“. È una “letalità congiunta in tutti i settori“, si sottolinea nel rapporto, che mette in evidenza l’importanza della componente cyber, per la difesa e l’attacco.

Space domain awareness: occhi e orecchie in orbita

Per agire efficacemente in uno scenario bellico, serve sapere dove si trovino tutti: alleati, nemici, oggetti non identificati. Entra in gioco il pilastro della Space Domain Awareness (Sda), la capacità di sorvegliare, tracciare, identificare, attribuire comportamenti e intenzioni nello spazio.

Gli Stati Uniti stanno sviluppando reti globali di sensori terrestri, radar phased-array, telescopi spaziali e intelligenza artificiale per monitorare ogni millimetro cubo di orbita utile, dalle quote più basse all’orbita geostazionaria. L’obiettivo è attribuire responsabilità con certezza, anticipare le minacce e reagire prima che il danno sia fatto. 

La Sda non è solo “situational awareness”; è un elemento chiave della dissuasione. Sapere che ogni mossa sarà vista, tracciata, compresa e potenzialmente contrastata è già un deterrente.

Nello spazio, una nuova guerra fredda?

Il presidio strategico avviene ora in una regione senza confini, dove orbitano alleati e nemici, insieme. Questo, dal punto di vista delle provocazioni, rende tutto molto più incerto. Lo spazio è conteso, e sarà sempre più affollato, ambito, militarizzato. Il nuovo framework della Space Force statunitense sancisce che siamo entrati nell’epoca dello spazio bellico, dove la superiorità orbitale è considerata strategica quanto quella aerea o nucleare.

La competizione con Cina e Russia, entrambe attivamente impegnate nello sviluppo di capacità antisatellite, è vista come sistemica e a lungo termine. Come sottolineano molti analisti, il rischio è che la deterrenza possa cedere il passo alla provocazione. Ma per Washington non c’è alternativa: la pace nello spazio si garantisce con il posizionamento strategico. La deterrenza arriva dalla minaccia del ricorso alla forza. 

Come durante la guerra fredda.



Leave a Reply

Sign up to our newsletter!

This website uses cookies and asks your personal data to enhance your browsing experience.