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La “Starship” made in China, riutilizzabile e potente. Pechino nello spazio in scia all’America.

All’Air show di Zhuhai, nel Guandong, Pechino ha presentato visioni di un approccio all’esplorazione e alle attività orbitali che ricalcano quelle statunitensi: riutilizzabilità e anche un comparto di imprese commerciali in rapida crescita, supportate dal governo.

DI EMILIO COZZI

Ne è passato di tempo da quando la vulgata comune, con accezione spregiativa, indicava la manifattura di bassa qualità come “imitazione cinese”. Oggi scherzare con Pechino è poco opportuno, anche oltre l’atmosfera. La Cina è in piena corsa nelle attività e nei programmi spaziali, vicini e lontani dalla Terra. E la sua è una visione simile, almeno nel suo inverarsi, a quella occidentale. Se non altro per le apparenze, cioè per la forma dei mezzi sui quali viaggeranno i materiali e le future generazioni di taikonauti.

La strada tracciata è quella di SpaceX, con un asset strategico – la riutilizzabilità – che ora riguarda anche le dinamiche delle navette cargo, mini shuttle con ritorno planare. Sono le idee sulle quali viaggia un nuovo modo di affrontare la sfida extra-atmosferica. Rimane da capire chi arriverà per primo, posto che la corsa sia più simile a una maratona che a uno sprint.

Al quindicesimo China Air show di Zhuhai, nella provincia di Guangdong, la China Aerospace science and technology corporation (Casc) ha svelato il design più recente del vettore Lunga Marcia 9, il razzo super pesante che, presentato la prima volta nel 2021, rappresenterà i muscoli dello slancio cinese verso la Luna e oltre. Dovrà garantire prestazioni paragonabili al sistema di lancio completamente riutilizzabile di SpaceX e, senza nemmeno guardare con troppa attenzione, non sfuggirà quanto anche il suo aspetto ricordi il tandem Super Heavy-Ship forgiato a Boca Chica, la Starbase di Elon Musk sulla costa del Texas.

Come sempre quando si tratta del Dragone, i dettagli scarseggiano: un’altezza massima di 114 metri, per una massa di 4400 tonnellate e una spinta al decollo di 6100 tonnellate. Il diametro sarà di 10,6 metri e la capacità di carico varierà fra le 100 tonnellate (o 150) in orbita terrestre bassa e oltre le 50 in orbita di trasferimento lunare. Numeri che, come si diceva, tendono alle prestazioni di Starship. Un video, pubblicato il 12 novembre in occasione dell’evento di Zhuhai, mostra come tutto il sistema sia ispirato, per usare un eufemismo, a quello statunitense. In particolare per quanto concerne il design interamente riusabile.

Tale e quale

Anche i particolari mostrati nel video rimandano alla forma e alle funzioni del battistrada americano. Come i flaps dello stadio superiore, le “pinne” necessarie alle manovre aerodinamiche in fase di discesa. La fase stessa di rientro della navetta è stata mostrata con una manovra “belly flop”, un tuffo a pancia in giù, prima dell’atterraggio verticale. Nondimeno il corrispettivo delle grid fins del primo stadio, le alette a griglia deputate alla manovra di rientro e recupero del booster, appaiono identiche a quelle del Super Heavy. 

Lo sviluppo del Lunga Marcia 9 ha una storia quasi decennale. Sono diversi i progetti e i concept che si sono susseguiti. Il grande razzo a due stadi, che lancerà gli astronauti sulla Luna, sarà disponibile in almeno tre versioni, una delle quali è completamente riutilizzabile, proprio come Starship. 

Una prima versione del razzo super potente dovrebbe staccarsi dal suolo nel 2033. Mentre della versione interamente riutilizzabile è prevista la piena operatività dagli anni 40, sebbene è probabile Pechino provi ad accelerare, in modo da avere il razzo a supporto di tutti i progetti di esplorazione, per esempio quello al polo sud lunare, dove la Cine intende costruire un laboratorio di ricerca, in partnership con Mosca, ma anche infrastrutture orbitali.

Esplorazione e business, modello Musk

Come accadrà con Starship, infatti, la potenza del nuovo razzo sarà a servizio non solo dell’esplorazione di frontiere lontane, per portare equipaggi e merci là dove nessun umano ha lasciato la propria impronta, ma anche per il business terrestre e il presidio strategico dell’orbita. Dalle infrastrutture satellitari, con mega costellazioni in preparazione per la connessione e l’osservazione della Terra, all’energia solare prodotta nello spazio (cosiddetta Space based solar power). Sono operazioni che necessitano di un mezzo di trasporto economico (la grande potenza e la riutilizzabilità permettono un risparmio enorme, SpaceX promette addirittura di scendere fino ai 200 dollari al chilo con Starship) per sollevare e depositare a destinazione masse importanti come rifornimenti e strumenti per gli astronauti, strutture di grande volume e peso (si pensi agli habitat lunari) o decine di satelliti a ogni lancio.

La prima destinazione sarà la Luna, un traguardo che la Cina punta legittimamente di raggiungere in un testa a testa con l’Occidente, ma nulla vieta si possa pensare di portare qualcuno addirittura sul Pianeta rosso. Marte è il sogno di chiunque e sebbene oggi il colosso statunitense vanti almeno una decina d’anni di vantaggio, quello asiatico è abituato a emergere per stupire, riuscendo, sempre al primo tentativo, nelle missioni più rilevanti. A testimoniarlo basti il programma lunare Chang’e, forte di uno score fatto al 100% di successi.

Il modello riutilizzabile

Non vada sottovalutato un ecosistema, quello cinese, in grande espansione, guidato da una visione che mira al sorpasso tecnologico sugli Stati Uniti. È noto come a Washington, tanto alla Nasa quanto al governo, si tema una “rimonta” in quello che è sempre stato l’ambito del dominio incontrastato a stelle e strisce: l’esplorazione lunare. Un ambito in cui la Cina ha ormai dimostrato di sapersi muovere con agilità. Portarci taikonauti sarà più difficile e sfidante di quanto fatto finora, ma la competizione è aperta e la sfida concreta. Nel frattempo, anche oltre la Grande muraglia, l’esempio occidentale ha attecchito e i numeri lo testimoniano: nel 2023 la Cina ha registrato 67 lanci, di cui 13 operati da imprese private, 12 con successo. Il comparto privato sta crescendo in una tecnologia, i vettori, rischiosa da maneggiare.

La direzione intrapresa, quella che fa notizia perché rivoluzionaria – o tale era, almeno fino a quando SpaceX la trasformò in standard -, è quella della riutilizzabilità. LandSpace, per esempio, punta a inaugurare il suo ZQ-3 l’anno prossimo: “Ha già completato con successo i test di decollo e atterraggio verticale da 100 e 10mila metri, segnalando un progresso sostanziale nella tecnologia dei razzi riutilizzabili“, ha dichiarato Zhang Changwu, fondatore e Ceo dell’azienda. Sei ZQ-3 dovrebbero essere consegnati nel 2025, tre di questi pronti al decollo. Stando a quanto dichiarato dalla compagnia, la capacità di lancio annuale sarà di 244 tonnellate entro il 2026, fondamentale per sostenere le iniziative cinesi di Internet via satellite.

I video dei test del primo stadio dello ZQ-3 ricordano i salti del “grasshopper” di SpaceX, cioè il primo stadio del Falcon 9 durante i test per il rientro controllato al suolo.

Sono somiglianze difficili da non notare anche nel caso di Haolong, la navetta cargo che ricorda un mini shuttle (colori identici, stessa dinamica di funzionamento) e che è stata presentata al mondo all’Air show di Zhuhai. In particolare, lo spazioplano cinese ricorda il Dream Chaser di Sierra Space, il veicolo per trasporto merci che dovrà debuttare il prossimo anno per rifornire la Stazione spaziale internazionale e poi, nel prossimo decennio, quelle private. Entrambi i mezzi, quello americano e quello cinese, sono progettati per trasportare merci, non persone; hanno scudo termico e ali per fare rientro sulla Terra planando e atterrando su una pista. 

Come prometteva lo Space Shuttle, e come ribadiscono i veicoli sperimentali militari come il Boeing X-37 e il corrispettivo cinese, lo Shenlong, è il tentativo di tornare a dominare una tecnologia che sembrava poter cambiare l’accesso allo spazio quarant’anni fa – con gli Shuttle appunto -, ma che attendeva nuovi traguardi tecnologici per essere sicura e sostenibile.
L’iniziativa commerciale spaziale cinese, fino a poco tempo fa pressoché inesistente in un contesto permeato dal controllo statale, è attiva nello sviluppo di grandi costellazioni per la connessione e l’osservazione della Terra. Due su tutte: GalaxySpace e Changguang Satellite Technology. Il comparto spaziale privato è supportato dal governo con un orizzonte decennale (un piano, da presentare a breve, delineerà la strategia 2026-2035) e oggi comprende più di 500 aziende. Il numero è irrilevante in un Paese che conta quasi un miliardo e mezzo di abitanti ed è e secondo solo agli Stati Uniti per Prodotto interno lordo. Ma, per gli stessi motivi, i suoi margini di crescita sono difficili da limitare.



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