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Un veicolo SpaceX per deorbitare la gloriosa Stazione spaziale internazionale

La Nasa ha scelto l’azienda di Elon Musk per sviluppare lo U.S. Deorbit Vehicle, che dovrà agganciare e trascinare in atmosfera la Iss, dopo il 2030. Ma non prima che siano diventate operative le stazioni orbitali private. Un passaggio di testimone per continuare a fare scienza e ricerca in microgravità, come per decenni si è fatto sull’avamposto umano più celebre e celebrato dello spazio.

DI EMILIO COZZI

La sentenza è stata emessa, il volto dell’esecutore adesso è noto.

La Stazione spaziale internazionale, che sarà ricordata come la più longeva e importante opera ingegneristica umana oltre l’atmosfera, vedrà il suo destino finale inverarsi per mano della Nasa con un veicolo di SpaceX.

La fine è all’orizzonte; sappiamo cosa succederà e più o meno anche il quando. Sarà un veicolo spaziale progettato e sviluppato dall’azienda di Elon Musk a raggiungere la Iss, per agganciarla e trascinarla giù, come un lottatore che afferri l’avversario fino a precipitarsi con lui al tappeto. Con tante cerimonie, certo – non si lascia andare a cuor leggero un pezzo di storia, un monumento – ma sarà brutale. 

L’annuncio è della Nasa, che ha stanziato 843 milioni di dollari per “sviluppare e consegnare lo U.S. Deorbit Vehicle che fornirà la capacità di deorbitare la stazione spaziale con la garanzia di evitare rischi per le aree popolate”. L’ente spaziale statunitense parla in modo esplicito di un passaggio di testimone, una transizione verso l’epoca delle stazioni spaziali private.

Un carro attrezzi verso la demolizione

A differenza di quelli sottoscritti negli anni recenti, molti dei quali proprio con SpaceX, in questo caso il contratto è un più convenzionale acquisto: dopo lo sviluppo del veicolo, la Nasa ne prenderà possesso e sarà lei stessa, con una sua missione, a compiere il passo definitivo.

Lo U.S. Deorbit Vehicle avrà il compito di raggiungere la Iss in orbita e farla rientrare in atmosfera per precipitare su un luogo della Terra lontano da qualsiasi area abitata. Sarà probabilmente il Punto Nemo, altrimenti noto come “cimitero spaziale”. Dal punto di vista geografico, è il luogo nel Pacifico più lontano da qualsiasi terra emersa, isola o continente. È lì che hanno visto l’epilogo alcune stazioni spaziali del passato, come le sovietiche Salyut e Mir, così come centinaia di cargo e satelliti. 

Data la sua stazza (oltre 400 tonnellate per un’estensione simile a quella di un campo da calcio), la Stazione spaziale internazionale non brucerà totalmente in atmosfera con il veicolo di deorbiting che si disintegrerà con lei; inevitabilmente, molti suoi pezzi raggiungeranno la superficie terrestre. Per questo sarà necessario un grande sforzo per indirizzarla dove non rischierà di causare danni. Sarà, senza dubbio, la più imponente operazione di in orbit servicing della storia, fino a lì e per molti anni ancora. Uno sforzo immane in quanto a risorse (anche economiche) necessarie ed energia per spostare tanta massa. Non è un caso la Nasa abbia specificato che nel contratto non è compreso il servizio di lancio, che sarà pagato a parte. È dunque molto probabile il costo complessivo dell’operazione superi il miliardo di dollari.

Dal 1998 al 2030, e oltre

Le tempistiche – il quando tutto accadrà – non sono ancora note. La Iss ha fondi per operare almeno fino al 2030, sebbene non sia ancora detta l’ultima parola: lo scorso gennaio, infatti, Steve Stich, manager del Commercial crew program della Nasa, ha dichiarato che in quell’anno “non succederà alcunché di magico” e che la Iss continuerà le operazioni fino a che le stazioni spaziali commerciali saranno pronte ad accogliere astronauti: “Sarà quello il momento in cui la Iss si toglierà di mezzo”. Come la madre con i cuccioli ormai svezzati. 

Una mothership – appunto – assurta a protagonista indiscussa dello spazio nel nuovo millennio. Il primo modulo, il russo Zarya, raggiunse lo spazio il 20 novembre del 1998 e orbitò da solo per 16 giorni prima di essere raggiunto dal primo elemento statunitense, lo Unity, traghettato dallo Space Shuttle Endeavour. Dal 2 novembre 2000, quando sono attraccati ed entrati i due cosmonauti russi, Sergej Krikalëv e Jurij Gidzenko, insieme con l’astronauta americano William Shepherd, c’è sempre stato qualcuno ad abitare lassù (con una punta massima, nel 2009, di 13 persone). Finora sono stati quasi 300 gli astronauti che vi hanno trascorso del tempo, la maggior parte per periodi lunghi, dai tre mesi fino, in rari casi, a un anno e oltre. Fra gli astronauti della Nasa, Frank Rubio detiene il record per la missione più lunga: 371 giorni. Con 675 giorni, Peggy Whitson è l’astronauta americana rimasta di più a galleggiare nell’avamposto orbitante. Comunque “pochi” rispetto a 1020 giorni trascorsi a bordo, in cinque differenti missioni, dal cosmonauta Oleg Kononenko.

Perché, doveroso evidenziarlo, la Iss è stata anche la più pacifica delle collaborazioni spaziali internazionali, simbolo supremo e testimonianza concreta di una space diplomacy di successo.

Nata sulla scia di un’idea (americana) cresciuta già negli anni Sessanta, ha trovato concretezza subito dopo la fine della guerra fredda, ha accolto astronauti di 23 Paesi diversi e, in particolare nel decennio recente, ha visto cosmonauti russi collaborare con astronauti americani ed europei, nonostante le tensioni e le guerre fra le rispettive nazioni poche centinaia di chilometri più in basso. Nello spazio il bene supremo è la conoscenza, la collaborazione è la condizione imprescindibile per sopravvivere e, quindi, conoscere. “Chi vola sa che non ci sono confini, soltanto orizzonti”.  

La scienza nello spazio per la Terra

In virtù di questo spirito, sulla Stazione spaziale internazionale la scienza, un lavoro partecipato da ricercatori e studiosi di tutto il mondo, ha registrato progressi straordinari nell’indagare il corpo umano, con esperimenti sugli effetti della microgravità sui muscoli, sulle ossa, su cellule e neuroni. Ha accumulato conoscenze cruciali per le missioni future nello spazio profondo e anche – non è un azzardo dire soprattutto – per terapie, diagnosi e cure di malattie debilitanti e degenerative di pazienti “terrestri”. Lo studio dei materiali e le soluzioni tecnologiche sviluppate per l’orbita hanno generato spinoff 400 chilometri più giù, declinazioni anche commerciali, invenzioni, avanzamenti tecnologici o brevetti, dal riciclo dei liquidi agli impianti di areazione, dai bioreattori per coltivare cellule di tessuto umano all’agricoltura aeroponica.

La Stazione spaziale internazionale è costata 100 miliardi di dollari e fra mantenimento operativo e manutenzione ne costa altri tre ogni anno solo alla Nasa. È tutto denaro pubblico, investito a beneficio della conoscenza e dell’avanzamento della nostra civiltà. 

Sotto questa luce si comprendono meglio le parole di Stich, che esprimono la volontà di prolungare il programma Iss fino a quando altre stazioni orbitanti consentiranno nuove ricerche, nuove applicazioni anche commerciali e ulteriori progressi a supporto delle spedizioni sulla Luna e verso Marte. A partire dagli anni Trenta si prevedono nuovi avamposti, laboratori, osservatori, questa volta privati, che prenderanno il posto della Stazione spaziale internazionale. Come quella della texana Axiom Space, che, nei piani, dovrebbe decollare e attraccare alla stessa Iss per poi “crescere” e diventare autonoma, o come la StarLab di Voyager Space e la Orbital Reef di Blue Origin, Sierra Space e Boeing. Ci sono anche progetti che promettono gravità artificiale, come quello di Vast Space, da inaugurare con il modulo Haven-1, da lanciare già nel 2025 con un Falcon 9 di SpaceX.

L’ultimo giro di valzer

Per molti la Iss è stata anche la prima esperienza diretta con le attività extra-atmosferiche: da anni, ormai, la Nasa trasmette in streaming video le attività svolte a bordo. Gli astronauti sono divulgatori eccezionali, non di rado creativi; conclusi i loro (tanti) doveri in orbita, hanno giocato, suonato, fotografato, raccontato e intrattenuto il pubblico globale fluttuando in assenza di peso. Così facendo hanno dato visibilità e valore nella percezione collettiva all’impegno profuso per arrivare a operare in condizioni estreme.

La Iss è imponente e viaggia a una quota compresa tra i 370 e i 460 chilometri; conclude un’orbita attorno alla Terra ogni 90 minuti circa, facendo vivere ai suoi occupanti 16 albe e 16 tramonti ogni 24 ore. I suoi transiti costituiscono uno spettacolo puro, osservabile anche a occhio nudo, e piuttosto frequente. 
Quando lo U.S. Deorbit Vehicle la raggiungerà, sarà un evento planetario: sarà possibile ammirare non una, ma due luci, in un rendez-vous spaziale destinato a segnare un’epoca. E quando verrà il momento, tutto terminerà con una sontuosa cascata di scintille, scie e brillamenti: “stelle cadenti” in un’ultima celebrazione. Gloria alla Stazione spaziale internazionale.



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