Spazio: Italia – Francia 1 a 0
- September 10, 2024
- Posted by: admin
- Category: Emilio Cozzi
Mentre Oltralpe si grida allo scandalo per investimenti scarsi nel settore, l’Italia vola. Al confronto servirebbe però un punto di equilibrio. E un orizzonte più lontano.
DI EMILIO COZZI
È sempre un derby quando si tratta di Italia e Francia. Alla frustrazione, oltralpe, per un possibile “sorpasso” – ammesso che la metafora abbia senso in una prospettiva europea -, si scatenano malumori e allarmi. Beninteso, vale in ogni contesto e situazione, dall’economia al calcio, fino a una delle eccellenze che finora hanno gonfiato il petto dei “cugini”: lo spazio. Fa per questo molto scalpore, il 18 luglio scorso, un commento sulle colonne de “La Tribune”, tra i principali quotidiani economici francesi, a firma di Jean-Luc Moudenc e David Lisnard, sindaci di Tolosa e Cannes. Le due città sono cardini dello spazio del Paese. Ospitano stabilimenti importanti di colossi come Airbus e Thales Alenia Space, fabbriche e laboratori in cui nascono i satelliti, soprattutto di grosse dimensioni, che hanno fatto grande lo spazio nazionale.
“Industria satellitare spaziale: no al declassamento della Francia” è il titolo; e il messaggio che i due primi cittadini lanciano, senza nascondere preoccupazione, è questo: “La Francia, che fino a poco tempo fa aveva l’industria spaziale leader in Europa e che rappresenta quasi il 40% dei 57mila posti di lavoro del settore, si sta facendo raggiungere e presto lasciare indietro, a causa del suo disinvestimento – sia in senso letterale che figurato – nei satelliti”.
“La legge sulla pianificazione militare 2024-2030 ha abolito il satellite Syracuse 4C” tuonano i sindaci, che continuano: “Ha drasticamente scaglionato i flussi di pagamento e non ha previsto un nuovo ordine di satelliti. Le attuali scelte di finanziamento, che favoriscono le missioni europee a scapito di progetti nazionali innovativi, rischiano di diluire le nostre competenze e la nostra influenza”.
Da Iris2 a Iride
Il grido d’allarme è animato da numeri non certo esaltanti relativi al business satellitare, soprattutto di Airbus e Thales – se ne scrisse più in dettaglio anche qui. Sono cifre riportate da “La Tribune”, ma negli stessi giorni emerse come contesto in un più articolato evolversi di strategie aziendali che coinvolgono anche l’Italia e la Space Alliance, cioè quella che lega Thales e Leonardo. Tutto era partito da un’altra esclusiva di “La Tribune”, uno scoop nel quale si rendeva pubblica l’intenzione, da parte di Thales e di Airbus, di uscire dal consorzio “SpaceRise”, il raggruppamento di imprese deputato a costruire e operare la prima costellazione di internet satellitare dell’Unione Europea, Iris2 (raggruppamento cui fanno parte Airbus Defence and Space, Eutelsat, Hispasat, SES e Thales Alenia Space).
Secondo quanto riportato dal quotidiano francese, l’opportunità di business non convincerebbe più i due colossi. La realizzazione di Iris2 comporta infatti la messa in opera di una rete di decine di satelliti in orbita bassa e media, ma con un rischio di impresa considerato eccessivo. Perché solo una parte della costellazione verrebbe coperta da denaro pubblico (quella per il segmento di servizio alle istituzioni); il resto dovrebbe essere finanziato dalle aziende, cui poi sarà concessa la possibilità di commercializzare il servizio.
È previsto che Iris2 diventi operativa nel 2027, ma i tempi sono già incerti, così come la resa di un assetto mai operato (integrazione tra satelliti in orbita media e bassa). Per questo, sempre secondo lo scoop di “La Tribune”, Thales e Airbus preferirebbero defilarsi limitandosi al ruolo, a loro più consono, di fornitori della costellazione.
Giano bifronte
Le difficoltà nel settore satellitare di Airbus e Thales, con perdite a sei e sette cifre e bilanci che tendono verso il rosso nel segmento spaziale, non sono una novità. Così come non è una sorpresa che lo scenario, al di qua delle Alpi, si ribalti, tanto da far sembrare la Space Alliance una sorta di Giano bifronte.
Opportuno ricordare che l’alleanza fra Thales e Leonardo è concretizzata in Thales Alenia Space (67% francese e 33% italiana) e in Telespazio (a percentuali invertite). I problemi riguardano, e non a caso, in particolare la prima, la cui sponda francese arranca nei fatturati e negli utili mentre quella italiana vola, spinta da commesse private (i moduli per la stazione orbitante di Axiom, le capsule Cygnus per Boeing) e istituzionali (i moduli per il Gateway lunare e gli smallsat per Iride, l’avanguardistico programma italiano di Osservazione della Terra).
Non è difficile immaginare la frustrazione francese. Quanto al sorpasso italiano, però, prima di esultare sarebbe opportuno attendere numeri chiari.
Certo, non è escluso che in un imminente futuro Leonardo rivendichi lo squilibrio per rivedere gli assetti dell’alleanza; pur difficile, la partita non sarebbe ingiocabile. Lo hanno suggerito lo scorso giugno, durante la presentazione del piano industriale alla Camera, l’ad e dg di Leonardo, Roberto Cingolani, e l’allora managing director della Business unit spaziale del gruppo, Franco Ongaro: “Tempo fa – diceva quest’ultimo – eravamo noi il partner che perdeva soldi, oggi è un altro”. E ancora: “Si lavora per trovare una soluzione. È un momento in cui in tutto il mondo le geotelecomunicazioni non stanno facendo molto bene”. Ed è significativo che a sostituire Ongaro, nel frattempo andato in pensione, qualche giorno fa sia arrivato Massimo Claudio Comparini, l’uomo alla cui guida Thales Alenia Space Italia ha consolidato la propria posizione sul mercato negli anni recenti.
Si è anche vociferato della volontà di unire gli sforzi: una unità spaziale organica di Thales, Airbus e Leonardo, tutti insieme. Opzione che, in termini di “massa critica”, vedrebbe l’Italia in minoranza, ma i cui calcoli sono ancora tutti da fare.
Investimenti pubblici e startup
Tornando al di là delle Alpi, i sindaci di Tolosa e Cannes puntano il dito contro la strategia del governo, che avrebbe scommesso sulla creazione e incubazione di startup nel settore spaziale – il programma NewSpace – a discapito degli investimenti pubblici in settori scientifici o strategici, come la Difesa. Detto altrimenti, la Francia avrebbe smesso di fare la Francia proprio mentre l’Italia destinava, da qui al 2027, più di sette miliardi al settore spaziale: risorse che comprendono i fondi per l’Agenzia spaziale europea, quelli investiti dal Pnrr e quelli nazionali da bilancio. Sono tutte commesse che ricadono su territorio e aziende, significano lavoro, indotto e moltiplicazione del valore. Facile immaginare sia questo, in definitiva, a interessare gli amministratori locali.
Si volesse rimanere alla metafora sportiva, sarebbe impossibile ignorare un altro aspetto del “derby spaziale”, i lanciatori: il 2024 ha segnato la fine dell’accordo con la francese Arianespace per la commercializzazione dei servizi del vettore medio leggero Vega-C, la cui costruzione è quasi del tutto italiana. Dopo il volo VV29, previsto per il quarto trimestre del 2025, sarà Avio a operare e vendere i servizi di trasporto verso l’orbita. La decisione è maturata mentre ArianeGroup annunciava e proponeva un nuovo razzo riutilizzabile, prodotto dalla startup Maiaspace, totalmente made in France e da molti considerato in esplicita concorrenza con Avio, partner storico del gruppo francese. Sia come sia, non andrebbe nemmeno sottovalutato che il duopolio Vega-Ariane potrebbe incontrare presto la concorrenza di nuovi lanciatori leggeri tedeschi, spagnoli e francesi.
Insomma, le variabili in gioco abbonano. E per quanto indicare oggi chi la spunterà domani possa appassionare, il vaticinio rischierebbe di distrarre dalla competizione vera, quella con Paesi e aziende “extra continentali”, in primis gli Stati Uniti, forti di un ecosistema che è difficile seguire e forseinsensato replicare. Perché se è vero, come hanno detto Moudenc e Lisnard, che “su scala mondiale, il 72% delle vendite spaziali è generato dai mercati istituzionali (difesa, meteorologia e scienza), ma la Francia è incomprensibilmente l’eccezione, con solo il 49% delle vendite generate da queste commesse, essenziali per l’indipendenza del Paese”, la riflessione è d’obbligo: alla lunga il mercato francese sarà favorito dalla propria competitività, dato che gli investimenti pubblici pesano meno? E l’Italia, che inietta capitali ingenti nell’ecosistema, sta gonfiando una bolla o acquisirà, dopo il sorpasso, una preminenza stabile? Ben oltre il derby, la partita è da Mondiali.