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Il futuro incerto della Stazione Spaziale Internazionale

Obsolescenza, falle e detriti spaziali mettono sempre più a rischio la sicurezza degli equipaggi. Secondo l’Ufficio dell’Ispettore generale della Nasa, il sistema di lancio di capsule d’emergenza non è ridondante quanto basta, e ci sono problemi di budget.

DI EMILIO COZZI

Chi volesse scrivere la sceneggiatura di uno space thriller ambientato sulla Stazione spaziale internazionale troverebbe ricco di spunti, anche geopolitici, il rapporto più recente del Nasa inspector general. Non sarebbe un film di fantascienza: l’autorità di vigilanza fa analisi periodiche delle attività dell’agenzia spaziale americana, con il compito di scovarne in particolare le magagne. Non si può dire sia uno spoiler rivelare subito che di preoccupazioni, riguardo al laboratorio orbitante, le 46 pagine del “NASA’s Management of Risks to Sustaining ISS Operations through 2030”, sono piene.

In sintesi, il sistema Iss è considerato sicuro, ma pressoché ogni aspetto toccato dal rapporto rivela criticità che potrebbero portare alla fine delle operazioni, a una impossibilità di continuare a gestire le attività in orbita come sono ora, o a un abbandono delle attività in orbita bassa senza una transizione, da tempo programmata, verso le stazioni spaziali commerciali. Anche il rischio per gli astronauti è paventato senza tanti giri di parole.

La stazione ha acciacchi dovuti all’età, il rischio rappresentato dai detriti orbitali cresce e, mentre tutto aumenta le probabilità (comunque remote) che sia necessario un abbandono di emergenza, il sistema di trasporto non è ancora abbastanza efficiente per fornire pezzi di ricambio e “scialuppe di salvataggio” nel caso scatti l’ordine di evacuazione. Non si dimentichi, per di più, che la Russia non si è ancora impegnata a prolungare le attività oltre il 2028, un’altra incognita rilevante nella gestione generale.

Un edificio datato

Si parta da questa frase: “La Nasa deve affrontare rischi crescenti per sostenere le operazioni della Iss fino al 2030”. Assemblata a partire dal 1998 e abitata con continuità dal 2000, oggi la Stazione spaziale ha alcune falle. Piccole, non in grado di destare preoccupazioni nell’immediato, ma sempre più importanti. Si trovano nel tunnel che porta al modulo di servizio russo Zvezda (il primo a essere stato lanciato), mitigate ma mai risolte. Non se ne conosce la causa, forse le saldature della struttura. 

La Nasa e Roscosmos monitorano continuamente i tassi di perdita e chiudono il portello del modulo di servizio quando l’accesso non è necessario – si legge nel report – sigillando il modulo per ridurre al minimo la perdita d’aria e isolando la perdita. Anche se è possibile che la Iss funzioni se il portello è chiuso in modo permanente, ciò potrebbe avere un impatto sulla consegna del carico, perché ci sarebbe una porta in meno”. 

Pezzi di ricambio da ordinare

Nei prossimi anni, l’obsolescenza dei sistemi potrebbe anche richiedere manutenzione e pezzi di ricambio straordinari. Giusto quest’anno, per un periodo gli astronauti hanno dovuto stoccare l’urina dentro contenitori appositi, in attesa di una nuova pompa del sistema di trattamento, quello che la ripulisce per restituire acqua. Il pezzo sostitutivo era in partenza con la capsula Starliner, che però ha subito diversi ritardi. 

Tutti i partner della Iss monitorano e certificano i propri segmenti, gli ambienti e i sistemi di cui sono responsabili. La Stazione è principalmente costituita da due “quartieri”, quello russo e quello occidentale o americano. L’integrità strutturale del segmento statunitense è monitorata e certificata da un contratto di servizio con Boeing. “Attualmente, la Iss è strutturalmente certificata fino al 2028. Il contratto della Nasa con Boeing per l’assistenza alla Stazione, che comprende l’approvvigionamento e la manutenzione dei pezzi di ricambio, scade alla fine dell’anno fiscale 2024. A partire dal luglio 2024, l’agenzia e Boeing stanno negoziando un’estensione”. Si prospetta una pressante richiesta futura di componenti, per sostituire pezzi di quella che è ormai una efficientissima “macchina d’epoca”, a un’industria che deve essere mantenuta attiva ad alti costi. Ma che si muove con tempi solitamente lunghi e senza un sistema elastico di rifornimento cargo per il trasporto merci. A fare la spola verso la Iss, infatti, da parte americana è rimasta solo SpaceX, che a oggi porta su sia le proprie capsule Dragon che le Cygnus di Northrop Grumman, almeno fino ad agosto 2025, dopo l’esaurimento dei motori del razzo Antares.

Certificare il “fine vita”

La certificazione viene fatta ogni quattro anni, ma la Nasa prevede di avviarne una per la “fine della vita”, cioè per il momento in cui la struttura della Stazione non sarà più utilizzabile per operazioni sicure. Il documento è molto chiaro a riguardo: “Nasa e Boeing condurranno test e analisi delle strutture critiche della Stazione per prevedere il primo momento in cui una di queste si guasterà, segnalando quando la Stazione non potrà più continuare a operare in sicurezza. Si tratta di un cambiamento rispetto alle precedenti certificazioni della struttura, che in genere venivano effettuate a intervalli di quattro anni”.

La deadline, ormai nota, coincide con il 2030, quando la Iss dovrebbe essere abbandonata, fatta deorbitare e trascinata giù da un “carro attrezzi” progettato da SpaceX. Ma come racconteranno le righe seguenti, risorse, tempi e modi restano incerti. Tanto da spingere l’Inspector general a suggerire si pensino soluzioni alternative, che contemplino l’estensione ulteriore della vita operativa. L’altro scenario è che tutto finisca molto prima: si parlerebbe, in questa eventualità, di deorbiting di emergenza, nel caso di un incidente grave (l’impatto con un detrito “pesante”, per esempio) che rendesse necessario fare precipitare la Iss subito. Un piano già concordato con Roscosmos, l’agenzia spaziale russa. 

Si evidenzia che “negli ultimi 25 anni il programma Iss non ha registrato alcun evento che abbia reso necessario il deorbiting della Stazione. Tuttavia, i funzionari dell’Aerospace Safety Advisory Panel della Nasa hanno osservato che c’è un rischio crescente di deorbiting non pianificato della Iss a causa della crescente quantità di oggetti spaziali sulla sua traiettoria. A nostro avviso, il nuovo piano di emergenza per il deorbiting, con ruoli e responsabilità assegnati ai partner, aiuta a gestire meglio il rischio per la sicurezza dell’equipaggio e per le persone e le proprietà sulla Terra”.

Ma che cosa succederebbe se Mosca decidesse di non contribuire più alla operatività della Stazione spaziale internazionale dopo il 2028? I motori che ne correggono l’altitudine, che permettono di mantenerla in orbita e di manovrarla per evitare impatti, sono quelli dei moduli russi. Soprattutto considerando l’altro (l’ennesimo) grosso problema.

I detriti orbitanti, un problema “nuovo”

Da quando l’avamposto spaziale è in orbita, i satelliti e gli oggetti in orbita bassa sono aumentati da poco più di 1.500 a oltre 12mila. Il problema dei cosiddetti space debris si è fatto preoccupante e il rapporto lo evidenzia. Punta il dito contro episodi di satelliti defunti che sono esplosi, e contro i test Asat (anti satellite), l’ultimo della Russia a novembre 2021, che generano nuvole di frammenti non di rado sul medesimo piano orbitale della Iss. Si fa presente che, accettando un certo grado di rischio, non saranno installate nuove schermature. 

Semmai, l’investimento dovrà consistere nel migliorare il tracciamento da terra dei detriti spaziali: “La Nasa stima che attualmente circa 100 milioni di detriti di piccole dimensioni non vengono tracciati o evitati dai veicoli spaziali, ma sono abbastanza grandi da danneggiarli o distruggerli”. Si tenga conto che quelli più piccoli, sebbene non in grado di causare danni catastrofici, possono comunque bucare le tute degli astronauti. Si chiama “sindrome di Kessler”, un circolo vizioso che porta un maggior numero di oggetti ad accrescere il rischio di collisioni ed esplosioni in orbita e a un conseguente (e ulteriore) incremento del numero dei detriti incontrollati. Un effetto a catena molto simile a quello di una frana. 

Le “scialuppe di salvataggio”

Si va definendo uno scenario caratterizzato da un edificio datato, bisognoso di manutenzione straordinaria e la cui integrità è messa a rischio da fattori esterni, via via più minacciosi: i detriti spaziali. La probabilità che si renda imprescindibile, prima o poi, una evacuazione di emergenza, non è preoccupante, ma il rischio ora è più alto. In quasi 25 anni, non è mai stato necessario che gli occupanti della Iss la abbandonassero per rientrare sulla Terra in emergenza. È tuttavia capitato si dovessero rifugiare a bordo delle capsule (le stesse con cui erano approdati, ora le Soyuz e le Dragon) per la minaccia di qualche detrito orbitante. 

Opportuno chiedersi cosa succeda quando il problema riguarda proprio i mezzi di trasporto. La risposta è nota da quando Sunita Williams e Butch Wilmore, per alcune settimane, si sono ritrovati senza un mezzo per tornare a casa. Avrebbero dovuto usare la Starliner di Boeing, i cui problemi hanno tuttavia portato la Nasa a scegliere di farla rientrare a terra vuota. Fino a quando è arrivata una Dragon con due posti liberi, nel caso di un’emergenza che prevedesse l’abbandono della Stazione Williams e Wilmore non avrebbero avuto un passaggio. Era successo qualcosa di simile nel 2023, quando una Soyuz con danni al sistema di raffreddamento è stata rimpiazzata da una vuota.

A questo punto della vita operativa della Stazione spaziale internazionale – così si prevedeva – i privati avrebbero dovuto assicurare la ridondanza dei sistemi di trasporto. Eppure, proprio l’incidente della Soyuz “ha rivelato che quando un veicolo dell’equipaggio è danneggiato le opzioni di evacuazione sono limitate. Secondo i funzionari del Programma Iss e dell’Office of Safety and Mission Assurance, inoltre, la Nasa e i suoi partner non dispongono di veicoli pronti al lancio per l’evacuazione estemporanea, poiché i costi sono proibitivi e richiedono tempi di certificazione aggiuntivi nell’improbabile caso di un’evacuazione d’emergenza”. Pesa parecchio proprio la mancata certificazione della Starliner di Boeing, la stessa che ha evidenziato nella maniera più drammatica il problema. In sintesi, se ci sono due astronauti in difficoltà “bloccati” sulla Iss, non c’è un sistema per inviare una scialuppa in tempi brevi.

Il problema, oggi, è di rilevanza crescente, perché il numero degli occupanti della Stazione è maggiore rispetto a quello di un tempo, e perché il pensionamento della Iss va approssimandosi. Sarebbe scorretto però non notare come l’altro scenario proposto vada nella direzione contraria: allungare la vita della Iss fino a quando sarà pronta almeno una stazione spaziale privata, dove continuare a fare esperimenti, scienza, innovazione. E addestrare gli astronauti per le missioni future verso la Luna, Marte, lo spazio profondo.

Come e quando deorbitare la Stazione

La Iss non resterà lassù per sempre. È troppo costosa e, ormai, fragile. Nemmeno come monumento, dato che la sua orbita è troppo bassa e ha bisogno di continue manovre per risollevarsi. Sarà fatta precipitare in un punto remoto del Pacifico, possibilmente nel 2031.

L’idea iniziale, specifica il report, era di sfruttare i motori di tre capsule russe Progress per spingerla giù, ma ci si è resi conto che non sarebbe stato sufficiente. Si è quindi arrivati a commissionare a SpaceX lo sviluppo di un veicolo progettato per agganciare la Iss e trainarla fino a farla precipitare nell’oceano. 

Il contratto ammonta a 843 milioni di dollari, ma non include il costo del lancio, che dovrebbe avvenire nel 2029, e le operazioni in orbita. La nuova stima governativa della spesa per la “rottamazione” è di circa un miliardo e mezzo. Con due incognite: trovare i fondi, e capire quali siano le intenzioni della Federazione russa, visto che metà del condominio cosmico è suo. 

Si legge: “La Nasa e l’industria statunitense hanno circa cinque anni e mezzo per progettare, sviluppare, testare, produrre e lanciare il veicolo americano per il deorbiting nel 2029 [e quindi] raggiungere l’obiettivo di deorbitare la Iss previsto per il 2031. Abbiamo riscontrato che questo calendario di sviluppo non è realistico se confrontato con quello di altri importanti programmi di volo spaziale della Nasa che, in media, hanno richiesto circa otto anni e mezzo dall’assegnazione del contratto al primo volo operativo”. Non c’è ottimismo ed è interessante l’ipotesi con cui si accenna di modificare la Dragon per ridurre costi e tempi di sviluppo del veicolo per il deorbiting. Come si scriveva, quello del budget è un grattacapo serio. 

Si stringono i cordoni della borsa

Nel marzo del 2024, il Congresso ha stanziato 2,88 miliardi di dollari per il programma Iss e per il programma di trasporto di equipaggio e merci, “circa 50 milioni di dollari in meno rispetto all’anno fiscale 2023 e circa 283 milioni di dollari in meno rispetto alla richiesta di bilancio del Presidente per l’anno fiscale 2024. L’agenzia sta effettuando revisioni interne del bilancio per identificare potenziali risparmi sui costi del Programma Iss, per tenere conto della riduzione dei finanziamenti nell’esercizio 2024 e valutare l’impatto sulla presentazione del bilancio della Nasa per l’esercizio 2025”. Detto in soldoni, stricto sensu, bisogna risparmiare. 

La Stazione spaziale internazionale è costata, fino al 2022, 118 miliardi di dollari in tutto. La Nasa ne spende tre all’anno “per le operazioni, la manutenzione, la ricerca e il trasporto di carichi ed equipaggi della Iss”. Arriva, però, una nuova doccia fredda: “La Nasa non sarà in grado di ottenere risparmi significativi sui costi di trasporto nel prossimo futuro senza una riduzione del numero di voli cargo e di equipaggio, il che significa che i risparmi previsti potrebbero non essere realistici”.

Si cerca un lieto fine

La Stazione spaziale internazionale è un sistema complesso e tutto si basa su un delicato equilibrio mantenuto da un’altissima capacità ingegneristica. I granelli che possono farlo inceppare, a tutta evidenza, aumentano. La sicurezza degli astronauti non è mai messa in discussione, ma come in ogni attività, e per lo spazio a maggior ragione, occorre si accetti un ragionevole tasso di rischio. Non ci sono allarmi nel rapporto dell’Ufficio dell’Inspector, ma i rischi non mancano, le crepe ci sono e vanno chiuse. Ed è difficile pianificare la fine e la transizione del più ambizioso manufatto umano oltre l’atmosfera senza conoscere le intenzioni del partner che ha aiutato a costruirlo e ne possiede la metà. La diplomazia spaziale è riuscita nel miracolo di tenere insieme un progetto ciclopico nonostante le tensioni e i conflitti sulla Terra. La speranza è che l’epilogo sia un lieto fine.



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