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New Glenn e Starship: super razzi per due miliardari alla corte di Trump

Elon Musk e Jeff Bezos si contendono il futuro dell’esplorazione spaziale. Ma SpaceX, come sempre, è molti passi avanti

DI EMILIO COZZI

In un mese memorabile per l’esplorazione spaziale, è stato possibile assistere a due spettacoli ai quali ancora si fatica ad abituare gli occhi. Scene che promettono di diventare ordinarie molto presto.

Due sistemi di lancio del prossimo futuro si sono staccati dal suolo statunitense: uno ha registrato un successo per “tre quarti”, l’altro per tre quarti è stato un fallimento.

Sebbene questo evochi il tanto lavoro ancora da fare, l’impressione è sarà fatto in fretta. Primo, perché al suo debutto il New Glenn di Blue Origin ha dimostrato di poter arrivare in orbita senza problemi. Secondo, perché Elon Musk, il padre e padrone di SpaceX, oggi è al governo e punta a fare test in maniera intensiva, alla faccia di esplosioni e fallimenti più o meno parziali. In ballo ci sono il programma lunare della Nasa e il prestigio degli Stati Uniti, tenuto conto che dal suo primo giorno la presidenza di Donald Trump ha addirittura alzato l’asticella: sarà Marte la nuova meta extraterrestre degli Usa di Donald II.

Il debutto del New Glenn

Si parta, per una volta, non da SpaceX.

Il 16 gennaio, dopo alcuni rinvii per problemi tecnici e maltempo, Blue Origin ha dato fuoco alle polveri per il suo primo lancio orbitale. Il massivo New Glenn, potente razzo pensato per una varietà di funzioni, ha raggiunto l’orbita al primo tentativo. Meno bene è andato il rientro del primo stadio, che avrebbe dovuto posarsi sulla piattaforma Jacklyn, nell’oceano Atlantico, ma non ci è riuscito. Non è stato un successo su tutti i fronti, dunque, ma sarebbe stata una grossa sorpresa. La stessa SpaceX ha accumulato numerosi tentativi per mettere a punto l’atterraggio e il riutilizzo del booster (online l’azienda pubblicò addirittura un video autoironico dedicato a questa “epopea” di errori).

Il secondo stadio di New Glenn è entrato in orbita con il suo carico utile, il Blue Ring Pathfinder, un dimostratore tecnologico per l’in orbit servicing, che tuttavia non è stato rilasciato, ma è rimasto attaccato al razzo per testare le comunicazioni. Anche questo con successo. La compagnia di Jeff Bezos lo sta sviluppando per la Difesa americana. Secondo quanto riporta dall’azienda, è un “veicolo logistico multi orbitale”, capace di adempiere a molte funzioni quali hosting, trasporto, rifornimento, trasmissione dati e logistica dei satelliti, compresa una capacità di edge computing nello spazio.

Un lanciatore potente e “multiuso”

La certificazione del razzo lo inserirà nel programma National security space launch (Nssl) della U.S. Space Force, per il lancio di veicoli spaziali militari e di intelligence statunitensi. Inclusi i satelliti Gps, di comunicazione e meteo che forniscono dati e servizi al governo degli Stati Uniti.

Il New Glenn è alto 98 metri (una ventina in meno dell’attuale configurazione di Starship) ed è in grado di trasportare 45 tonnellate di carico utile nell’orbita terrestre bassa (e 13 in orbita di trasferimento geostazionaria).

In origine, avrebbe dovuto lanciare le due sonde marziane Escapade della Nasa (ora previste in partenza in primavera), ma l’agenzia spaziale ha deciso di posticipare la partenza finché il razzo non si fosse dimostrato affidabile. Per fare un confronto, il razzo Falcon Heavy di SpaceX, che dispone anche di booster riutilizzabili del primo stadio (fino a tre, a seconda della potenza necessaria per il tipo di missione), può portare circa 70 tonnellate orbita bassa.

La caratteristica straordinaria del New Glenn non è in realtà la potenza (per capacità di carico batte il Falcon 9, ma non la versione Heavy), ma il volume di carico. L’ogiva che contiene il payload è infatti gigantesca: alta 22 metri è larga ben 7. È seconda solo a Starship (che ha un diametro utile di circa 8 metri).

Significa che l’azienda di Bezos mira a un mercato vario, che può andare dai payload commerciali (con un prevedibile dispenser per satelliti), alle sonde e ai grandi satelliti governativi. In teoria, offre una soluzione che potrebbe evitare costosi e rischiosi sistemi di dispiegamento di bracci una volta in orbita. E ospitare grandi antenne, tipiche dei satelliti di comunicazione geostazionari. In più dovrebbe diventare il veicolo preferenziale per consegnare sulle loro orbite i nodi della mega costellazione di Amazon, Kuiper, proprio come SpaceX fa con Starlink.

Ancora più rilevante sarà il prezzo per i suoi utilizzatori: sebbene non siano stati annunciati costi ufficiali, la rivale europea Arianespace ha stimato che il prezzo di lancio di New Glenn “sia di circa 68 milioni di dollari”. Equivarrebbe a un rapporto prezzo per chilogrammo di 1.511 dollari, cosa che lo renderebbe il primo vero concorrente dell’attuale leader di mercato, il Falcon 9 di SpaceX (il cui prezzo è di poco inferiore a 4mila dollari al chilo, con un grosso margine di profitto).

Detto altrimenti, è possibile si sia appena visto il debutto del nuovo fornitore di servizi di lancio per l’orbita e anche per la Luna. Non si dimentichi infatti che Blue Origin è al lavoro anche sul Blue Moon, il lander lunare che sarà utilizzato in alcune delle prossime missioni del programma Artemis. Il New Glenn sarà il razzo incaricato di spingerlo oltre l’orbita terrestre in traiettoria selenica. La concorrenza di Blue Origin comincia da qui, anche se, per potenza e costi, Starship promette ben altri record.

L’astronave di Musk, oltre il fallimento

La potenza di cui ha dato dimostrazione Starship, questa volta, si è parzialmente espressa in modo non convenzionale, con una pioggia di detriti incandescenti che ha destato non poca preoccupazione nei cieli caraibici. Il problema è che Starship era attesa da qualche parte nell’oceano Indiano per un gentile ammaraggio verticale. E invece la nuova versione, la Block 2, è esplosa dopo appena nove minuti sopra Haiti. Sembra sia successo per una perdita nel circuito del carburante. La Block 2 ha avuto importanti modifiche ai serbatoi oltre che alle superfici aerodinamiche. 

Nonostante non sia andato tutto come auspicato, Elon Musk si è detto fiducioso, presto Starship tornerà a volare. E non è per nulla un dettaglio: l’obiettivo era, e rimane, lanciare fino a 25 volte quest’anno. È legittimo chiedersi se, ora che l’uomo più ricco del mondo fa parte dell’amministrazione americana (responsabile tra l’altro dello snellimento amministrativo), il ping pong con la Federal aviation administration (Faa) non sarà anch’esso più snello. Meno burocrazia e più libertà d’azione. Anche in questo Musk vanta, almeno sulla carta, un vantaggio rispetto al concorrente Bezos. 

Space billionaires alla corte del re

Anche Bezos è stato invitato alla cerimonia di inaugurazione del secondo mandato del presidente americano, che ha un debole per gli imprenditori audaci (ne ha proposto un altro, Jared Isaacman, a capo della Nasa). Il New Glenn, però, non è pensato per migrazioni “marziane”, anche se il fondatore di Amazon, in fatto di imprese audaci e di rivoluzioni, conta già diverse tacche sul calcio. Peraltro anche Jeff Bezos aveva promesso di contribuire con un milione di dollari all’Inauguration day di The Donald (Musk attorno ai 250 milioni), e sta costruendo un lander lunare per Artemis.

Di contro, Starship è pensata per sbarcare su Marte, nuovo obbiettivo dell’ambizione extraterrestre di Trump. Il sistema di lancio, il primo a promettere una completa riutilizzabilità, sarà usato per riportare l’umanità sulla Luna; e per rivoluzionare di nuovo le dinamiche della space economy, dato che il prezzo per un lancio con il vettore più potente potrebbe scendere a cifre impossibili da eguagliare per chiunque altro. Si parla di poche centinaia di dollari al chilo, sebbene qualcuno non escluda anche si possa scendere sotto i 100 dollari.

Per i rapporti che oggi intercorrono tra Musk e il neoeletto presidente, SpaceX potrebbe avere la strada spianata. Durante il suo secondo discorso inaugurale, Trump ha promesso porterà astronauti americani a piantare la bandiera a stelle e strisce su Marte. Il tempo e i progressi diranno se sarà possibile. Ma un vincitore, a questo punto, già c’è. L’unica incognita riguarda i rapporti tra i due, personalità debordanti e difficilmente prevedibili.
È azzardato dire quando sarà pronta la Starship in versione lunare – ribattezzata Moonship – e per il programma Artemis. Servirà di certo una missione senza equipaggio per dimostrare alla Nasa di potere raggiungere il suolo selenico e tornare in sicurezza. A quel punto, inutile frenare la fantasia, sarà pronta anche un’astronave per il Pianeta rosso.



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