fbpx

Ddl spazio, Starlink e il “ritorno industriale” per connettere l’Italia (e l’Europa)

Gli emendamenti sulla sicurezza nazionale e le commesse per il nostro Paese visti alla luce del piano di riarmo targato Von Der Leyen 

DI EMILIO COZZI

Vale la pena notarlo: il Ddl spazio approvato alla Camera a inizio marzo e ora al vaglio del Senato è cambiato rispetto alla prima versione del giugno 2024. La cosa è rilevante, perché ci si addentra in questioni che riguardano sia il futuro della space economy del nostro Paese, che quello della sicurezza nazionale ed europea.

Su queste pagine, si era scritto della proposta subito dopo la sua emanazione da parte del Consiglio dei ministri, all’inizio dell’estate scorsa. In estrema sintesi, il Ddl introduce una programmazione e un fondo dedicati alle attività extra-atmosferiche delle imprese e la prima direttiva sugli appalti pubblici per Pmi innovative e startup, oltra a un registro delle aziende autorizzate a lanciare e operare in orbita, con requisiti, tecnici ed economici, necessari per ottenere i nullaosta.

Se ne riparla oggi perché il dibattito politico si è infiammato sulla medesima questione che aveva acceso gli animi nove mesi fa: la garanzia di una “riserva trasmissiva nazionale” (articolo 25), cioè di un servizio di connettività via satellite che possa rispondere a esigenze di sicurezza interna, degli enti nazionali e delle istituzioni. 

È doveroso notare come qualsiasi polemica relativa alla Difesa, sia esplicitamente esclusa dall’articolo 28 che precisa che il Ddl non si applica alle attività spaziali condotte dal Ministero della difesa e dagli organismi di informazione per la sicurezza. Lo stesso articolo reca una clausola di salvaguardia generale che fa salva l’applicazione dei poteri speciali (il cosiddetto “golden power“) sugli assetti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per l’attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. 

Eppure, secondo chi lo critica, così concepita la legge e nello specifico l’articolo 25 sarebbero una esplicita concessione a Elon Musk, alla cui costellazione Starlink il governo potrebbe fare ricorso.

La battaglia degli emendamenti

Come detto, però, il testo passato alla Camera ha subìto alcune modifiche in sede di commissione. Forse la più importante riguarda proprio l’articolo della discordia, che ora recita così: “Il Ministero delle imprese e del made in Italy provvede alla costituzione di una riserva di capacità trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari, utilizzando, al fine di garantire la massima diversificazione nonché la sicurezza nazionale, sia satelliti sia costellazioni in orbita geostazionaria, media e bassa, gestiti esclusivamente da soggetti appartenenti all’Unione europea o all’Alleanza atlantica, anche in modo da assicurare un adeguato ritorno industriale per il sistema Paese“. Quelli in grassetto sono gli emendamenti, cioè le aggiunte al testo originale. Sono loro ad aver contrariato Andrea Stroppa, l’emissario di Musk in Italia.

Sono stati presentati dal Partito Democratico e hanno ricevuto anche l’approvazione della maggioranza. Immediata è stata la reazione di Stroppa che su X non ha usato giri di parole: “Intesa Pd-FdI. Bene, si vuole far passare Starlink e SpaceX (che, tra l’altro, ha lanciato missioni per l’Italia accelerando le tempistiche per dare una mano) per i cattivi. Agli amici di FdI: evitate di chiamarci per conferenze o altro“. 

Incandescenze a parte, si è insomma introdotto il requisito della sicurezza nazionale, che dovrebbe essere caro alla politica, trattandosi di un servizio deputato a veicolare informazioni sensibili e strategiche in caso di “situazioni critiche”, come catastrofi ambientali o incidenti alle infrastrutture di terra.

La seconda modifica è interessante anche per come si è sviluppata: un primo emendamento, sempre a firma dei deputati del Pd, recitava “e comunque prevedendo un adeguato ritorno industriale per il sistema paese“. In quel “anche” preferito nella versione definitiva all’“e comunque”, pare di leggere un allentamento della precedente perentorietà. “Comunque” significa “in ogni modo”, “in ogni caso”, applicato a un concetto, quello del ritorno industriale, ancora non propriamente definito nel caso si tratti di un servizio di connessione satellitare acquistato da un Paese terzo, che sia l’America, con Starlink, o l’Europa, con OneWeb.

Meno vincoli, Starlink in pole

Non è un caso se spulciando tra gli emendamenti al medesimo articolo emergano proposte (da parte di parlamentari di Azione) bocciate, che intendevano introdurre paletti anche più rigidi. Si proponeva che la selezione del servizio prevedesse: “a) compatibilità, coerenza e integrazione con gli impegni e i programmi cui l’Italia partecipa in sede europea; b) proprietà e controllo esclusivo della crittografia e delle componenti software e hardware utilizzate da parte del committente del servizio“. Requisiti, parrebbe, poco o per nulla compatibili con Starlink. Andrebbe però evidenziato che il possedere proprietà e controllo dell’hardware è in contraddizione anche con qualsiasi altra costellazione che non sia sovrana. 

È stato altresì bocciato l’emendamento che imponeva di ricorrere a realtà extraeuropee solo “in caso di comprovata indisponibilità” di servizi forniti “da soggetti istituzionali appartenenti all’Unione europea“. Verrebbe da pensare, in questo caso, a una costellazione come quella di OneWeb della società Eutelsat, le cui azioni sono in mano, sì, a una compagnia privata indiana, ma anche alla banca pubblica francese e al governo del Regno Unito. Era una sintesi della storia di questo articolo, discusso, travagliato, e foriero di polemiche perché considerato dalle opposizioni un “regalo” a Musk. Di fatto, però, l’articolo non esclude altri attori, come appunto Eutelsat con OneWeb. 

In fondo andrebbe ricordato come Musk, inventando Starlink, abbia creato l’esigenza di inseguire una tecnologia a oggi senza eguali in quanto a performance e infrastruttura disponibile. Detta in breve: OneWeb può essere un sostituto? Dipende.

Le possibilità di OneWeb

Dipende anzitutto da cosa si chieda a OneWeb. In una serie di interlocuzioni internazionali l’azienda si va proponendo come alternativa a Starlink, per esempio in Ucraina e con riferimento, nel caso, anche a esigenze militari: “Stiamo discutendo con l’Ue su come contribuire a rafforzare gli sforzi dell’Ucraina“, diceva a Reuters un portavoce di Eutelsat, ricordando di disporre anche di capacità satellitare geostazionaria adatta ad alcune applicazioni in loco. “Stiamo collaborando attivamente con le istituzioni e i partner commerciali europei per consentire il rapido dispiegamento di ulteriori terminali utente per missioni e infrastrutture critiche“, era stato aggiunto alludendo alla possibilità di offrire le stesse capacità di Starlink in termini di copertura e latenza sul territorio europeo.

I dubbi però restano: i satelliti attualmente operativi di Musk sono circa 7mila, contro i 650 di OneWeb. Anche latenze e bande dichiarate sono a vantaggio della mega costellazione statunitense, che è peraltro più economica e dispone di antenne più agili, cioè più facili da spostare in uno scenario operativo. Lì dove serve, appunto, tanta banda, con feed video in tempo reale.

Se OneWeb possa offrire un servizio sufficiente per l’Ucraina, o in situazioni simili, rimane ancora da capire.

Prima di Iris2

Come resta da capire quali possano essere i ritorni industriali di un’operazione di questo tipo, per l’Italia. Di certo saranno necessari lavori per rendere il Paese autonomo, almeno dal punto di vista delle infrastrutture terrestri. Occorreranno ground station, serviranno i cosiddetti “gateway” necessari per collegare i satelliti alla backbone, la spina dorsale della rete Internet che, almeno per ora, è solidamente ancorata al terreno.

Non è peregrino pensare che, per esempio nel caso di OneWeb, ci possa essere uno sforzo aggiuntivo, teso a integrare la costellazione già lanciata con nuovi satelliti pronti a infittirne le maglie nei prossimi anni. 
Quelli in orbita sono stati costruiti da Airbus, che potrebbe, nel prossimo futuro, formare una nuova Space Alliance con Thales e Leonardo, possibilità suggerita dall’Ad del colosso italiano, Roberto Cingolani. Magari nell’ottica che dagli 800 miliardi di euro previsti da Ursula Von Der Leyen derivi una linea di credito per costruire o consolidare la prima costellazione europea per la connettività satellitare. E anche prima di Iris2, progetto nato con ritardo e che rischia di accumularne altro. E programma, va ricordato, dal quale si sono sfilate le più grandi compagnie europee del settore come Leonardo, Thales e Airbus, che hanno preferito restare solo come fornitrici invece di affrontare il rischio d’impresa.



Leave a Reply

Sign up to our newsletter!

This website uses cookies and asks your personal data to enhance your browsing experience.