fbpx

“Starlink non sia la scusa per disattendere il piano nazionale di connessione”. Parla Maurizio Goretti, AD di Namex

L’amministratore delegato del consorzio per la gestione di Internet exchange point      racconta il valore del piano che si sta attuando per connettere anche le aree più remote d’Italia. “Musk fa cose bellissime”, ma il rischio è farsi ammaliare. La soluzione? Un’infrastruttura europea

DI EMILIO COZZI

Maurizio Goretti è l’amministratore delegato di Namex, consorzio italiano che gestisce diversi Internet exchange point sul territorio nazionale e nel Mediterraneo. Secondo lui, laurea in Fisica temprata da trent’anni nel settore, la situazione del digital divide legato alla connessione a banda larga e ultra larga nel nostro Paese sta migliorando con rapidità. Un motivo in più, suggerisce non troppo fra le righe, per non cedere alla scorciatoia di “tappare i buchi”, cioè gestire quelle zone bianche dove è poco conveniente creare infrastrutture in fibra, attraverso il servizio di costellazione satellitare. Detto altrimenti, ricorrendo a Starlink

Sarebbe un errore tecnologico per la qualità del servizio; nondimeno ci consegnerebbe a un monopolista privato e per di più di uno stato extra comunitario, gli Usa. Per risolvere la questione, occorrerebbe che i Paesi europei si unissero per costruire una infrastruttura propria. A differenza degli Stati Uniti, però, la loro capacità decisionale è minata dalle divisioni.

Una ragione sufficiente per approfondire direttamente con lui, Goretti, nelle Tlc dai primi tempi dell’internet italiana, negli anni 90.

Goretti, che cosa fa Namex? Spiegato semplice

Gestisce internet exchange point. L’analogia che uso per raccontarlo ai miei amici durante una cena è quella con il traffico aereo: Namex è come gli aeroporti. Se devo arrivare dall’altra parte del mondo e per farlo è necessario mi rivolga a compagnie aeree diverse, farò più scali e utilizzerò più aeroporti. Per esempio, un’aerostazione come Francoforte è servita da numerose compagnie; è un hub che consente di ottimizzare i tempi degli spostamenti, la qualità e i costi dei servizi.

Nel caso di internet, un dispositivo – un pc o uno smartphone – potrebbe dover attingere a un’informazione dall’altra parte del mondo, per esempio un video. Occorre trovare il modo di far arrivare la richiesta a un server e far tornare indietro la risposta. Domanda e risposta, cioè il contenuto, sono i passeggeri. 

Internet è un insieme di reti, ognuna delle quali gestita da singoli soggetti, che sono i service provider e i fornitori di contenuti come Google, Netflix o Amazon, cioè, nella nostra analogia, le compagnie aeree. Questi soggetti sono interconnessi tra loro proprio grazie agli Internet exchange point. Namex, in questo caso, è come l’aeroporto di Roma: connette le ‘compagnie aeree’ che trasportano i contenuti agli utenti”.

E negli hub, cioè negli Internet exchange point, che cosa succede?

Nel nostro caso, a Roma, si connettono 250 reti, 250 soggetti che installano nei nostri armadi i propri apparati: gli Internet service provider, per fornire il servizio di connessione agli utenti, e i fornitori di contenuti. Abbiamo un’infrastruttura in fibra che serve a interconnettere queste reti tra loro. Mantenendo l’analogia aeronautica, Namex si occupa del finger, come della scaletta in pista per imbarcare e sbarcare i passeggeri.”

Qual è il vantaggio di far incontrare fra loro queste reti? 

I punti di interscambio servono a dare maggiore qualità alla fruizione di un contenuto, ad aumentare l’affidabilità. Migliorano le prestazioni, in particolare se il contenuto è replicato in più hub. Si ipotizzi, per esempio, un problema a Roma ma con un video ospitato su punti di interscambio differenti, magari a Milano. In questo caso, non ci sarebbe ripercussione alcuna”.

Qual è lo stato della connessione in Italia?

Su indicazione dell’Unione europea, anche prima del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il nostro Paese vantava un buon piano, che tuttora sta portando avanti per avere una copertura di banda ultra larga, intendendo soprattutto la fibra ottica, fiber to the home – o FTTH, ndr – Certo, magari è un po’ in ritardo, ma comunque ha fatto passi in avanti significativi rispetto a cinque o sei anni fa, come collegare singole abitazioni italiane, sia con fibra a casa che con banda radio. In questo senso, il Pnrr sta aiutando molto. E spero sia portato avanti fino al suo completamento”.

E per le aree più isolate?

Il piano sta cercando di arrivare ovunque ci sia qualcuno che vive, un tipo di collegamento, diciamo, a larga banda e affidabile. Portare la fibra è un come riuscire a raggiungere qualcosa con una strada asfaltata: ci sono aree a ‘perdita di mercato’, cioè zone la cui densità abitativa implicherebbe comunque un investimento in perdita. È difficile che un privato vada a mettere i suoi soldi lì e, soprattutto, a finanziare una un’infrastruttura più costosa come la fibra. Queste sono le zone in cui si è deciso di investire denaro pubblico, mentre, nelle città, le aziende private sono spinte a investire perché sperano di avere un ritorno economico.

Al nord, un’area di maggiore ricchezza, realizzare le infrastrutture è più semplice, eppure oggi trovi banda larga un po’ ovunque, perché dove la fibra non arriva, la banda larga viene portata attraverso ponti radio licenziati, cioè spettri radio definiti dal Ministero, limitati ad alcuni usi e che per essere utilizzati necessitano il pagamento di un canone. Sono le aree a perdita di mercato – zone isolate, montuose, ndr – quelle più critiche”. 

Di recente, si è parlato della possibilità di utilizzare una costellazione satellitare come Starlink per portare banda larga nelle zone ancora non coperte. Che cosa ne pensa?

Sono convinto che i sistemi satellitari andrebbero utilizzati in mobilità, in aree dove manca copertura standard, per esempio 5G, oppure in casi di emergenza, essendo una infrastruttura che non è presente sulla Terra. Detto altrimenti, in caso di calamità, di disastri, di guerre e terremoti. 

Il sistema satellitare tradizionale, basato sui satelliti a 36mila chilometri circa dalla Terra, ha bisogno di una parabola, e a causa della distanza ha latenze molto alte, anche di mezzo secondo, non compatibili con alcune applicazioni. 

Oggi ci sono sistemi satellitari in orbita bassa, come Starlink, con latenze di 30-50 millisecondi. Anche le bande che si riescono a ottenere, il cosiddetto throughput, sono decisamente più alte: attorno ai 100 mega e non di rado vicino al giga in download.

Però sostituire un piano di copertura delle aree bianche, quelle a grande perdita di mercato, con un sistema satellitare, sarebbe un errore”.

Per quale motivo?

Perché si delegherebbe una infrastruttura ormai critica, come Internet, a un’azienda che non è né italiana né europea. Il provider è unico a livello globale: Starlink è un monopolista.

Di contro, se si continuasse a lastricare le “strade di Internet”, presto potremmo avere una nostra infrastruttura nazionale. E con una qualità maggiore dal punto di vista tecnico, perché per quanto le sue prestazioni siano migliorate, il sistema in orbita bassa non potrà mai raggiungere le prestazioni della fibra ottica: ci sarà sempre il problema della latenza che, per quanto ridotta, non garantirà mai un segnale costante. Infatti, quando l’antenna perde un satellite, si deve agganciare ai successivi. Gli apparati orbitanti sono tantissimi e aumenteranno, è un problema che si sentirà sempre meno, ma non sarà mai la stessa cosa. E questo senza menzionare altri problemi”.

Quali?

I sistemi satellitari implicano una asimmetria tra download e upload: di solito l’upload è più lento. Tuttavia alcune applicazioni richiedono simmetria. In più, nel caso di eventi atmosferici particolarmente intensi, la copertura nuvolosa può creare problemi. Penso valga la pena realizzare un’infrastruttura nazionale o europea. Ben vengano, poi, i sistemi satellitari in orbita bassa, soprattutto in casi di emergenza”.

In Italia però non è infrequente che l’emergenza diventi regola…

In questo caso bisogna sollevare la questione e stare attenti, perché potrebbe non essere esente da rischi la scelta di mettersi nelle mani di un privato che ha il monopolio non solo della comunicazione internet satellitare, ma anche dei razzi per lanciarla. L’importante è che questa tecnologia non sia utilizzata come scusa per non completare il piano nazionale da 1 giga”. 

Nel Ddl spazio, però, si fa riferimento a una “riserva di capacità trasmissiva nazionale”. Che cosa ne pensa?

Che se fossi un Primo ministro, me la comprerei anch’io una riserva di questo tipo, da usare in caso di calamità. E purtroppo sappiamo bene quanto le calamità, nel nostro Paese, non manchino. Detto questo, andrebbe anche ricordato che una riserva è qualcosa che non si utilizza se non in caso di necessità. Certo, se a venderla fosse un’azienda italiana o europea, sarei più contento”.

Si parla poco di OneWeb, l’altra grande costellazione satellitare, specializzata nella connessione per business e istituzioni, che però ora è di Eutelsat, francese.

È la forza dei numeri: Starlink ha settemila satelliti, OneWeb 648. C’è un fattore di scala di differenza”. 

Il risultato è che fissiamo costantemente gli Stati Uniti.
“Intendiamoci: in Europa non ci sono privati in grado di fare quanto fatto da Elon Musk. Per questo gli Stati europei dovrebbero unirsi. Invece siamo divisi; ancora oggi, se una cosa la fa la Francia, non la si percepisce come un’impresa europea, per cui si dubita di quanto convenga ad altri. Gli Stati Uniti hanno una potenza economica maggiore rispetto all’Unione europea, un presidente unico e un solo governo. Noi abbiamo i commissari e poi ci sono gli organi nazionali, le direttive da recepire… L’America ha una potenza di fuoco diversa a livello decisionale”.

L’Unione europea sta progettando una propria costellazione internet, Iris², con aziende che dovrebbero costruirla, operarla e anche commercializzarne i servizi.

È un modello molto simile a quello adottato per creare l’infrastruttura in fibra: soldi pubblici e bandi vinti dai vari Internet service provider, cioè concessionari che possono rivendere a tariffe imposte dallo stato. Oppure per le autostrade, dove aziende private si occupano della manutenzione e riscuotono le tariffe”. 

Sta suggerendo che il rischio è di farsi ammaliare da tecnologie “futuristiche”?

Sia chiaro: Musk produce i razzi e il sistema satellitare migliori al mondo. È un genio. Ma bisogna stare attenti ai pericoli impliciti in questo scenario: questi monopolisti stanno dandoci cose davvero belle, tecnologie – come quelle di SpaceX e Starlink – impensabili solo pochi anni fa. Credo tuttavia che come società sia fondamentale affrontare un discorso legato ai monopoli. La Commissione europea ha fatto molto, come il Digital service act e il Digital network act: si sono creati gli anticorpi, obbligando grandi organizzazioni al rispetto di alcune regole di tutela della privacy e dei diritti del consumatore. Ricordiamocelo: non è un precedente secondario”. 

Torniamo a Namex, quali sono i vostri “numeri”?

Namex è un consorzio senza fini di lucro, nato nel 1995 dentro al campus della Sapienza, con tre provider locali, Unidata, Mc-Link e Agorà Telematica del partito Radicale. È cresciuto col tempo e insieme con Internet. Oggi ospita 250 operatori e data center a Roma, Bari, Napoli e uno in Albania. In tutto conta 15 dipendenti e un fatturato di circa sei milioni di euro. I profitti devono essere spesi, oltre che per il personale, per l’espansione e l’aggiornamento degli apparati, per fare formazione. Teniamo corsi di alta formazione difficili da trovare sul mercato, per una tecnologia che evolve molto rapidamente. Organizziamo eventi per unire chi fa internet in Italia e nel mondo, come il Namex meeting annuale, a cui partecipano più di 500 operatori nazionali e internazionali che lo scorso annoil prossimo anno  abbiamo ospitato a Napoli per festeggiare l’apertura dell’Internet exchange point locale”.

Senza fini di lucro, cioè neutrale?

Internet è un soggetto strano, nato dal basso, un po’ hippy se vogliamo. Ancora oggi non ha un ente che lo comandi ed è del tutto decentralizzato. Il potere politico non è stato ancora capace di influenzare la comunità di Internet, ma sempre di più sta cercando di entrarci dentro. Basti guardare il monitoraggio dei blocchi della rete in tutto il mondo: in alcuni Paesi è normale bloccare internet in concomitanza di esami nazionali, o per ragioni politiche. Anche in Paesi come l’Inghilterra: a Londra si è staccato internet dalla metropolitana per timore di attacchi terroristici. Si può pensare che sia giusto o sbagliato, ma l’aspetto più significativo è che un governo, un bel giorno, abbia detto: “In questo punto, stop a Internet”.



Leave a Reply

Sign up to our newsletter!

This website uses cookies and asks your personal data to enhance your browsing experience.