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Il grande salto dell’India: una stazione spaziale, Luna, Venere e un razzo riutilizzabile

Il Consiglio dei ministri ha approvato lo sviluppo di un laboratorio orbitante, un nuovo vettore più pesante con primo stadio riutilizzabile e due missioni: sulla Luna e poi verso Venere. In totale 2,7 miliardi di nuovi fondi.

BY EMILIO COZZI

L’India brucia le tappe e, nello spazio, è pronta a un grande salto, anzi a quattro. Eppure, sebbene le sue, almeno sulla carta, siano ambizioni da grande potenza, sono i numeri, cioè le risorse allocate, a fare la differenza con gli altri colossi dell’astropolitica contemporanea: in tutto New Dehli stanzia circa 2 miliardi e 700 milioni di dollari di nuovi fondi per tre progetti da attuarsi fino al 2028. Annunciati dal Consiglio dei ministri dell’Unione, presieduto dal primo ministro Narendra Modi, vanno dall’orbita terrestre, con la costruzione di una stazione spaziale abitata, allo sviluppo di un lanciatore riutilizzabile, dal ritorno sulla Luna all’esplorazione di Venere.

Solo scorrendo le cifre, pur avendo una popolazione che supera il miliardo e 400 milioni ma con un Pil inferiore a quello tedesco, è chiaro che il subcontinente non possa ancora permettersi uno sforzo pari a quello delle grandi potenze spaziali (Stati Uniti e Cina su tutte). Allocato per il Dipartimento Spazio, il budget annuale supera di poco il miliardo e mezzo di dollari, ma rivendica una economia in grande crescita, stimata attorno agli 8 miliardi. Detto altrimenti, si punta in alto, ma con una strategia che potrebbe essere definita low cost. Almeno per adesso.

Una nuova casa in orbita

L’investimento più cospicuo è quello per la Bharatiya Anthariksh Station (Bas), la stazione spaziale indiana: ammonta a 2,4 miliardi, in dollari, grazie all’aumento del budget approvato a settembre di ulteriori 1,35 miliardi. È l’implementazione del programma Gaganyaan, per il volo e l’esplorazione umana dello spazio.

A capo di tutto ci sarà l’Agenzia spaziale indiana (Isro). Il programma prevede la prima missione umana in partenza dal suolo indiano nel 2025, quattro missioni entro il 2026,lo sviluppo del primo modulo del Bas e quattro missioni per la dimostrazione e la validazione di varie tecnologie per il Bas entro dicembre 2028”; infine, il raggiungimento della piena operatività della stazione entro il 2035.

La visione del governo di Modi per lo spazio, l’Amrit kaal (tradotto: “L’era dell’Elisir”) contempla, tra le altre cose, anche una missione lunare con equipaggio indiano entro il 2040.

Con anni, se non con decenni, di ritardo, l’India tenta così di ricucire il gap accumulato spingendo sull’acceleratore, ma consapevole di non poter investire, da sola, 100 miliardi (tanto è costata la Stazione spaziale internazionale). Comunque, qualora il progetto si realizzasse secondo i piani, non è secondario che subito prima della dismissione della Iss, New Dehli disporrà di un laboratorio orbitale proprio, in cui fare esperimenti in assenza di peso e incubare innovazione e capacità industriali.

Un vettore riutilizzabile

Un veicolo di lancio con un elevato carico utile, economico, riutilizzabile e commercialmente valido”. Il comunicato stampa del Cabinet indiano sintetizza così le qualità del New generation launch vehicle (o Nglv).

L’India ha sviluppato nel tempo diversi vettori per le proprie esigenze di potenza spaziale in rapida ascesa: possiede un lanciatore medio-pesante, il Launch vehicle mark-3 (Lvm3), il Polar launch vehicle e il Geosyncronous launch vehicle (Gslv), di media potenza, e il più leggero Small satellite launch vehicle (o Ssmv). Difetta ancora di un cosiddetto “lanciatore pesante”: per questo è previsto che Nglv possa trasportare fino a 30 tonnellate in orbita terrestre bassa, tre volte il carico dell’attuale vettore indiano di punta, a una volta e mezzo il suo costo. Con un primo stadio da lanciare più volte.

L’Nglv dovrà dare all’India la capacità di portare astronauti del subcontinente sul suolo lunare. Servirà anche per lanciare missioni interplanetarie e in orbita bassa, verso la futura stazione spaziale nazionale. Per il suo sviluppo, la deadline è di otto anni, con tre voli dimostrativi per validare la tecnologia e dotarsi di un vettore con una potenza superiore a quella di un Falcon 9 e di un Ariane 6. Il fondo totale approvato per il nuovo razzo Nglv è di 988 milioni di dollari e comprende i costi di sviluppo, i tre voli dimostrativi, la creazione di strutture essenziali, la gestione del programma e la campagna di lancio. Molto meno dei grandi vettori “istituzionali”, ma comunque più di Falcon 9 e Falcon Heavy (e in un contesto diverso da quello statunitense).

Ritorno sulla Luna e poi a Venere

L’India ha anche reso noto di voler tornare sulla Luna. Il programma è sempre Chandrayaan, la missione è la numero 4: allunaggio morbido, raccolta campioni e ripartenza per portare uno scampolo di suolo selenico sulla Terra. Insieme con il programma Gaganyaan, sarà l’apripista per lo sbarco di un equipaggio, perché permetterà di affrontare e acquisire le tecnologie necessarie come l’atterraggio, la ripartenza e le manovre orbitali di attracco. Per Chandrayaan-4 sono a disposizione 253 milioni di dollari

Dopo essere arrivata attorno a Marte, l’India ha messo nel mirino anche Venere, l’altro pianeta roccioso, tanto simile alla Terra per dimensioni, quanto diverso per temperature e pressione al suolo, capaci di averne decretato un destino “infernale”. Sarà proprio questo il mistero che attira la ricerca, oltre, ovviamente, alla spinta per uno sviluppo tecnologico sempre più avanzato. La Venus Orbiter Mission prevede di lanciare anche questa volta un veicolo spaziale scientifico in orbita attorno al pianeta. Obiettivo: studiare superficie e sottosuolo venusiani, i processi atmosferici e l’influenza del Sole. In definitiva, le cause della trasformazione di Venere, che si ritiene sia stato un tempo abitabile e simile alla Terra. La spesa sarà di circa 149 milioni di dollari per decollare nel 2028.

La scommessa indiana e l’amico americano

L’India, ormai, punta a fare tutto da sola, nel tentativo di ridurre al massimo le importazioni. La prospettiva è di acquisire know-how e di stimolare gli spin-off tecnologici, incoraggiare innovazioni nelle aree chiave della ricerca e dello sviluppo. Cioè quel volano economico, ben noto in occidente, capace di generare crescita e posti di lavoro.

Secondo le stime correnti la space economy indiana potrebbe toccare i 40 miliardi nei prossimi dieci anni. Il Governo è ancora più ambizioso e punta a 100 miliardi entro il 2040.

Per questo motivo, i 2,7 miliardi di dollari spalmati su tanti anni possono sembrare poca cosa, e in effetti impallidiscono al confronto con un Paese come l’Italia, che ha venti volte meno abitanti e solo in questo triennio ha allocato fondi per 7,2 miliardi di euro (Pnrr e budget Esa compresi). Tuttavia, forte di successi già conquistati con missioni a basso o bassissimo costo, come lo sbarco sulla Luna nell’agosto del 2023, l’India ha tutte le ragioni e i numeri per ipotizzare un futuro radioso: aziende e startup fioriscono, anche se i numeri di un boom andrebbero valutati con prudenza (+235% in due anni, secondo “India Today” che cita il report Tracxn). Si parla di un centinaio di startup e 120 milioni di investimenti raccolti dalle imprese emergenti. In particolare, il contesto si fa forte dell’alleanza con gli Stati Uniti, in vista di missioni congiunte in orbita e sulla Luna.Un successo in campo spaziale che è anche il risultato di un posizionamento geopolitico, e che permette a Modi di rivendicare un posto in prima fila nella corsa a conquistare altri mondi.



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